Il Cilento è una terra ricca di storia e storie, biografie e ritratti di grandi uomini e donne che hanno contribuito alla costruzione dell’identità del nostro magnifico territorio.
Ricordo sempre con profonda nostalgia i racconti delle mie nonne: narrazioni tramandate di generazione in generazione. I momenti migliori per il racconto di una storia erano i pomeriggi d’inverno accanto al fuoco o d’estate al crepuscolo.
“Bella re nonna, ara sapé ca na vota ng’era…” (“Bella di nonna, devi sapere che una volta c’era…”)
Per lo più cominciavano tutti così i loro racconti, quasi come se fossero delle favole… ma si trattava di narrazioni vere e proprie di storie di donne e uomini, pionieri cilentani, alcuni più conosciuti… altri meno.
Ho avuto la fortuna di crescere con la preziosa guida delle mie nonne, donne d’altri tempi, impavide, sagge: quella materna, Giovannina, e quella paterna, Rosina. Con quest’ultima i momenti per il racconto di una storia si moltiplicavano d’estate, nelle giornate trascorse sul Monte Gelbison, dove la mia famiglia, da 4 generazioni, porta avanti un’attività commerciale di souvenir del Santuario. E lì, a 1707 metri di altezza, con il fruscio delle foglie dei faggi accarezzate dal vento a fare da sottofondo ai racconti di nonna Rosina ed un raggio di sole a scaldarci corpo mente e cuore, ho più volte ascoltato il ricordo di un uomo che ha contribuito attivamente alla crescita del Cilento: il canonico don Luca Petraglia.
Nato a Piaggine nel 1869, don Luca è stato Rettore del Santuario del Monte Gelbison dal 1907 al 1946.
Sotto il suo rettorato si verificò il furto degli ori della Madonna del Sacro Monte ad opera di un brigante molto conosciuto nel circondario e temuto da tutti per aver commesso svariati crimini: tale “Tocolante” o “Tuculante” (mi perdonerete se non ne conosco la grafia esatta ma se i racconti orali hanno un limite, è proprio quello che in taluni casi non se ne comprende e/o non se ne ricorda perfettamente la pronuncia).
Nonna mi raccontava sempre che don Luca Petraglia aveva due animali “domestici” ai quali aveva dato anche il nome: il lupo Bruno e la volpe Geppina. Un piccolo-grande particolare, questo, che comincia a delineare il profilo di un uomo “sui generis”, fuori dal comune.
È grazie a lui se Vallo della Lucania, oggi, ha l’ospedale San Luca. Infatti, nel lontano 1910 il quarantenne don Luca Petraglia pensò per la prima volta di costruire un ospedale per i poveri del circondario. Un anno dopo, nel 1911, per far conoscere la propria idea fondò il giornale “Charitas”.
Nell’editoriale di presentazione don Luca scrisse: “Lettori, un’ardimentosa idea da anni mi riscalda il cuore e la mente. Questa idea è la fondazione di un Ospedale, in queste terre lucane, in beneficio degli infermi poveri. Io al trionfo, al compimento di quest’opera consacrerò la vita, le forze, tutto! Il Signore che legge nel fondo del cuore degli uomini conosce la rettitudine delle mie intenzioni. L’Ospedale che sembra un’utopia, diverrà in breve una palpitante realtà. Il cuore me lo dice, ed il cuore è profeta! […] L’ho sempre vagheggiata come un sogno lontano, non ignaro degli ostacoli e delle amare delusioni che incontrerò sul cammino. Quest’idea è la fondazione di un ospedale in queste terre lucane in beneficio degli infermi poveri, per alleviarne in qualche modo le amarezze della vita. L’impresa, lo so, è ardua, ma non del tutto irrealizzabile, poiché per le elargizioni di alcune persone generose fin da ora dispongo di una somma considerevole. E poi fo fidanza anche sul vostro aiuto, lettori carissimi. Da voi spero che non solo vogliate interessarvi di accogliere delle offerte, siano anche minime, per l’erezione dell’ospedale, ma farvene propagatori con gli amici, coi conoscenti e colle persone che in un modo qualunque potessero avvantaggiare l’opera”. E don Luca continuava con forti inviti: “Tutti sentono la mancanza di un ospedale nel nostro circondario, tutti debbono adoperarsi per raggiungere lo scopo”. “Cittadini della Lucania, non dormite: pensate che l’ospedale che dovrà sorgere un giorno potrà essere utile a tutti”.
A causa dello scoppio della Grande Guerra, i lavori per la costruzione dell’Ospedale furono rinviati fino al 1928. Dieci anni dopo la struttura era finalmente pronta. Don Luca scelse di chiamarla “Il Samaritano” e, con l’aiuto dell’avvocato Gaetano Di Vietri, raccolse fondi tra le famiglie agiate di Vallo della Lucania, di Castelnuovo Cilento, di Moio della Civitella, di Maratea e tra i vallesi emigrati.
Don Luca Petraglia morì sul Sacro Monte l’8 giugno 1947, a seguito di un improvviso malore. Con il suo testamento, dispose la donazione della struttura al Vescovo e lasciò anche indicazioni per la gestione amministrativa dell’Ospedale, da chiamarsi “San Luca” in onore del suo Santo. La sua opera venne portata avanti da don Alfredo Pinto e, alla sua morte, da don Pietro Gugliemotti. Fu proprio quest’ultimo a porre le basi per il futuro sviluppo del presidio che vide poi la sua inaugurazione nel dicembre 1956.
Ripensando ai racconti di mia nonna su don Luca Petraglia e ai ricordi di me bambina scorrazzante nei pressi della casa paterna, ce n’è ancora uno più vivido e presente nella mia mente. A chiusura del Santuario, don Luca viveva tra Vallo della Lucania e Novi. La casa di Vallo era situata vicino la casa di mia nonna e per questo ho avuto modo di passarci accanto migliaia di volte. Sulla facciata della casa don Luca aveva apposto una targa con la scritta “Di questa casa che con tanta cura hai costruita tu non sei che ospite per chi non conoscerai edificasti”.
La casa allora aveva un solo piano. Oggi è stata completamente ristrutturata e ammodernata ma gli attuali proprietari hanno avuto la cura di mantenere la targa intatta.