Il paesaggio è diventato uno degli elementi essenziali per determinare l’attrattività di un territorio per chi vi arriva per turismo. Allo stesso tempo, anche chi in quel determinato spazio vi consuma la sua esistenza ha diritto di goderne a pieno sia per quel che concerne l’ambiente naturale sia per chi abita e vive nei borghi.
L’UNESCO dichiarò patrimonio dell’umanità il Parco proprio per “I Paesaggi culturali del Parco del Cilento e Vallo di Diano, con le emergenze archeologiche di Paestum e di Velia e con la Certosa di Padula”. Per cui l’accordo quadro tra “il Parco e l’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Salerno” non fa altro che prendere atto che questo patrimonio va tutelato non solo nella sua conservazione ma anche nella sua naturale evoluzione nel tempo per adeguarlo alle esigenze della modernità alla quale ha diritto di accesso anche chi vive nell’area protetta.
Restano però nel nostro territorio innumerevoli scheletri che non si possono nascondere negli “armadi” o far scivolare sotto i “tappeti”, ma ci tocca vederli all’opera mentre nella loro “bruttezza” fanno brutta mostra di sé.
Chi li ha immaginati, progettati, finanziati e infine deciso di lasciarli incompiuti?
A chi addebitare l’onere di rimuoverli dalla vista di quanti vivono al loro fianco o li intravedono durante il loro passaggio nei luoghi che li ospitano?
Visto che l’accordo prevede che l’Ordine organizzerà “delle giornate formative rivolte non soltanto agli Architetti ma anche ad altre categorie professionali e ai membri delle comunità locali del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, non sarebbe opportuno far esercitare professionisti e amministratori nel ricercare, catalogare, capire, come si è potuto arrivare a spendere ingenti risorse per realizzare i manufatti e poi lasciarli spogli di ogni funzione?
Questo, però, riguarda il passato!
Resta ancora da vedere e capire se, nell’ambito dell’accordo sottoscritto, c’è spazio per immaginare cosa fare relativamente a circa il 50% del patrimonio abitativo dell’intera Area Parco situato nei borghi al di sotto dei 1000 abitanti (ma anche quelli più grandi non ne sono immuni).
Si tratta di case situate nei centri storici dei piccoli e medi comuni che sono del tutto abbandonate e rese inabitabili dall’abbandono da parte di chi ha scelto di emigrare lontano ma anche di chi ha scelto di vivere in più confortevoli palazzine costruite a valle o a monte del paese stesso.
Né il consiglio direttivo del parco, né la comunità del Parco (composta dai sindaci dei comuni i cui territori sono compresi nel perimetro dell’area protetta), né l’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Salerno si sono mai posti il problema, tantomeno si sono impegnati ad aprire un dibattito pubblico sulla problematica.
I due enti sottoscrittori si sono impegnati a mettere “in campo strategie e azioni comuni, utili al miglioramento delle attività di formazione, gestione integrata, pianificazione, conservazione e valorizzazione sostenibile di paesaggi culturali, dei centri storici e dei territori antropizzati che fanno parte del Parco. Tali azioni verranno attuate sia a livello formale che sostanziale, tenendo conto dei riconoscimenti UNESCO e delle convenzioni internazionali che sanciscono il coinvolgimento delle comunità locali nei processi di sviluppo economico”.
A leggere i propositi dell’accordo e se le parole hanno un senso non ci sono dubbi!