L’idea di incontrare G. Liuccio l’ho avuta molte volte da quando ho fondato il Valcalore. Mi era sempre mancata l’occasione giusta o il momento propizio. L’occasione e il momento mi sono stati offerti dalla presentazione del suo ultimo libro di poesie, Miti di terra e di mare. Avvisato da una telefonata di un amico che, presso la piazzetta della Basilica paleocristiana di Paestum, si sarebbero ascoltate poesie e canti tratti dai testi di Liuccio, mi sono recato nella zona archeologica per godermi una serata di cultura. Gilli Anthea e un bravo “declamatore” hanno fatto il resto: ci hanno regalato una emozionante serata di cultura “fatta in casa” che fa bene al morale e, per molti aspetti, anche alla salute! Anche in quella occasione non sono riuscito nell’intento di intervistare il poeta trentinarese. L’ho raggiunto un po’ di tempo dopo, telefonicamente ma, anche quell’appuntamento è fallito. L’ho rivisto a Roma, presso la sua associazione “Salernitati a Roma” di cui è Presidente e animatore, in occasione della giornata della castagna organizzata per presentare il prodotto principe di Roccadaspide nella capitale.
Giuseppe Liuccio, facciamo una breve presentazione.
Sono un Cilentano DOC. Nato a Trentinara, ho insegnato latino e greco nei licei classici di Salerno e Provincia e poi ho abbandonato la scuola per seguire la mia autentica vocazione che è stata quella del giornalista. Ho fatto il giornalista alla RAI TV per venti anni e più, ora continuo a fare il giornalista della carta stampata, occupandomi quasi esclusivamente del territorio della nostra provincia: Cilento e Costiera Amalfitana. Nel Cilento sono nato, la Costiera è la mia patria d’adozione.
La terra mia, da dove nasce?
“Chesta è la terra mia” nasce da una convinzione mia: per noi Cilentani la lingua italiana è una lingua straniera, come il francese, l’inglese, lo spagnolo. Quando ho voluto scrivere cose che riguardassero la mia terra ho preferito farlo nella lingua che meglio la potesse rappresentare: nel cilentano ci sono tracce di latino, spagnolo, greco… questo lo eleva alla dignità di lingua!
Tra le sue terre c’è anche Paestum, che rapporti ha avuto con l’archeologia?
Il mio primo viaggio l’ho fatto a Paestum. Mia madre mi portò alla fiera dell’Annunziata, che si tiene il 25 marzo. Avevo circa 6 anni e quando passai sotto porta Sirena mi ritrovai di fronte la gloria del sole, la potenza dei templi. Penso che la mia prima scheggia dell’Ulisse che c’è in me sia nata in quel momento. E in quel momento, sono convinto, presi la decisione di dedicarmi agli studi classici. E da allora quell’immagine mi perseguita, nel senso positivo, s’intende, perché tutta la mia produzione poetica e letteraria ne è stata pervasa.
Gli amici ci aiutano ad affrontare le difficoltà. Quanti ne ha avuti e quali i più importanti?
Di amici ne ho avuti tantissimi, perché sono un estroverso, un impulsivo, i più cari sono quelli della politica!
Qual è la sua idea politica?
Sono stato socialista, sono socialista e morirò socialista. I partiti, sono incidenti di percorso, mentre le idee, come diceva Giacomo Matteotti, non muoiono mai. D’altronde come può morire l’idea di ridistribuzione della ricchezza, della democrazia sociale, economica, culturale.
L’amore che cos’è?
L’amore è l’ossigeno della vita. L’amore è l’aria che respiri, è l’atmosfera, è l’entusiasmo… è tutto! Amore è anche nel senso della carnalità, de rapporto uomo-donna, è anche trasgressione. L’amore è la vita.
Lei è stato insegnante. Cosa le resta della scuola?
