Il radicamento culturale, frutto del senso di appartenenza alla nazione polacca, la fine sensibilità culturale di un teologo che sul soglio di Pietro ha cercato di esaltare, spesso con efficace lirismo, il patrimonio culturale di un cristianesimo profondamente radicato nella cultura europea e occidentale non trovano in Francesco un sostanziale riscontro. Già la scarsa pubblicità e il limitato coinvolgimento nel celebrare l’anniversario costantiniano nel fatidico 2013 hanno scandito la definitiva presa di distanza da tutto ciò che evoca una chiesa segnata da un connubio, a volte forzato e a volte strumentale, col potere. Francesco non fa mistero del suo profondo attaccamento alla cultura sudamericana, aperta a esperienze nuove e più confacenti ai bisogni, alle aspettative, ai sogni e alle speranze di chi, nonostante la retorica dell’uguaglianza, è ancora considerato dai poteri forti uno scarto condannato ad una subalterna vita di stenti. La Chiesa occidentale, soprattutto quella europea, nonostante le grandi speranze legate alla primavera conciliare di cinquant’anni fa, non riesce a spogliarsi dei condizionamenti culturali causa di laceranti divisioni, di acute sofferenze e paventata subalternità verso chi tesse i fili della finanza e controlla le ricchezze mondiali, forze sempre pronte a strumentalizzare.
L’incapacità dei paesi europei di affrontare con coerenza e decisione problemi come quelli legati alle grandi migrazioni, a un’incipiente pratica di giustizia distributiva, a scelte responsabili di sussidiarietà induce ad operare un decentramento rispetto agli attuali equilibri. Del resto, già la distribuzione demografica nello scacchiere globale fa intravedere un’inversione a favore di un orientamento Nord-Sud e Ovest-Est per incontrarsi con le situazioni più dinamiche che sta vivendo la famiglia umana. L’approdo è l’immensa, misteriosa, complessa e coinvolgente Asia. Di ciò è consapevole la Segreteria di Stato che, nel modo felpato che le è consueto, sta collaborando per porre le premesse operative del nuovo indirizzo geopolitico che Francesco intende dare alla Chiesa. Egli viene dalla “fine del mondo”, scelto durante un conclave che per brevità ha sorpreso tutti, in particolare chi, avendo perso il contatto con la realtà e anche il fulgore aureo del potere, andava paventando sciagure per le imprudenti dimissioni di Benedetto XVI. Invece, il benemerito gesto di questo papa teologo si è rivelato una scelta provvidenziale e altamente simbolica. Novello Sansone, con un atto di grande umiltà che eleva la statura di Ratzinger a livello dei grandi della storia, non solo con le sue dimissioni ha azzerato il potere e i privilegi di chi operava nella curia, ma ha indicato a tutti quale fosse il bubbone da incidere, mentre di fatto asseriva che categorie, strumenti culturali, stili di governo avevano reso talmente obsoleta la pratica curiale da non riuscire a gestire la cattolicità dal suo centro.
Papa Francesco è consapevole delle difficoltà che accompagnano la sua azione anche per la scarsa compattezza dell’apparato curiale che dovrebbe aiutarlo. Ma con determinazione continua il suo impegno anche nell’azione diplomatica della Santa Sede per favorire una vera pacificazione sostenendo il primato della ragione su ogni desiderio di vendetta e radicare lo sforzo per un armonica relazione tra azione politica e rispetto del diritto delle genti. Francesco dedica sforzi continui alla costruzione della casa comune dell’umanità. Egli è impegnato a radicare il convincimento della sacralità della natura e, quindi, porre fine al devastante sperpero delle risorse naturali e all’inquinamento in atto, mentre continua la tragedia dello sfruttamento del lavoro per gli illeciti traffici di denaro da attribuire ad una speculazione finanziaria così spesso predatoria e nociva per il sistema economico ed intere società. Francesco sollecita agli ecclesiastici un’autentica conversione nel modo di porsi nei riguardi dell’umanità denunciando i limiti di una persistente “clericalizzazione, perché sovente i preti clericalizzano i laici e i laici chiedono di essere clericalizzati”, rischio che determina limiti anche nei fedeli le cui potenzialità non vengono adeguatamente sfruttate anche perché non si riesce a “superare la mentalità maschilista che ignora la novità del cristianesimo”.
Critiche interessate hanno affermato che, con le sue esternazioni, nei fatti il papa demonizza il capitalismo. In realtà egli ha sostenuto soltanto che questo sistema economico uccide, affermazione che ha scatenato la critica al papa marxista anche di alcuni settori del mondo cattolico, dimentico che la radicalità della posizione, di origine evangelica, si riscontra già nei Padri della Chiesa. La dottrina sociale va valorizzata nella sua completezza. Ad esempio, già nell’enciclica Quadragesimo Anno, scritta nel 1931 poco dopo il crollo di Wall Street, si sollecitava un programma sociale e politico di estrema attualità nel denunciare lo strapotere dei mercati. Con i suoi interventi Francesco precisa che il messaggio di Gesù non è contro i ricchi, ma contro chi idolatra il denaro; perciò critica un certo tipo di capitalismo che ha prodotto il sistema economico in cui viviamo. Strumenti di per sé neutri non sono tali se si tiene conto delle strutture portanti del sistema, ingiuste e insopportabili. E’ il caso dell’indice di benessere misurato dallo spread e non dalla reale condizione della gente, elemento che consente di affermare che esso non ha più nulla a che fare persino col capitalistico, legato all’economia reale. Proni allo strapotere della finanza, si scommette su quanto si potrà guadagnare in borsa nel giro di pochi minuti. Insensibili alle esigenze di tanti, si fanno lievitare i prezzi dei beni di prima necessità, così fasce intere di popolazione sprofondano nella povertà. Mettere in discussione il sistema, porsi domande, sollecitare programmi sensibili alla giustizia distributiva diventa un imperativo per chi ha a cuore il bene comune. Infatti, l’imposizione di modelli che feriscono l’identità locale si trasformano in vera colonizzazione ideologica. Col global capitalism il mercato condiziona pesantemente l’agenda politica presentandosi quasi come una religione immanentista che annulla l’uomo. Il papa denuncia questa pericolosa situazione, alla quale si può porre riparo se ai nostri giovani s’insegna a pensare criticamente, superando i localismi e affrontando i problemi mondiali consapevoli di essere cittadini del mondo, in grado quindi di specchiarsi negli altri con simpatetica predisposizione.
