Le esternazioni impetuose di De Luca adoperate nel tentativo di riuscire a contenere l’emergenza coronavirus si possono capire solo leggendo i numeri del sistema sanitario regionale. Secondo i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) calcolati dal Ministero Della Salute, la Campania risulta in griglia tra le regioni meno attrezzate della nazione. Se in termini numerici il ministero ha stabilito che il punteggio minimo che garantisce i requisiti basilari di efficienza è 160, la Campania è a 153 (con un gap di 70 punti dal Piemonte primo in griglia), sopra la Calabria(136) e la Sardegna(140) ma sotto Sicilia (160), Molise(167), Puglia (179) e Basilicata (189, la più virtuosa del sud). Dati che potrebbero essere contestati dal periodo che è stato preso in esame, ovvero dal 2012 al 2017, e che quindi darebbe spazio a speranze di rimonta da parte della regione Campania per gli anni successivi. Ma i fatti smorzano tali speranze e ci consegnano un quadro della situazione drammatico.
Oltre a ospedali chiusi in giro per la regione, a posti letto insufficienti (in condizioni normali) e al blocco del turn over che ha lasciato a casa 45 mila unità in otto anni decimando gli organici dei presidi ospedalieri, c’è la fatiscenza degli edifici sanitari e, spesso, anche la poca attenzione all’igiene. Come avviene al San Giovanni Bosco di Napoli dove, oltre al cedimento del soffitto della sala parto (15 gennaio 2019), una signora cingalese è stata intubata tra le formiche. Fatto che ha comportato la conseguente chiusura dell’accettazione chirurgica del pronto soccorso per un’ora. O ancora, ad aprile 2019, all’ospedale Incurabili di Napoli, i numerosi crolli hanno costretto l’Asl Napoli 1 a chiudere la struttura e a trasferire i malati; nonostante le prime crepe siano state denunciate già a settembre 2018 quando fu chiusa la storica “Farmacia degli Incurabili”.
Non solo, secondo il Fattoquotidiano.it il 50% della sanità campana non rispetta i requisiti minimi (strutturali, tecnologici e organizzativi) soprattutto per quanto riguarda l’igiene in mancanza di “percorsi differenziati per materiale sporco e pulito alla zona filtro per i degenti e un’altra per il personale sanitario nelle terapie intensive, ai massimo quattro posti letto per camera di degenza e a un bagno ogni quattro malati, alla zona risveglio distinta da quella in cui viene addormentato il paziente nel blocco operatorio” (Fattoquotidiano.it).
Invece nel verbale ministeriale redatto il 18 luglio 2018 si evidenziano carenze degli screening oncologici, e problemi legati alla prevenzione, ma anche all’organizzazione e al frazionamento dei percorsi diagnostici per le neoplasie. Tutto ciò proprio nella Terra dei fuochi dove insiste l’emergenza cronica per eccellenza della Campania; peraltro mai risolta. Mentre il tempo di arrivo del primo soccorso nella rete dell’emergenza (20 minuti nel 2017) è superiore alla soglia ritenuta adeguata.
Saltano all’occhio anche le prestazioni acquistate dai privati, con una lievitazione rispetto al 2017 di 128mln di euro spesi tra: assistenza ospedaliera, specialistica ambulatoriale e assistenza riabilitativa. La Regione primeggia anche in una classifica spaventosa per il numero di “morti evitabili” non avendo una rete Stroke (ictus, ndr), una rete trauma e una rete per le emergenze materno infantili. Inoltre solo il 10% dei pazienti colpiti da ictus ha accesso a cure ritenute “efficaci”. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità (marzo 2019), la Campania è anche la prima regione italiana per mortalità materna.
Anche l’ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, a gennaio 2018, nel corso della trasmissione televisiva PresaDiretta, affermava che, se il Sud Italia occupa l’ultimo posto in Europa in termini di aspettativa di vita, la zona di Napoli è in assoluto “la peggiore dove nascere” con un gap di “otto anni rispetto ai Paesi dell’Unione Europea”.
Tutto questo si somma alla chiusura del presidio ospedaliero di Agropoli, in un distretto che comprende circa 50mila persone (d’inverno).
Per questo i toni del governatore De Luca testimoniano una preoccupazione di chi sa bene che una tale emergenza come quella del Covid-19 il sistema sanitario campano non se la può minimamente permettere. E forse persino lui, tanto fiero del suo operato, adesso potrebbe avere dei rimpianti per non aver concentrato tutte le energie disponibili a tutela della salute pubblica.