Considero i giornalisti manovali della parola, operai della parola. Il giornalismo diventa letteratura quand’è fatto in modo passionale”. ( Marguerite Duras)
ALBANELLA. IL MULINO DEI GIARDULLO
“Al suono della tofa i contadini dei dintorni caricavano asini e muli e accorrevano. C’era l’acqua, si poteva macinare. La farina di voleva dire pane fresco e buono”, dice Daniele. “Nessuno ha mai pensato di dare attenzione alla storia del nostro mulino che avanti da cinquecento anni”, aggiunge Enzo. È cos che Annarita, la laureata di famiglia, ha cominciato a raccogliere vecchie carte e fotografie. “Ne far un libro”, annuncia. Per raccontare l’ordinarie di un’attività che “faceva mangiare la gente”. Da tre generazione i mugnai di Albanella si chiamano Giardullo. Non occorre avere chissà quale formazione per capire quale importanza hanno le strutture, per la verità solo parzialmente conservate o distrutte (a seconda dei punti di vista), che convogliavano l’acqua dalla zona di Pian del Carpine. È un museo all’aperto. Eppoi il loro mulino non sarà bello come il Mulino Bianco della pubblicità televisiva, ma vivaddio esiste realmente, e l’area intorno al Malnome, soprattutto a primavera inoltrata, presenta numerosi elementi di suggestione. Le piante di noci e di pioppo, gli aranci e poi la vegetazione fluviale. Ne ha macinata acqua, a volte mite e silenziosa, magari scarsa, altre volte impetuosa e irruente. Da più— di settant’anni tutto governato da corrente elettrica ma il capriccio della natura continua a farla da padrone. Per più— di quattro secoli è stato “il molino del Marchese” poi è diventato “di Giardullo” perché‚ nel 1922, quando l’Italia conobbe una marcia su Roma, Pietro Giardullo pagò a Ferdinando Maresca 40 mila lire del tempo. Fu cos che il molino del Malnome diventò suo e poi della sua famiglia. Si può dire che questo è l’evento che meglio segnala la fine del feudalesimo ad Albanella. Uno dei simboli del potere che passava ad uno degli “uomini nuovi” che da un settantennio a questa parte hanno cambiato il volto a queste terre. Quel mulino era già l da quattro secoli, su una vecchia porta C’è segnata la data ML più— qualcosa c’è già nel 1665, nel Tavolario Pinto, dove il mulino risulta debitamente contabilizzato. Ed una quasi secolare contesa tra alcune famiglie nobili (Moscati, Baccher, Stefanelly e i Costabile) non riesce ad essere risolta dal Tribunale Civile di Salerno. È da poco finita la Prima Guerra Mondiale quando Pietro Giardullo decide di diventare mugnaio (contro il parere dei fratelli) e fu cos che oggi come gli Scacerni del “Mulino del Po'” di Bacchelli, i suoi discendenti possono raccontare stralci di storia economico-sociale. Del mulino ne diventano i proprietari quando il Fascismo è già arrivato è la battaglia del grano è alle porte. La nazione ha voglia di grandezza, ma C’è la fame, e poi ci si mettono gli inglesi che ci fecero pagare con le sanzioni la nostra politica coloniale da straccioni. Dalla vicina Altavilla Federico Di Masi vince un premio per una foto di trebbiatura che pubblica “La Domenica dell’Agricoltore”, giornale diretto da Arnaldo Mussolini. Il Duce si fa riprendere mentre a torso nudo fa il trebbiatore di grano. Il mulino dei Guardullo è al centro della vita sociale di Albanella e dei paesi vicini. Qui si riflettono i piccoli eventi della vita popolare, le leggende, i ritmi delle campagne, vecchie storie che rispuntano quando meno te lo aspetti. I clienti arrivano da tutti i paesi vicini: soprattutto da Altavilla e Roccadaspide. “Al mulino, mica solo al nostro, ci fermava si facevano affari, si combinavano matrimoni, cos sentivo raccontare dai miei”, aggiunge Enzo. C’È poi la particolarità del nome della zona: tutta colpa di un Cuorno (cos’è il nome vecchio) di un fiume impetuoso d’inverno e l’acqua che d’estate scarseggia. Quando l’acqua C’è si può macinare C’è si d fiato alla tofa, ed il suono che esce da una grossa conchiglia marina, fa accorrere i contadini. Ma la modernità incombe. Nel 1937, un’annata particolarmente siccitosa, si decise d’installare il motore a scoppio e poi