Non è inusuale qui, non lo è mai stato, trovarsi faccia a faccia col silenzio. E pure la solitudine ormai è diventata amica dei più, grazie ad una frequentazione decennale, di giorni trascorsi a vedere gli abitanti diminuire, le nuove generazioni partire. Amica degli anziani come dei pochi bambini, nuove leve del coraggio di crescere con pressoché nulla intorno, che si accontentano di una piazzetta semivuota per inscenare fantasie e immaginazioni, di un muro che gli restituisca la palla, per riscaldare le storte ossa al sole. Amica, dico. Come di una presenza che si sceglie di avere nella propria vita, cui si dedica e si dona una parte circostanziata del proprio tempo.
I pomeriggi, ad esempio, nell’ora del riposo che segue il pranzo, tutto, a San Giovanni, si tace, così come nel grosso dei giorni invernali e in qualsiasi condizione di luce, quando spetta al vento rotolare le sparute residue foglie d’autunno per intonare quasi un lamento al sonno. E ai sogni.
Si impara presto a guardare verso il mare qui, per racimolare aria e spazio, tenendosi la montagna alle spalle. Se dal versante ovest della vita di questo paese, il pantagruele del Monte Stella la fa da padrone imponendosi come limite e chiusura, a sud lo sguardo può sempre imbarcarsi verso la vie en rose delle sere estive, quando la costa si colora di petali di possibilità di vita condivisa e rumore.
Eppure, a guardar bene, anche qui la quotidianità ha conservato i suoi rituali e questo ritaglio di comunità continua ad esserne protagonista, perpetrando piccoli cerimoniali collettivi che ne assicurano la sopravvivenza.
I mattini sono per lo più dedicati ai parlamenti del trappito, dove gli anziani si riuniscono per fare, come si faceva alcuni ventenni fa, il punto della situazione. Se originariamente era di raccolti e metodi di potatura e innesto che si ragionava, oggi qualche “futilaggine” e qualche gossip sembra richiedere il suo riscatto, e non mancano gli aggiornamenti sulla vita privata di noti e meno noti, in un tutt’uno che mette sullo stesso piano very important person e very normal people.
L’insieme è condito con un necessario pizzico di antica saggezza a buon mercato che rende tali conversazioni il fulcro di quel continuum della tradizione cui si finisce per guardare sempre con rispetto, nonostante le smagliature dovute alla modernità e al suo avvento.
E gli anziani restano la muraglia e la resistenza anche in tempi come questi, in cui quella solitudine e quel silenzio cambiano volto, e si mostrano con sorrisi arcigni e sguardi sornioni, divenendo da amici nemici, da scelta costrizione. Si siedono ad un metro di distanza, indossano mascherine. Si sentono appena, ma continua il loro parlare, quel chiacchiericcio fastidioso è la misura della loro battaglia contro un nemico che è così diverso da visualizzare per chi è abituato a vederlo vestito di una ben riconoscibile divisa.
Noi altri, noi giovani adulti, così connessi, così virtualmente vicini e troppo spesso così geograficamente distanti, riconosciamo di mancarci, abbracciamo un cellulare, baciamo uno schermo, smarriti più di loro, sparpagliati ed inutilmente auto muniti, spaventosamente flessibili alle esigenze dello smart working, proiettati in un futuro fatto di un prima e un dopo coronavirus che non avremmo mai immaginato di dover affrontare. Siamo meno provinciali, ma più isolati, meno irresponsabili ma ne veniamo maggiormente puniti, poiché è a noi che spetta ora il ruolo dell’esempio, della ragionevolezza, della pazienza. Di essere la resilienza.
Francesca Schiavo Rappo