Prendete e mangiate: le parole possono risultare dure per una intelligenza attenta solo al progresso materiale; infatti fanno riferimento alla vita eterna non come premio futuro per la buona condotta in questo mondo, ma alla qualità della Vita già ora partecipando dei meriti del Risorto. Vera conoscenza di Dio, rimandano alla pregnanza del linguaggio biblico, conoscenza d’amore tramutata in esperienza vissuta. Sono parole che confondono la maggioranza dei discepoli di Gesù, i quali s’interrogano su come il dono di Dio possa conciliarsi con la carne debole, evidente contrapposizione al tentativo umano d’innalzarsi per incontrare un Dio lontano, inavvicinabile, inaccessibile. Il Signore che scende per incontrare l’uomo diventa un’eresia da condannare. Ma Gesù continua il suo annunzio evangelico: Dio non assorbe gli uomini, li potenzia comunicando loro la sua energia, raccomanda la piena fusione con Lui. A chi non é disponibili all’ascolto Egli rivolge una retorica domanda: volete andarvene anche voi? Tante volte la storia ha scandito le conseguenze di questo abbandono: allontanarsi da Lui significa ridurre al lumicino la speranza e far aumentare la tragedia del male. Invece Dio chiede di essere accolto per dilatare la capacità del bene.
La qualità della Vita ricevuta va comunicata ai fratelli: è il significato ultimo dell’Eucaristia. Così la famiglia umana diventa un solo corpo perché partecipa di un solo pane e condivide i beni del creato inneggiando all’Eucarestia, vera ragione di continuo ringraziamento. Ma il culto senza la giustizia è una farsa, il sacramento ricevuto senza quotidiano impegno è magia, la preghiera separata dall’esistenza parola vuota, la liturgia che non converte rito di società. Allora, mentre si varca la soglia della porta della misericordia, è opportuno intonare coralmente il Miserere nel quale emerge il bisogno di adorare Dio, riconferma del proposito di amore, disponibilità all’offerta, ringraziamento per i doni ricevuti, pentimento per le colpe. Pur nella consapevolezza dei propri peccati, si contempla il Padre attraverso il prossimo, inscindibile unione tra rito e vita grazie al perdono che trasforma l’esistenza e genera una conversione sincera, frutto di un cuore contrito. In tal modo si vive secondo i dettami del discorso della montagna, ritratto del cristiano in tutto il suo splendore perché, se il peccato l’ha deformato, la riconciliazione ne restaura la luce. Poveri in spirito e puri di cuore, atteggiamento globale e costante, liberati dall’idolatria della ricchezza, del potere e dell’orgoglio, i miti si aprono alla giustizia, frutto dell’essere misericordiosi. Operatore di pace, pronto ad accettare persecuzioni e afflizioni per amore della verità, l’uomo è esaltato perché gli si concede l’opzione per la vita e per il bene, cuore della morale.
Mettere a fuoco la visione della storia nella dimensione personale e collettiva significa riflettere sul significato e sulle dinamiche della vicenda umana e porsi la domanda su chi davvero la animi, verso quali orizzonti stia andando il mondo e costruire un percorso di pace e solidarietà, trasformare la famiglia umana in testimone fedele dell’esodo di liberazione. Si utilizzano simboli, vocaboli e contesti apocalittici ed escatologici a volte di difficile comprensione ma, se spiegati, rivelano la profondità del messaggio legato all’affermazione di Pilato quando presenta alla folla l’ecce homo. Occorre interrogarsi per cercare di comprendere come l’onnipotenza di Dio si riveli su una croce determinando una palese contraddizione che, come annota Pascal, obbliga a scegliere, consapevoli dei pericoli. Tutta la vita è un rischio, continua opzione che obbliga a dare testimonianza alla verità, ricordare che è rivelazione della bontà del Padre, vero contenuto dell’evangelo. Che sia un segno di contraddizione lo dimostra la reazione di Pietro il quale, quando Gesù parla della sua passione, manifesta un deciso dissenso: quando la strada di Dio include la croce ogni uomo è pronto a ribellarsi. Nell’ora della passione Giuda tradisce, Simone rinnega, gli altri fuggono e Gesù rimane solo!
Seguiamo il brevissimo, ma denso interrogatorio-dialogo tra il procuratore romano, interprete del potere assoluto e intangibile della Roma imperiale, e il Nazareno. Di Gesù, stando ai rapporti di forza, la storia non avrebbe dovuto più interessarsi; invece si determina la paradossale situazione di una morte infame che si pone alla radice della liberazione di ogni uomo. Pilato, esponente dei vertici del potere imperiale, con ironia chiede a Gesù, trascinato legato davanti a lui: “sei tu re?” E’ il massimo del sarcasmo: un miserabile, pur tradito dalla elite collaborazionista e dalla sua gente che ne invoca la condanna, vorrebbe sfidare la gloria di Roma. La risposta di Gesù è un invito a riflettere sulle reali prospettive di Dio. Pilato si tranquillizza; ha capito che il rabbi di Nazareth non è pericoloso, solo un inguaribile idealista. Le sue parole sfidano il romano il quale, forse colpito nella sua coscienza, vorrebbe quasi salvarlo. Gesù sfida la presunzione dei potenti, l’orgoglio della falsa sapienza e abbraccia l’umiltà del servizio ritenuto umiliante, che invece accetta fino a portare la croce. Il suppliziato, traendo tutti a sé, come aveva profetizzato, diventa il centro della storia e una vicenda che, per logica umana, doveva terminare sul Calvario ed essere dimenticata, si trasforma nella luce della verità rivelatrice dell’azione di Dio agli antipodi rispetto a quella dei potenti.