l’elettricità fornita dalla Sedac. Poi arriva la guerra ed il razionamento. Si mangiava con la tessera. “Ma non bastava. La gente aveva fame”, racconta oggi Giuseppe Giardullo. Fu cos che il capostipite dell’attuale dinastia dei mugnai dovette combattere contro un’ordinanza di chiusura e conobbe l’onta del carcere. “Per fare bene alla gente dovevamo finanche prendere la corrente di contrabbando”, dice sempre Giuseppe. Furono momenti difficili ma il peggio arrivò il giorno dopo lo sbarco del 1943. Il molino si trovò in prima linea nei combattimenti tra tedeschi ed Alleati. E una bomba provocò la morte di Pietro e di sua figlia Margherita, che non aveva ancora nove anni. “Sono momenti che ho impresso nella mente come se fossero avvenuti ieri”, racconta. Poi arrivano gli anni del boom economico e si proceder ad una parziale opera di “industrializzazione” del mulino. Sarà allora che verrà demolita un pezzo dell’arcata che conduceva l’acqua. “Se ci facessero trasferire l’impianto moderno, ci piacerebbe restaurare tutto”, aggiunge Annarita. Tutte le generazioni dei Giardullo lavorano al molino che conserva ancora le attrezzature vecchie di cinque secoli. Un vero museo all’aperto. Da visitare, approfittando della cortesia dei proprietari, e comprando qualche chilo della loro ottima farina.
LA CURIOSITA’
IL NOME DELLA ZONA. La zona dove sorge si chiama Cuorno (e non Corno, come oggi si dice) o Malnome? Una risposta ce la fornisce la causa fu istruita nel 1850 dal Tribunale di Salerno. Al centro della contesa C’è proprio il mulino che oggiè dei Giardullo. Il proprietario di allora, don Giuseppe Costabile, tenta di riparare ad una procedura di pignoramento riparandosi dietro ai due nomi contrassegnano la zona ed il corso d’acqua che l’attraversa. Cuorno o Malnome? La tecnica dilatoria regge poco e le stesse carte restituiscono la verità: fu un usciere dello stesso Tribunale che, nel 1812, infastidito da quel “Cuorno” lo ribattezzò, seduta stante, “Malnome”. Nei decenni successivi la disputa ebbe un nuovo capitolo, del tutto salomonico: la zona si chiamerà “Corno o Malnome”.
COM’ERA. “Si tratta di un’opera colossale. Contiene una più— che solida ed imponente opera di solidi massi di travertino squadrati, incassati con replicati grapponi di ferro impiombati, con solidi muri di accompagnamento dell’estesa struttura di pietra di taglio, platea e sottoplatea, portellone e stipiti di pietra di taglio a saracinesca, ed a tutta regola costruttoria, come opera moderna, osservandosi all’oggetto la cassa di legname nell’alveo del torrente. Inoltre un cosiddetto Acquaro a canale per la torre di carico a bottazzo (_) che attraversa dalla origine della presa delle acque, cioè la Difesa del Ciglio. (..) Dal Bottazzo poi che si costruisce da un solido scavato di
“Il molino macinante ad acqua è sito e posto nella Fiumara del Cuorno, dove si dice di Chiani Pagani e l’Ischia di Santa Margarita, quale al presente è disabitato ed imboscato, per viè il suo acquedotto e forma di fabbrica per portare l’acqua in esso molino che con qualche spesa si può risarcire e coprire, e con facilità si può ridurre alla macina,
Cosa è cambiato dal 1665? Ce lo racconta l’architetto Marano. “Allora era disabitato, oggi le due infelici camerette superiori sono abitate da un povero mugnaio. Allora il terreno circostante era imboschito oggi è coltivato.
Allora le due camerette superiori erano scoperte, oggi sono coperte. Allora era inattivo per le avvenute degradazioni e per l’abbandono oggi è attivo e macina”.
Il vecchio mulino ad acqua ha concluso la sua vita da protagonista; e parlarne oggi con nostalgia, in un momento storico, in cui l’industria ha toccato le vette dell’automazione; può sembrare opera di retrogradi e conservatori.
Eppure oggi si sente la necessità di un rapporto alla natura, alle buone cose di un tempo e dunque, perchè no? Ai a vecchi mulini ad acqua situati in posti intatti, lungo i corsi d’acqua che ravvivano la vegetazione; essi potrebbero suggerire passeggiate ecologiche e offrire nello stesso tempo un momento di arricchimento storico – culturale.