Le riviste specializzate descrivono le fortune dei super ricchi, l’intransigenza dei custodi del rigore monetario capace di mettere in ginocchio interi paesi perché rispettano parametri econometrici tesi a stimolare soltanto la crescita quantitativa dell’attività industriale e attenti alla dimensione della produzione lorda. In effetti, non consentono di conoscere il vero benessere di un paese o le condizioni di salute di un’economia. Il Pil non fotografa la vita reale di un cittadino perché non coglie la gravità delle disuguaglianze. Oggi in Occidente molti stanno peggio, mentre i criteri di valutazione non considerano degrado ambientale e livello di sostenibilità della crescita. Da queste considerazioni prende spunto anche il dibattito sulla tassazione per evitare l’assurdo di un’aliquota fiscale più bassa per gli speculatori in borsa rispetto a chi lavora tutto il giorno. Si può pervenire a questa radicale evoluzione della mentalità se non si considera l’economia una scienza distante e immutabile, ma radicata nella cultura e nella civiltà del popolo di cui è espressione. Se si vuole evitare di asfaltare specificità, ricchezza culturale, tradizioni attraverso un processo di dolorosa omologazione occorre prendere posizione e con coerenza denunciare il perbenismo di chi sopporta che si parli di disuguaglianze sociali e dei poveri a patto lo si faccia di rado. Costoro sollecitano solo un po’ di carità e un pizzico di filantropia ritenendo questi buoni sentimenti sufficienti per tacitare la coscienza. Sostenere, come fanno molti ambienti cattolici, che più i ricchi si arricchiscono più la vita dei poveri migliora è un’affermazione molto discutibile. L’assunto non funziona perché la forbice tra capitalismo e giustizia sociale tende ad allargarsi in modo ormai insostenibile. Un’autentica giustizia distributiva obbliga a considerare la qualità della produzione integrata col reddito mediano disponibile dopo aver sottratto tasse, spese per la casa, bollette di vario genere e il costo del cibo. A determinare un futuro di giustizia è l’uguaglianza delle opportunità. Il vero benessere si misura tenendo conto delle condizioni di salute, della casa decente, di appaganti relazioni familiari, di quartieri puliti e sicuri dove vivere, di un lavoro che soddisfa stimolando la propria personalità. Focalizzare l’attenzione solo sulle competenze che producono profitti può determinare vantaggi di breve durata; ma una sana cultura economica ha bisogno di creatività, capacità di pensare in modo fantasioso ed elaborare soluzioni creative per problemi complessi adattandosi a circostanze mutevoli e vincoli nuovi.
Fin dal primo momento del suo pontificato Francesco ha invitato a condividere la rivoluzione della tenerezza considerando il contesto esistenziale dell’uomo vulnerabile e ferito. Su questa premessa egli fonda il continuo appello alla tutela della famiglia, anche quando è imperfetta e in crisi, a una nuova regia economica per porre riparo alle disillusioni di una narrazione che esalta il mercato globale perché incrementerebbe democrazia e benessere, invece scava un solco sempre più profondo tra i popoli. Si diffonde e si consolida la sfiducia che mina la sensibilità etica, situazione che coinvolge i laici cattolici ai quali è demandata l’opportunità di una radicale riflessione per assumere nuovi impegni nel contesto globale, coscienti che, perché battezzati, hanno un legame sacramentale e sociologico-culturale con la Chiesa, quindi impegnati svolgere il proprio ruolo missionario e ministeriale in un mondo che sollecita un nuovo rapporto col secolare e col temporale. La formazione del cristiano risulta più complessa perché non passa più per la famiglia in un contesto rimodellato dall’individualizzazione degli stili di vita. E’ necessaria una presa di coscienza per sollecitare il laicato a mediare e ridimensionare l’egemonia clericale nell’approfondirealcuni temi. Lo dimostra il dibattito sulla Amoris laetitia che ha evidenziato il contraddittorio divario tra magistero di Francesco per i laici e sostanziale remissività dei gruppi organizzati di fedeli, ancora poco inclini nell’appropriarsi delle prerogative del cattolicesimo post-conciliare che ha disegnato una nuova ecclesiologia del laicato. Alcuni sono abbarbicati alla prassi di consolidate elite clericali impegnate a ridimensionare le aperture di Francesco con subdole pressioni, per la loro trasversalità più dannose di quelle operate con Humanae vitae e che hanno drammaticamente segnato la seconda fase del pontificato di Paolo VI.