Posto di frontiera nord Capaccio, dalla parte marina perché dalla parte
interna la frontiera nord che porta alle autostrade nazionali è Ponte
Barizzo. È ai limiti anche per denominarsi sub – contrada avendo poco più
di 60 – 70 abitanti, anche se d’estate si popola per le numerose villette
disabitate d’inverno. È sede dell’importante idrovora sinistra Sele e vive
appoggiata come un gatto dormiente completamente sul fiume. Una
stazione di carburanti che è una tappa obbligata per tanti automobilisti in
direzione Salerno. Un bar che è l’accesso al varco di frontiera, al ponte
che porta in aperta Piana del Sele e verso l’agglomerato macro – urbano
del capoluogo di Provincia. Un albergo e qualche ristorante da tempo
decaduti che ricordano i fasti passati di un ricco turismo composto da
stranieri soprattutto, ai quali piaceva quel luogo frastagliato tra il delta
del fiume e il mare aperto del tirreno con lunghe e vaste spiagge. Un
campeggio con vari ormeggi barche che ancora resiste nonostante la crisi
incombente del settore, dove si può assistere ai maestosi tramonti che
s’affacciano tra mare e fiume. Un luogo che se esistesse in regioni come
l’Emilia Romagna non sarebbe di sicuro alla decadenza e all’abbandono
parziale. Bisognerebbe valorizzare un patrimonio naturale di rara bellezza
come la foce del fiume più grande della Campania. Un’oasi naturale
esistente vicino ai templi di Paestum, vicino al santuario e al museo
narrante dell’Heraion e lontano pochi chilometri dal litorale alberghiero e
discotecaro della contrada Laura. Un buon luogo per riposare e nello
stesso momento vicino al centro urbano di Capaccio. Per un tipo di
turismo che ama la natura e le bellezze archeologiche. Negli anni ’70 fu
inaugurato il ponte sul grande fiume e Foce Sele diventò il punto di
raccordo con la litoranea che ti fa raggiungere Salerno in tempo breve.
Oggi è meta di passaggio per lavoratori, camionisti, turisti col camper,
commessi viaggiatori, impiegati, studenti in direzione Fisciano, donne in
viaggio per shopping, come se fosse davvero un valico di frontiera. Un Bar
storico che fa da postazione e garitta, dove incontri un’umanità vasta e
variegata, vari tipi e personaggi, anche di quelli loschi, prosseneti semmai,
forse, che interpretano il film maledetto della loro vita. Un miliardario da
grattare, un Marlboro toste, un caffè e un Klen Krant che serve da
accompagnamento finale al gusto della caffeina; la cinquanta euro
appoggiata sul bancone attende il poco di resto che gli rimane. Dopo aver
grattato e bevuto l’ultimo goccio del whisky pronunciato in maniera
autoctona, rientrano nel Mercedes col rumore del cigolio della pompa del
diesel consumata dal tempo e via ad attraversare la frontiera. Dopo alcuni
chilometri, sono in aperta Piana del Sele, si affacciano al mondo reale:
prostitute; avventori a 40 km. all’ora che osservano la mercanzia ai lati
della carreggiata; immondizia ai bordi della strada, frutto di una mancata
differenziata e rimandata per anni; ciclisti in entrambe le direzioni
(rischioso con la bicicletta) a tempo di pedalata, che aspettano il ripristino
della loro pista, la pista ciclabile; capannelli di immigrati che vegetano sul
ciglio della strada come se aspettassero qualcosa che venga dal cielo,
semmai aspettano solo poche ore di lavoro offerte da un caporale sotto le
serre battipagliesi ed ebolitane. Insomma, la nostra Domiziana. La
Domiziana della provincia di Salerno. Aldilà del grande fiume che funge da
frontiera.