Il mondo ha bisogno di compassione. Abituati alle cattive notizie e ad atrocità che offendono Dio, dobbiamo riscoprire che Egli è Padre. Il traffico di armi, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli, lo sfruttamento dei bambini sono un continuo sacrilegio perché l’uomo è l’immagine del Dio vivo. La Chiesa deve superare la tentazione di porre attenzione alle norme e preoccuparsi poco di chi resta fuori, ferito e distrutto dalla perdita di speranza. I malati vanno curati, aiutati a guarire; questa è la misericordia. Il Padre ci guarda e perdona, perciò dobbiamo avere un atteggiamento più tollerante, paziente, tenero; è la rivoluzione della tenerezza dalla quale può derivare un’autentica e solida giustizia. Non si tratta di un perdono automatico, che ignora le esigenze della giustizia. Ciò è possibile grazie a Gesù, che si è caricato delle nostre sofferenze. La sua debolezza di servo di Jahvé è la nostra forza, il suo dolore la nostra gioia, il suo sacrificio la nostra salvezza, la sua passione la nostra redenzione, la sua umiliazione la nostra risurrezione. Nella riconciliazione cristiana la passione di Cristo diventa sorgente di liberazione, disponibilità di un cuore nuovo. A quello incrostato dal gelo dell’egoismo e dell’odio si sostituisce allora una coscienza vigile, sensibile, amorosa perché, come asserisce sant’Agostino, se perdonati perdoniamo perché perdonando siamo perdonati. Gesù lo annuncia fin dal suo primo apparire: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. La storia della redenzione e della salvezza in Cristo giunge alla pienezza. Credere al vangelo si accompagna alla conversione, non gesto esteriore di penitenza e rito lustrale, ma scelta profonda e decisiva per orientare verso nuove direzioni la propria volontà e la propria esistenza sul presupposto che operiamo secondo il metro di ciò che desideriamo gli altri facciano a noi, atteggiamento di amore che supera le leggi dell’economia, che travalica persino il buon senso e, nella sua radicalità, diventa imitazione di Dio, Padre di tutti.
La riconciliazione è anticipazione dell’armonia finale tra il Signore e la creatura redenta perché gli uomini sono diventati imitatori di Dio. Nucleo centrale di quest’appello è seguire l’esempio di Cristo attraverso l’agape perché camminare nella carità è il segno più autentico di sincera conversione. Ne deriva la necessità di ringraziare con gioia il Padre. La remissione delle colpe fa partecipare alla risurrezione di Cristo, che si ramifica in tutti i fedeli; infatti, la riconciliazione non è solo liberazione dal male, ma anche ingresso nella gloria e nella vita divina se il fedele lascia cadere le spoglie dell’uomo vecchio e si cinge dell’abito tenuto insieme in modo armonico dalla carità, vincolo di perfezione. Acquista nuovo significato il decalogo, esame di coscienza nella sua dimensione verticale con Dio nei primi tre comandamenti – purezza della fede, religione senza superstizione, culto – e in quella orizzontale per le relazioni con i fratelli esaltando quelle sociali a partire dalla famiglia, rispettando la vita, la santità del matrimonio, la tutela della libertà, il diritto all’onore, l’autonomia personale e la condivisione dei beni.
Con scadenza quotidiana gli avvenimenti che ci accompagnano durante l’anno sono una costante teoria di guerre, paura di attentati, stillicidio del martirio di tanti cristiani, muri innalzati e reiterato rifiuto per palesi egoismi verso gli emigrati, mentre anche nell’opulento Occidente i poveri sono diventati sempre più poveri per consentire ai ricchi di sentirsi più ricchi. Nonostante queste incontrovertibili evidenze, noi asseriamo che Signore di questo tragico mondo è Gesù; di conseguenza occorre rispondere alla domanda: come Cristo esercita la regalità? Egli è Re perché redentore, perché manifesta il cuore misericordioso del Padre che è più grande e potente del peccato; perciò il male non potrà vincere, nonostante le apparenze. Dio, che è paziente, attende anche dai cattivi un gesto di resipiscenza. Nostro compito, di conseguenza, è vincere la tentazione di starsene fermi in attesa degli eventi. Invece di un pusillanime “chi me lo fa fare”, il papa invita ad annunciare il Vangelo per suscitare la nostalgia del Regno e testimoniarlo in famiglia, sul posto di lavoro, nella società, consapevoli che l’impegno dei cristiani si riassume nella preghiera “Venga il tuo regno”. Così si rafforza la fede nel Re morto amando in modo inverosimile mentre provocatoriamente gli gridavano: se sei il Cristo, salva te stesso! Erano sacerdoti del Tempio scandalizzati perché non potevano concepire che Dio lasciasse morire il suo Messia. Erano soldati abituati al primato della forza sul quale fondare il riconoscimento del proprio sovrano. Erano spettatori curiosi, convinti che nulla potesse valere più della vita. Ma Cristo dimostra che esiste qualcosa di maggior valore: l’amore del re che muore amando. Noi possiamo anche rifiutarlo, ma Egli non ci misconoscerà perché ha sostanziato la sua scelta col sigillo della risurrezione.
Questa considerazione rende comprensibile il passo del vangelo di Luca che vede in azione un malfattore appeso alla croce che chiede di non essere dimenticato. Gesù risponde assicurando che lo avrebbe preso con sé. In questo bandito si riflette tutta l’umanità e in lui si rinviene la residua dignità di ogni persona. E’ un grande messaggio: pur se decaduto, anche se privo di meriti l’uomo per Dio è sempre amabile, Egli non guarda al peccato, ma valuta sofferenze e bisogni. Ricordati di me: è la preghiera del malfattore. Gesù, in modo stupefacente, non solo asserisce che non lo dimenticherà, ma s’impegna a fare qualcosa di ancora più eclatante. Lo porta con sé, lo conduce a casa perché la storia della salvezza da lui realizzata non prevede esclusioni, separazioni, respingimenti. Il Regno di Dio è la terra nuova che avanza procedendo sempre per inclusioni.
Nel nostro quotidiano è consolante ricordare il seguente brevissimo dialogo riportato nel vangelo di Luca: Ricordati di me, prega il peccatore; sarai con me, risponde l’amore, sintesi di tutte le preghiere. La paura esclama: ricordati di me; l’amore risponde: sarai con me per sempre. Questa dinamica di redenzione trova il suo fondamento nelle ultime parole pronunciate da Cristo sulla croce: oggi, con me, paradiso. L’oggi evoca l’adesso, l’istante che si apre sull’eterno. Il con me assicura la condivisione perché garantisce l’amorevole accoglimento. Il paradiso fin dall’inizio era il destino dell’uomo; ora si concretizza come il luogo i cui confini sono segnati da una esperienza di luce e di amore. La nostra speranza viene rafforzata dal fatto che a entrarvi per primo è un uomo dalla vita sbagliata. Se un malfattore sulla croce può aspirare a tanto, allora nulla e nessuno sono definitivamente perduti perché le braccia del re-crocifisso resteranno spalancate fino alla fine dei tempi di fronte all’umanità in attesa. Non rimane che fissare lo sguardo su Gesù con gli occhi del malfattore che ha compreso chi realmente Egli è. Anche se non vede un re glorioso, non esita ad implorare ricordati di me perché nell’impotenza, nella fragilità, nel silenzio e nel perdono riconosce la sua regalità.