Allorquando il lavoro di scavo, attuato dall’archeologo con il suo staff, porta alla luce un reperto organico (ovvero resti umani, animali o vegetali), la naturale fase successiva consiste nel collocarlo nel tempo ovvero stabilire l’età; esistono alcune tecniche di datazione, viene impiegato fondamentalmente il metodo del carbonio radiottivo o radiocarbonio, simboleggiato con la formula C14. Tale metodologia è basata su un aspetto coinvolgente qualunque materia organica vivente: in quest’ultima è contenuta una ben definita quantità di C14; dal termine del ciclo vitale, in divenire, tale quantità di C14 si dimezza al trascorrere di 5.730 anni (a titolo di esempio, se il quantitativo di C14 è di 100 unità all’atto della morte, diverrà la metà – 50 unità – dopo 5.730 anni, 25 unità trascorsi altri 5.730 anni…). Dunque è possibile, dalla misura con idonei strumenti di quantitativo C14 rimasto nel reperto organico, risalire all’epoca caratterizzante il reperto. Ma procediamo con ordine. Sono due i fenomeni, correlati alla energia nucleare, che consentono di stabilire l’età di una roccia, di una pergamena, di un sigillo di stoffa… Sono: la RADIOATTIVITÀ ed il DECADIMENTO RADIOTTIVO. Il nucleo di atomi, costituenti glielementi, resta stabile e compatto grazie alla Forza nucleare che riesce a “tenere incollati” i protoni, nonostante tra essi si sviluppino forze tendenti ad allontanarli (cariche concordi, + e + , si respingono). Questa Forza nucleare, in termini matematici, “è inversamente proporzionale alle dimensioni del nucleo”; cosa significa? Significa che all’aumentare delle dimensioni del nucleo, la Forza nucleare diminuisce, quindi più il nucleo è grande, a causa del consequenziario decremento di Forza nucleare esso tenderà a disgregarsi. Il fenomeno di dissoluzione è accompagnato da emissione di energia sotto forma di radiazioni (alfa, beta e gamma), ed è definito “radioattività”. L’emissione di radiazioni di un elemento radioattivo, quali effetti produce? Innanzitutto implica la trasformazione dell’elemento radioattivo in un diverso elemento radioattivo, quest’ultimo si convertirà in un altro elemento radioattivo, e via proseguendo… Verrà originata una serie radioattiva, nella quale l’ultimo elemento è, finalmente, stabile, ossia non più radiottivo. Il decadimento radioattivo consiste nella suesposta trasformazione degli atomi di un elemento, in atomi di un diverso elemento. Risulta impossibile la esatta previsione del decadimento di un elemento radioattivo in un altro elemento; ma è determinabile, con sufficiente ed accettabile approssimazione, il tempo, trascorso il quale decadrà la metà degli atomi della sostanza, con scaturente effetto di trasformazione nell’elemento stabile: viene definito “periodo di dimezzamento”, esso rappresenta una sorta di “carta d’identità” caratterizzante lo specifico elemento. Analizziamone alcuni: il periodo di dimezzamento più lungo è relativo all’Uranio 238 e vale 4.500 milioni di anni; quello più breve concerne il Sodio, appena 15 ore. Tornando alla datazione, per risalire all’età è sufficiente determinare: in quali proporzioni sono presenti gli atomi dell’elemento radioattivo e gli atomi dell’elemento stabile che dal primo conseguono; la somma del numero di atomi dell’elemento radioattivo e di quelli dell’elemento stabile, fornisce l’iniziale numerodi atomi radioattivi presenti nel reperto. Pertanto, conoscendo il tempo di dimezzamento dell’elemento radioattivo e le due quantità, iniziale e finale, è possibile agevolmente determinare l’età. Un esempio applicativo. Supponiamo che, inizialmente, la misurazione di atomi fornisca 16 atomi di Uranio, dobbiamo pervenire ad un atomo di Uranio; poiché il periodo di dimezzamento dell’Uranio è 4,51 miliardi di anni, questo implica che occorrono 4 periodi di dimezzamento per giungere da 16 a 1: 16-8; 8-4; 4-2; 2-1; dunque: 4,51 miliardi di anni x 4 = 18,04 