“Ora, nel buio, e senza luci in vista e senza chiarori, e soltanto col vento e la spinta regolare della vela, gli parve di essere già morto, forse. Congiunse le mani e si tastò le palme. Non erano morte e gli bastava aprirle e chiuderle per risuscitare il dolore della vita.”
( “Il vecchio e il mare” E. Hemingway)
Forse non è l’ultimo e non è stato nemmeno il primo. Di sicuro il più rappresentativo di una generazione di pescatori che vogavano e guadavano il grande fiume degli ultimi sessant’anni. Una volta, anni fa, nel centro di Salerno, mi trovavo con mio padre, e dichiarando che provenissimo da Gromola nel comune di Capaccio, gli astanti furono tutti concordi “Salutateci a Don Aniello il pescatore” professionisti, commercianti, professori, ex pescivendoli della Rotonda: lo conoscevano tutti, e così fu anche ad Agropoli ed in altri luoghi della provincia. Era stimato e benvoluto, tutti ricordavano il suo volto scolpito dai raggi del sole e dal ponente di mezzogiorno; il sole avvicinandosi allo zenit divorava spesso la sua ombra mentre tirava le reti dall’acqua melmosa del fiume, come se fosse uscito da un racconto di Hemingway. La pesca e le bellezze naturali del Sele per lui erano una forte passione, il pescato non lo vendeva, passava sulla piazza di Gromola e lo distribuiva gratis o telefonava agli amici affinché accorressero alla sua casa nel centro storico. E così lo trovavi che stava pitturando la sua barca per una nuova stagione, o metteva al secco del sole i pomodorini da lui coltivati. La sua fama era allargata a tutta la provincia, dai notabili al popolo, distinzione che per Don Aniello non aveva nessuna importanza. Gli ultimi dieci chilometri del fiume, quelli che partono da Persano e arrivano al delta, per lui non avevano segreti, li conosceva come le sue tasche. Don Aniello Alfano (ma il vero nome di battesimo era Salvatore – quasi tutti l’abbiamo scoperto dal manifesto funebre) è morto ad 88 anni ed abitava a Gromola Vecchia, antica conurbazione della Gromola del borgo odierno distante poche centinaia di metri. L’antico nucleo fu costruito agli inizi del ‘900 come abitazioni per il bracciantato agricolo dei possedimenti della Marchesa Pinto. Don Aniello fu uno dei pionieri della Piana del Sele degli anni ’50. Proveniva dall’Agro – Nocerino, dalla città di Angri, di cui custodiva il ricordo dell’infanzia ed un lontano accento dialettale. Coltivava la terra come la coltivano i contadini dell’Agro, zappata così bene che sembrava farina di castagne. Lui e la moglie erano lavoratori indefessi ed instancabili, mangiavano pane e terra, come si diceva per i contadini dell’800, molte volte facevano colazione tra i solchi dissodati e nella bella stagione si ritiravano a dormire soltanto a luna alta, a notte fonda. Lavoravano per vedere dei progressi: quattro figli scolarizzati e professionisti che oggi sono sparsi in vari punti dell’Italia per lavoro. Tutti andati via, di cui una figlia in Sardegna che Don Aniello quando partiva per farle visita approfittava per fermarsi qualche giorno in più per una battuta di pesca nel mare azzurro dell’isola. Un carattere docile e meditativo anche se negli ultimi tempi era molto adirato per i continui furti subiti: “Gli artefici sono una mano paesana” ripeteva spesso, non se ne capacitava. E poi una truffa subita per mano di alcuni balordi per via di telefonate fasulle che millantavano amicizie con uno dei figli. Solo rabbia per gesti disumani.
La sua casa e l’abitato circostante erano così caratteristici tanto da ambientarci film e cortometraggi vari. Nel 2010 furono girate varie scene del film “Sandokan, storie di camorra” diretto dal regista Sergio Spina (ideatore ed autore di Mixer, storico programma Rai condotto da Giovanni Minoli) e prodotto da Alessandro Senaldi. Il film fu trasmesso su Rai Storia e Rai Uno nei mesi successivi riscuotendo un buon successo di critica e di ascolti. La casting coach, Maria Grazia Caso non poteva chiudere bocca per la disponibilità e l’ospitalità di Don Aniello e la moglie. Uomini di altri tempi. Non ne nascono più. Rimarranno nelle pagine di Letteratura vissuta, scolpite nella memoria del paese. Da cospargerne le ceneri nelle acque del fiume.