Mai come in quest’ultimo periodo si è tanto sentito parlare di globalizzazione, G8, tute bianche, WTO, ma la maggiore parte delle persone ancora non sa che cosa rappresentano. Si cerca di capire, ma ancora tante sono le domande e i dubbi. Ma cos’è questa globalizzazione? Perché sono soltanto otto i Paesi chiamati in causa? E io cosa ne penso? Sono un global o un no global? Cosa è giusto? Si susseguono manifestazione e proteste, ma sappiamo per cosa lottiamo? La globalizzazione è una nuova dimensione della economia. In parole semplici: le industrie dell’Occidente trasferiscono gli stabilimenti nei Paesi meno ricchi. Così gli Americani fanno scarpe in Indonesia, gli italiani abiti in Romania… Le aziende risparmiano e i Paesi poveri si sviluppano economicamente. Ma ad Africani, Asiatici, Sudamericani le multinazionali pagano stipendi da fame, impongono orari selvaggi, non danno contratto e assicurazione per le malattie. Uno sfruttamento selvaggio, ecco cosa potrebbe diventare la globalizzazione! Per questo motivo tanti si sono schierati contro lo sviluppo del “villaggio globale”, ma non è forse questa “lotta” divenuta una moda, un po’ dei new hippie? Brunetta, eurodeputato di Forza Italia, sostiene che queste persone combattono il mondo moderno, come se si opponessero alle trasformazione dell’economia che rende ricco un Paese. Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, in risposta sostiene che i proponimenti sono belli, ma che i fatti si contraddicono. Accusa il G8 perché non è giusto che i capi di otto Paesi decidano per tutto il mondo. Andrebbe fatto davanti ai rappresentanti degli Stati poveri: questa è la vera democrazia!
D’altro canto però ci vorrebbe un po’ più di buon senso. Ci sono problemi che solo i Paesi del G8 possono risolvere. Se si vuole sconfiggere la criminalità organizzata internazionale si ha bisogno della polizia americana, non di quella di un piccolo Stato africano. Molti poi accusano il WTO (World Trade Organization) sostenendo che vi dominano i Paesi ricchi. Un esempio? L’Occidente difende i suoi interessi bloccando le importazioni dal sud del mondo, ma i Paesi poveri sono obbligati a comprare prodotti europei, americani, giapponesi. E’ Anche vero, però, che nel WTO lavorano gli esperti di 141 Paesi, può essere che tutti e 141 vogliono sfruttare i più deboli? La canzone simbolo degli antiglobalizzazione? “Clandestino” del cantante francese Manu Chao, uno dei portavoce antiglobalizzazione. Parla di immigrati in cerca di fortuna, senza documenti e con la polizia alle costole. Sono i poveri del mondo, proprio quelli per i quali si combatte da entrambe le parti. Del resto, però, il CD è il prodotto di una multinazionale, si regge proprio sul mercato globale. Ma nel CD il clandestino è diventato un perfetto consumista. Lo scopo della vita è “mu gustas” tu, il corteggiare le ragazze (in spagnolo camelar), la lasagna, la pioggia, la marijuana… Chi può negarlo? Sono cose piacevoli. Eppure ci domandiamo: possibile che la ribellione ad una riunione di politici che in fondo vuole dare regole alla globalizzazione sia attaccata da chi ha già accettato una globalizzazione senza regole? Molto più ne ha assimilato la filosofia: il cortocircuito universale del gusto, per cui a tutti – bianchi, neri, gialli – deve piacere la stessa cosa. Viene in mente Pier Paolo Pasolini, o forse anche il manifesto del Partito Comunista del 1848 di Marx ed Engels quando profetizzavano un genocidio culturale dei popoli. Ormai sembra essere rimasto un solo e gigantesco popolo, quello della globalizzazione… Tocca alla nostra coscienza decidere se farne parte o meno.