Tantissime cose. La scuola è il posto dove il docente va per imparare, oltre che per insegnare. E’ una rigenerazione continua. Da docente ho capito anche che non ci sono ragazzi bravi e meno bravi, ma esistono insegnanti capaci e meno capaci. Quello capace riesce a trovare la chiave che riesce ad interessare tutti.
Mentre il giornalismo è stata la professione che le ha dato la notorietà ma l’ha anche sradicata dalla sua terra. Facciamo un bilancio.
Il bilancio è positivo. Uno che nasce a Trentinara e riesce a parlare per trent’anni ai microfoni della radio e della TV, vuol dire che ha avuto da questo mestiere quello che voleva. Me lo sono conquistato con le unghia e con i denti ma ci sono riuscito.
Cos’è il successo per uno nato nel Cilento?
Se attraverso noi stessi, diamo un valore aggiunto al territorio da cui proveniamo, vuol dire che è stato raggiunto il successo. Quando ventimila persone hanno comprato “Chesta è la terra mia” e molti altri l’hanno letta, ascoltata, o vista rappresentata in vari modi, allora credo di avere fatto un servizio alla mia terra. Sono felice di essere definito il poeta del Cilento.
Le partenze e gli arrivi sono una peculiarità di chi vive lontano dal suo paese. Come li vive?
Con lacerazione. Torno spesso nel Cilento e fare un bagno di emozioni nella mia terra. Sia essa Trentinara o Roccadaspide, La valle del Calore o la Costiera, è monte Gelbison o il Cervati, è una terra così ricca di storia e di tradizioni, di miti… che ti comunica emozioni ad ogni passo.
La religione è stato un vissuto parallelo alla sua vita o si è intrecciata nella sua esistenza?
Da ragazzo sono stato in seminario a Vallo della Lucania. Da piccolo ho fatto il chierichetto e poi sono stato molto legato alla religione. Poi me ne sono allontanato perché avevo diffidenza verso l’esteriorità, la ritualità come passerella. Ora mi sto riavvicinando più come uomo che cerca l’infinito che come cristiano che va a messa la domenica.
Uno come lei ha letto tanti libri ed altri ne ha scritti. Qual è il suo preferito?
Uno che mi ha colpito di recente è “Il resto di niente” di Striano. E’ un libro sulla Rivoluzione Napoletana del 1799. Data importante per il Meridione d’Italia perché ha segnato il punto di demarcazione tra quello che eravamo e quello che saremmo dovuti essere.
La poesia è l’altro suo grande amore. Perché si fa il poeta e cosa pensa dei poeti con la p minuscola: quelli che scrivono più per fermare uno stato d’animo che per gli altri?
Il poeta è che uno che capta dei sentimenti. Li capta per sé e li materializza. E’ un poeta se, nel momento in cui gli altri lo leggono, riesce a fare vivere in loro gli stessi sentimenti: allora si è poeti. La poesia, lo diceva Benedetto Croce, è concreazione, il lettore diventa poeta se legge poesia. Io non so se ci sono riuscito, se è accaduto ne sono felice.
Ma in fondo, Giuseppe Liuccio è più vero come poeta o come giornalista?
Credo di essere vero sempre. Però il giornalismo, per ragioni di opportunità, ci costringe a fare piccoli compromessi. Il poeta no; la poesia per sua natura è libera.
Lei ha usato il dialetto e l’italiano nella sua produzione poetica, perché?
Ho scritto quattro libri di poesie in italiano. Alterno la mia produzione perché volevo dare un respiro più ampio ai luoghi simbolo della nostra cultura. Quindi era necessario raggiungere: una platea più numerosa di lettori.
Concluda questa intervista che si è svolta sul lungo Tevere a Roma, con un pensiero alla nostra terra.
I Cilentani debbono essere orgogliosi di esserlo perché siamo portatori di una grande civiltà o di una grande storia. Concludo con un titolo di una bella canzone cilentana: “So natu a lu Cilientu e me ne vanto”.