Nell’Italia dominata dal linguaggio urlato, alterato e senza veli, il successo di Sergio Vessicchio era del tutto scontato una volta approdato nel mainstream della TV nazionale. Il politicamente scorretto, che è divenuto ormai il linguaggio ufficiale a tutti i livelli, piace molto in TV, piace molto sui social e piace tantissimo alle urne. La necessità di bucare lo schermo con la battuta pronta ad ogni costo, la semplificazione di un ragionamento complesso e la spasmodica voglia dei telespettatori di vedere qualcosa che sia oltre, sempre e di più, produce popolarità e di conseguenza sostenitori. Quando Vessicchio pronunciò quella frase deplorevole sulla guardalinee donna, ricevette certo un sacco di critiche, tant’è che dovette chiedere scusa, ma intercettò comunque un suo consenso magari di altre tante persone che condividevano quel che diceva. Nel Grande Schermo non esisto ragioni assolute e colpe irrimediabili. Esistono lo spettacolo e i suoi numeri, e chi ne fa di più quello vince. Infatti il programma condotto da Barbara d’Urso, nel momento in cui è intervenuto Vessicchio, ha toccato picchi di 3.000.000 si spettatori, con il 21% di share. Sul fronte social, l’hashtag ufficiale del programma #noneladurso è stato primo nelle tendenze italiane e terzo nelle tendenze “mondo” su Twitter. Ma questo è spettacolo, ed è doveroso osservarlo dal punto di vista giusto senza demonizzare quel che rimane un momento d’intrattenimento.
E’ ovvio che se la questione viene posta sul piano etico, è doveroso porre sullo stesso piano la maggior parte della Tv italiana che oltre ad essere indecente è anche troppo popolana e, purtroppo, anche troppo popolare.
La cultura dominante del linguaggio duro e superficiale alla Salvini, e prima ancora quello ottimista e arrogante di Renzi contro quello beffardo e imperativo di Grillo, segnalano un Paese che vuole ascoltare parole forti, ad effetto, e, soprattutto, che siano contro qualcuno. Come le Serdine del resto: funzionano perché sono contro Salvini. E’ la prima legge della demagogia orale, del populismo retorico: essere contro e dirlo con il linguaggio che usa il popolo.
Ma come la legge della popolarità vuole, arriva subito e dura poco; giusto il tempo di diventare monotono.
Il consenso, dunque, si è piegato al concetto di intrattenimento diventando una sola entità. Il popolo sceglie chi lo intrattiene meglio, così come sceglie che programma guardare. Con questi parametri si potrebbe spiegare come lo stesso elettorato sia passato dal 40% di Renzi del 2014 al 33% di Salvini nel 2019, passando dal 32% di Di Maio del 2018. Il politico in tv annoia e stanca e, dopo quel momento di gloria, dove gli slogan attaccano e la gente applaude, inizia una rapida parabola discendente proprio perché non riesce più a intrattenere i telespettatori. Ha stancato il pubblico, non è più di “moda”. Una volta c’erano gli elettorati di appartenenza dove ad ogni elezione poteva certamente variare qualcosa, ma c’era uno zoccolo duro sotto il quale non si andava. Il segno della velocità della comunicazione, nel tempo degli smartphone, dei social e della continua ricerca d’intrattenimento, è dentro questo elettorato e dunque dentro questa società senza ideali e senza appartenenza ma con tanta voglia di sentirsi dire le cose giuste nella maniera più semplice e diretta possibile. E la politica si muove, ed è costretta a muoversi, a seconda della lepre lanciata all’attenzione dell’opinione pubblica cercando la risposta efficace in un groviglio di contraddizioni, incoerenze e stati d’animo.
E in questo calderone il linguaggio diretto, scorretto e persino strano di Vessicchio gode di una sua popolarità ma che non va preso sul serio e non deve necessariamente piacere o essere ascoltato. E’ solo spettacolo, per fortuna. Gli altri, invece, governano l’Italia.