I criteri di selezione culturali che rendono un bene immateriale, opera del genio umano, ammissibile per la candidatura a patrimonio mondiale Unesco ci parlano, tra l’altro, di testimonianze uniche ed eccezionali su tradizioni ed eventi legati ad idee, credenze ed espressioni artistiche e letterarie alle quali sia possibile riconoscere un significato universale.
Risponde, a ragione, a tali requisiti il Carnevale di San Mauro Cilento, antichissima messinscena conservatasi originale nei decenni, indicata tra le manifestazioni che, per la sicura derivazione delle sue caratteristiche dal mondo antico, si colloca tra le più significative per storicità, antichità, contenuti e tipicità.
Custodita nello scrigno naturale del Cilento interno, la Màschkarata sanmaurese condivide col mondo romano del “teatro nel teatro” plautino, a sua volta contaminato da quello greco, la peculiarità di una dimensione ludica in cui i protagonisti, le maschere, sono personificate da tipi convenzionali dal nomen omen, i quali incarnano già la comicità rovesciata propria di un canovaccio apparentemente letto ma sempre passibile di nuove interpretazioni.
Sfilano così le Zite, uomini vestiti da donna all’antica maniera, il Volante, il Turco, il Vescovo e il Prete, la Morte, la Doppia Persona, il Medico e il Pescatore, il Notaio, Pulcinella, il Barbiere e il Cacciatore, e se spetta al Diavolo annunciare l’imminenza della Màschkarata al suo banno iniziale è perché anche Dio, col Carnevale, accetta di abdicare al suo ruolo e di capovolgere il naturale ordine delle cose in nome di quelle radici classiche, echeggianti i Saturnali, in cui tutto è finalmente sovvertito senza che ci sia alcun rischio di ammenda. Anche il pubblico è necessario coadiuvante dello spettacolo ed è ammesso a farne parte, divenendo un coro cui viene affidato il potenziamento della beffa, libera così di svilupparsi secondo declinazioni improvvise e sempre nuove. Lo spettacolo non ha mai davvero una forma compiuta, rimanendo perciò sempre unico per la sua estemporaneità.
Si tratta di un Carnevale arcaico, che tuttavia non esula, nella sua calendarizzazione, dalle mobili ritualità cristiano-cattoliche della Quaresima e del Mercoledì delle ceneri e che dalla cultura cattolica ricava, per contrappasso, il fiele della messa in ridicolo delle sue prime autorità. Gli elementi anticlericali, ascrivibili anche ad una evoluzione storica del Carnevale stesso, sono evidenti negli atteggiamenti opposti al moralismo dottrinale gerarchico delle maschere del Vescovo e del Prete, quest’ultimo in particolare responsabile, per copione, di un ratto delle Zite che mette l’intera compagnia nell’agitazione convulsa e confusa della commedia di strada.
Il locale Museo del Carnevale è l’officina creativa della manifestazione. È lì infatti che sono conservati i manufatti originali dai quali annualmente gli artigiani calcano la manifattura dei vestiti e delle maschere, dettagliati, per ogni personaggio, nella colorazione e nei tratti. Il Museo, che oggi conta un numero discreto di visitatori, è l’ulteriore riprova di quanto prezioso sia l’intero apparato che contribuisce al singolo evento della rappresentazione, in quanto matrice di un circolo virtuoso di azioni culturali che assicurano la conservazione e la valorizzazione di conoscenze e competenze di eccezionale virtù nello spettro di una tradizione tra le più antiche del nostro Cilento interno.