miliardi di anni; pertanto 16 atomi di Uranio presenti, forniscono l’età del reperto: 18,04 miliardi di anni. L’età della Terra, almeno 4.500 milioni di anni, è stata determinata con tale metodologia. Vi è da specificare l’importanza degli atomi radioattivi: è possibile impiegarli in ricerche che risulterebbero inattuabili qualora si utilizzassero atomi normalmente non radioattivi. Esistono “indicatori radioattivi” utilizzati nel campo della ingegneria e nel settore della medicina; in àmbito ingegneristico, rendendo radioattivi i pistoni della vettura, si valuta il grado di usura delle componenti del motore d’automobile. Quando il motore sviluppa la sua potenza, la superficie di tali componenti urta di striscio contro le pareti del cilindro, accade che minute particelle di metallo radioattivo cadono nell’olio lubrificante, ed un apparecchio misuratore (contatore Geiger) valuta quantitativamente il grado di concentrazione di queste particelle; effettuando nuovamente la prova con oli diversi, si accerta quale possa essere l’olio in grado di garantire la minima usura ed il massimo arco di tempo di funzionamento del motore. In medicina gli indicatori radioattivi consentono di studiare il processo di digestione e le modalità di spostamento nel corpo delle sostanze chimiche: viene somministrato del cibo contenente minime quantità di atomi radioattivi, delle quali si valutano i movimenti attraverso un contatore Geiger; analogo metodo viene applicato allo studio della circolazione del sangue, che obbedisce alle leggi ed ai principi della Fisica idrodinamica. I raggi delle sostanze radioattive, emessi in quantità rilevanti, possono danneggiare o uccidere le cellule del corpo umano; dunque, negli ospedali, nelle fabbriche e ovunque esistano sostanze radioattive in circolazione, è assolutamente indispensabile attuare importanti meccanismi e perentorie misure di sicurezza. Variando settore, possiamo considerare la più importante particella di materia, sicuramente l’elettrone; è difatti un flusso di elettroni mobili all’interno dei conduttori di energia elettrica, a rappresentare la corrente elettrica; sono inoltre i cosiddetti “elettroni di valenza” a determinare l’evolvere di una reazione chimica. I risultati di esperimenti scientifici hanno stabilito una duplice natura elettronica: gli elettroni agiscono sia come onde elettromagnetiche, sia come particelle orbitanti; la meccanica classica descrive la luce in termini di onde luminose, ed inquadra l’elettrone come una particella. Secondo un principio di base della meccanica quantistica, è impossibile conoscere contemporaneamente la posizione esatta e le caratteristiche cinematiche di un elettrone; ciò significa che la traiettoria e la velocità dell’elettrone non possono essere determinate con accurata precisione. Ciò su cui si può indagare è una regione dello spazio intorno al nucleo, dove esiste un’alta probabilità di trovare la carica negativa dell’atomo, appunto l’elettrone. Matematicamente, questa distribuzione di probabilità è descritta da una equazione; in altre parole, la distribuzione degli elettroni in un atomo può essere descritta da formule matematiche e da concetti fisici concernenti le onde. Anche nel settore ottico, l’impiego di elettroni è di capitale importanza, per ottenere ingrandimenti di immagini; relativamente a quest’ultimo obiettivo, possono essere impiegati sia microscopi ottici, sia microscopi elettronici; il dispositivo ottico utilizza onde luminose, in quello elettronico un fascio di elettroni sostituisce le onde di luce; inoltre, un sistema di lenti rimpiazza le bobine magnetiche. Infine, nello schema stilizzato rappresentativo: N-S (nord – sud) sono le espansioni polari di un sistema magnetico; le frecce indicano il percorso dei raggi luminosi e degli elettroni; l’ultima freccia rappresenta l’immagine amplificata.
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