Da quel momento la storia è sospesa tra due versanti: quello del potere, in prospettiva tenebroso per i tanti lutti che genera e il sangue che fa versare, l’altro, dell’amore, impegnativo ma luminoso. Non è un progetto politico, non è un sistema di governo o una strategia socio-economica e militare; tutto si fonda sulla solitaria debolezza di Gesù che, nel momento supremo, affronta la forza bruta senza legioni mentre si fronteggiano due regni antitetici. Quello della verità, che si radica sulla solidarietà tra Dio e l’uomo, conferisce a chi vi aderisce una definitiva speranza e una concreta certezza. Il dono, la bontà, il sacrificio di sé, che i potenti percepiscono come una perdita, rappresentano la premessa di una gioia che non si fonda sul dominio ma sul servizio costruito non sulla prevaricazione, ma sulla giustizia. E’ la risposta al dramma della odierna mentalità che, rifiutando il sacrificio, fa apparire insopportabile il dovere e inconcepibile l’impegno. Il rischio è grave perché già nel passato si sono inventate civiltà senza croce, rivelatesi poi civiltà senza Dio che hanno fatto precipitare l’uomo in una condizione di sofferenza percepita come assurda in un mondo senza l’Assoluto. Tutti sono sollecitati a una rinnovata scelta di campo riaffermando la fiducia nel bene nonostante esperienze segnate da un groviglio di contraddizioni e dal gioco scandaloso del sopruso dei potenti.
La città dell’uomo diventa anche la città di Dio grazie a chi è disponibile al dialogo, pronto a scelte di vita segnate dal senso di responsabilità che arricchisce e rende sapida e bella la comunità civile. L’esempio di Gesù corrobora la nostra esperienza, chiamata a intraprendere il viaggio per andargli incontro. Esso trova definitivo e salvifico compimento nella fraterna empatia perché lo Spirito opera nella quotidianità di chi è intento a comprendere la sua azione generosa, i cui frutti sono amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.
A volte è difficile mantenere questa serenità di spirito. Molti sono costretti a chiedere l’elemosina, lo sguardo rivolto al suolo e la mano tesa nel gesto usuale di chi, percependosi una cosa, non fa che chiedere agli altri monete per continuare a sopravvivere senza speranza, senza prospettive, legato ad un fato tiranno che condanna l’individualità a un dolore fisico ed esistenziale come l’ostrica al guscio dal quale non riesce a separarsi. Il mendicante è l’emblema di una umanità segnata da difficoltà fisiche, da carenze psichiche, dal dolore morale, concentrata nel contemplare la propria condizione accettando senza speranza la sofferenza. E’ una situazione di estrema attualità essere degli estranei diseredati, marginali ed emarginati, oppressi, disprezzati, privati di serenità anche quando si è ricchi perché colmi del proprio io e di cose, sazi, gaudenti e trionfatori pensando di possedere tutto e, quindi, pronti a crogiolarsi nella consolazione che deriverebbe dal benessere e dal successo, presunto generatore di felicità. Anche quando ci si accosta al sacro spesso si rimane sul limitare del tempio; si prega per una moneta, non per ottenere il perdono dal Padre. Papa Francesco ha dato l’opportunità di aprire gli occhi con un reiterato invito alla riflessione e al silenzio per ascoltare la voce interiore e cogliere le opportunità legate alla sollecitazione a fare penitenza, guardare e intessere un rapporto personale con l’altro nel bisogno, aprire gli occhi per trovare la direzione, la prospettiva e l’itinerario, possibilità per tutti perché a tutti è dato d’incontrarsi col buon Samaritano.
Dovrebbe essere la testimonianza della Chiesa, capace di attrarre ma soggetta anche a critiche non sempre immeritate. Si sollecita il coraggio di proclamare l’urgenza di un’azione che aiuti a scoprire la presenza di Dio, che opera in modo sorprendente nel mondo, nel quale siamo chiamati al discernimento per rinverdire con la nostra la speranza di chi è in viaggio con noi. Tale esperienza si può riassumere con la parola misericordia, sentimento d’intima commozione che genera compassione, dinamica che spinge all’impegno per il senso di pietas espresso in modo sublime dal Buon Samaritano. Motivo di gioia è la speranza che permette di guardare al futuro con serenità. Il Signore ha revocato ogni condanna e ha deciso di vivere in mezzo a noi. Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza; non è consentita la tristezza, pur avendone motivo per le tante preoccupazioni e le molteplici forme di violenza che feriscono l’umanità. In un contesto storico di grandi soprusi e violenze ad opera soprattutto di uomini di potere, Dio fa sapere che Egli non lascerà in balìa dell’arroganza dei governanti il popolo, ma lo libererà da ogni angoscia. Perciò, viene chiesto di non scoraggiarsi a causa del dubbio o della sofferenza: “Il Signore è vicino”; ci si deve rallegrare sempre e con affabilità testimoniare la cura che Egli ha per ogni persona.