Fonte di Roccadaspide è una delle 5 contrade della Città delle Castagne, come recitano i cartelli posti sulle strade che danno accesso al territorio comunale.
La contrada, situata lungo la SS 166 che da Capaccio Paestum arriva fino a San Rufo nel Vallo di Diano, è una realtà attraversata dalla “storia” fin dall’antichità. Infatti, i flussi “migratori” provenienti dalla Puglia e in particolare da Sibari portarono quelle popolazioni a fondare una sub colonia sulla sponda sinistra del fiume Sele, Poseodonia in seguito ribattezzata Paestum dai Romani.
Per cui, essendo un luogo di passaggio, si è prestata a cedere ed ad assorbire ogni tipo di influenza testimoniate da decine di reperti custoditi al museo archeologico di Paestum ritrovati tra Fonte e Tempalta, quest’ultima situata a metà strada tra la pianura e Monte Doglie proprio sulla via Istmica.
Falegnami, fabbri, agricoltori e raccoglitori sono stati l’anima sociale di questa realtà che pur evolvendosi nell’arco dei secoli ancora oggi esprime una vitalità imprenditoriale che dialoga e commercia in Italia e con il resto del mondo.
Fonte stessa è suddivisa in piccoli ma significativi borghi: Taverna, Casalotti, Rovitelle, Pedaline, Seude vecchia e nuova; su tutte domina Verna posta in cima ad uno sperone da cui la vista spazia fino al mare ed anche oltre.
Il “patrono” che la comunità ha eletto a protettore dei contrada è San Michele Arcangelo che viene festeggiato con una festa molto partecipata da chi vive a Fonte e che richiama nella terra natia anche numerosi emigranti che non resistono al desiderio di essere parte della tradizionale processione e festa che si rinnova ogni anno.
La processione vede la statua del santo partire dalla Cappella posta in cima ad una collinetta e percorrere il lungo rettifilo che è la colonna vertebrale lungo la quale si svolge la vita fontese per poi ritornare nella sua nicchia dove si svolge la festa civile dopo la funzione religiosa.
Con il capoluogo i rapporti sono sporadici e dettati più da necessità burocratiche o dalla pietosa consuetudine di visitare i propri cari sepolti nel cimitero cittadino che da un vero afflato con il capoluogo. Solo i giovani che frequentano le scuole medie, inferiori e superiori, presenti a Roccadaspide hanno per un certo periodo della propria vita una consuetudine di presenza quotidiana nel “capoluogo” della Valle del Calore. Per il resto, sono in tanti a volgere lo sguardo verso il mare frequentando il più vicino centro commerciale di Capaccio Scalo.
Gli oltre 2000 abitanti della “frazione” di Fonte vivono costantemente in una condizione di rischio in quanto completamente sprovvista di infrastrutture di primaria importanza in un centro abitato, ma che diventano “salvavita” lungo una strada rettilinea trafficata giorno e notte da un alto numero di automobili, camion, trattori ed altri mezzi agricoli che lasciano poco “scampo” a chi decidesse di spostarsi a piedi o in bicicletta.
Pertanto, anche chi deve spostarsi per poche decine di metri si vede costretto ad infilarsi in auto per evitare di restare stritolato dal mondo meccanizzato che si sposta, quasi sempre, ampiamente al di sopra dei limiti di velocità imposti dal codice della strada: non esistono marciapiedi, né percorsi pedonali; non c’è un centro sociale, né spazi culturali …
Solo il numero dei bar è cresciuto al di là di ogni canonico rapporto con il numero degli abitanti perché sono gli unici locali dove ci si incontra la sera se si decide di uscire dall’infinità di case sparse nella campagna a tagliata in due dalla SS 166.
Ripetutamente i giovani di varie generazionihanno fatto gruppo per creare momenti di comunione sociale e sportiva ed anche per chiedere spazi utili e aperti. Le risposte sono state scarse e, quando ci sono state, tardive.
Negli ultimi 15 anni, a Fonte si sono insediate decine di nuove aziende e tante altre già esistenti si sono allargate per diventare “grandi”. Infatti, la realtà imprenditoriale fontese è il vero polmone economico del comune in quanto le aziende hanno eretto capannoni, creato lavoro, assunto personale ed elevato il tenore di vita di qualche centinaio di famiglie.
Si tratta di aziende che quotidianamente si confrontano con i mercati nazionali e mondiali, ma non riescono a smuovere dal torpore la realtà in cui operano e, dopo svariati tentativi, hanno chiusi fuori dai cancelli le problematiche relativi ai servizi ed hanno proceduto da soli e solo nella direzione del successo aziendale pensando solo a produrre, a vendere ed a crescere.
Fonte è anche il posto più “turistico” del comune. infatti, alla fine degli anni ’70 furono concesse diverse licenze a costruire a costruttori e privati cittadini per favorire l’insediamento turistico da parte di chi, vivendo nelle vicine città congestionate dal traffico e dallo smog, cercava luoghi ameni dove trascorrere le vacanze estive e i fine settimana. Anche in questo caso, sono qualche centinaia le case realizzate e che hanno visto il loro momento di gloria fino alla fine del millennio. Poi, come accade sempre, ecco che i figli, che da bambini avevano animato la vita delle case poste sul pendio Nord del monte Soprano, hanno preso altre vie per le loro vacanze e molte case rimangono vacanti per buona parte dell’anno se non abbandonate.
Solo l’agricoltura ha continuato a vivere ed a rivivere sotto altre spoglie lo splendore della campagna di sempre. Insiema ai proprietari oggi i protagonisti sono centinaia di “braccianti” immigrati provenienti da ogni dove. Sono loro a far rivivere il mondo agricolo che tanta soddisfazione ha dato ai Fontesi nel secolo scorso. Nel terso millennio il mondo agricolo è riuscito a rinascere grazie ai fondi europei destinati all’agricoltura che ha consentito alle aziende di dotarsi di mezzi meccanici che hanno ridato ai giovani la gioia di lavorare la terra eliminando la “zavorra” della fatica fisica e, soprattutto, mettendo nelle loro tasche un reddito adeguato all’impegno di ore lavorative e di investimenti che l’agricoltura richiede.
È così lontano il tempo in cui Biagio Pingaro, come tanti altri Fontesi, partì nel primo dopoguerra per andare a cercare fortuna in Sud America, prima in Brasile e poi in Argentina. Per lui e per tanti come lui questa terra fu matrigna perché non ebbe la forza per trattenerli e madre perché pianse lacrime amare nell’accompagnarli alla Stazione di Capaccio – Roccadaspide da dove partirono per Napoli dove si imbarcarono su piroscafi a vapore verso l’ignotosituato alla fine del “mondo”.
Qualcuno come Blas Pingaro tornò e raccontò la sua vita in un libro, rivivendo attimo dopo attimo il tempo vissuto da bambino a “secutare” i maiali nei querceti e da giovane a zappare, seminare, mietere e raccoglier i magri frutti della terra. Tanti altri preferirono dimenticare e farsi trascinare dalla forza dell’esistenza targata dal mondo che li aveva accolti.
Chi rimase ha fatto crescere questa generazione di uomini e donne che hanno resistito, sofferto e costruito la realtà che oggi abbiamo sotto gli occhi e dove oggi si vive, tutto sommato, bene!