Dopo il risultato dell’Emilia Romagna l’azione politica irruenta e allo stesso tempo carnevalesca che Salvini ha concentrato in questa singola elezione avrà certamente una conseguenza in campo nazionale. Quando si pompa a dismisura un appuntamento elettorale, scommettendo su di esso il tutto per tutto, superando talvolta anche i limiti del decoro istituzionale, inevitabilmente il fallimento ha una risonanza direttamente proporzionale all’importanza che Salvini stesso ha dato a queste elezioni regionali. Per il leader del Carroccio era fondamentale sventolare, nella storica regione rossa, la bandiera del consenso e, in funzione di questa, delegittimare la maggioranza attualmente al governo.
Fallita la spallata, tutte le speranze di andare ad elezioni politiche nel breve termine sono di colpo svigorite e la strategia dell’attacco frontale è risultata fallimentare e deleteria. Quando si perde un’elezione sul quale il leader del partito di maggioranza relativa (secondo il risultato delle europee 2019) ha messo la faccia (scavalcando in visibilità la vera candidata, cioè la Borgonzoni), portando il dibattito politico a livelli esasperati, stressando eccessivamente l’opinione pubblica, si corre il rischio di uscirne storditi e innescare un effetto domino calamitoso che potrebbe condizionare gli altri appuntamenti elettorali che si terranno tra maggio e giugno in Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto. E Salvini più di quello che ha fatto in Emilia non può fare e se tutti gli sforzi e le risorse impiegate non sono riuscite a dare la spallata al governo Conte, forse nel Paese potrebbe presentarsi un racconto politico diverso; di un Salvini che parla, esaspera e fa il bullo senza mai portare il risultato a casa. Questo, come sta accedendo a tutti i nuovi leader dell’ultimo decennio, finisce per stancare e basta che arrivi un volto nuovo che subito il vecchio viene accartocciato e cestinato da un elettorato che ha dimostrato di essere molto lesto nel cambiare partito e salvatori della patria. Come sanno bene Renzi e Di Maio.
In ogni caso, la vittoria di Bonaccini dà fiducia ad una maggioranza intimidita dalla “Bestia” (propaganda, ndr) di Salvini e ristabilisce un ordine logico nel proscenio politico in cui c’è almeno un bipolarismo e non solo il popolo leghista.
Esce lacerato, come facilmente prevedibile, il movimento 5 stelle che è in una fase nuova, dopo le dimissioni da capo politico di Di Maio, ma che potrebbe essere anche l’ultima.
Certamente questa flessione del consenso leghista apre un crepa nella montagna rocciosa del centrodestra dove a potersi infilare è Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia in forte ascesa, che ha anche superato Forza Italia nei sondaggi, che è stata indicata dal Times come “una delle personalità che potrebbero cambiare il 2020”.
L’onore delle armi va attribuito anche alle sardine che hanno rispolverato un popolo che si dava per perso, anche se la loro unica funzione è stata essere la scintilla di un qualcosa che è ben lontano dall’essere definito uno schieramento politico che propone soluzioni. Anche perché, ogni volta che ci provano, finiscono per contraddirsi addirittura sul palco. Ma è giusta la loro scelta di togliersi dalla scena pubblica e televisiva, come hanno annunciato dopo l’esito delle elezioni, per cercare di meditare e di comprendere questo fenomeno di massa che persino loro faticano a gestire. L’unica cosa certa è che il destino delle sardine è legato indissolubilmente a quello di Salvini. E il destino di Salvini passa anche da una sconfitta cruciale come questa.