Capita a volte a Morigerati, piccolo borgo arroccato nel cuore del basso Cilento, che gli ospiti siano accolti dal profumo del caffè che fuoriesce dalle porte socchiuse, spesso è una miscela italiana e brasiliana, Melitta. Capita anche di ritrovarsi improvvisamente coinvolti in una partita di bocce o in una chiacchierata con gli anziani nella piazza del paese. Per fortuna succede anche di sedersi poi con le gambe sotto al tavolo ad assaggiare i piatti tipici delle donne e degli uomini di questo paesino, i fusilli, le lagane e ceci, il coniglio ‘mbuttinato. Dallo stipetto di casa è probabile che una nonnina tiri fuori un bom bom, il “Sonho de Valsa”, un cioccolatino avvolto nella carta rosa amato da intere generazioni di morigeratesi. Sul volto di chi viene da fuori la meraviglia di trovarsi come in un paese dell’altro secolo, radicato alle tradizioni e ad una ritualità dei gesti e delle giornate. Morigerati e la frazione Sicilì hanno l’accoglienza nel DNA. Insieme arrivano a poco più di 650 abitanti, ma tutto il Comune conta oltre migliaia di cittadini che hanno cercato fortuna all’estero, fin dalla fine del 1800. L’isolamento dalle grandi vie di comunicazione e la conseguente marginalità della zona ha provocato una forte emigrazione verso le Americhe, in particolare verso il Brasile proseguita per gran parte del ’900 verso l’Europa e le grandi città italiane, come Milano, Vercelli e la Toscana. Da Morigerati tra il 1890 e lo scorso anno sono partiti numeri indefinibili di emigranti. Contarli con precisione è prima di tutto un colpo al cuore, perché è come se un’intera popolazione morigeratese e sicilese se ne fosse andata in blocco per abitare quelle terre sempre così lontane. La maggioranza degli emigranti partì nei decenni successivi alla Prima Guerra Mondiale, tra la Prima e la Seconda, durante la cosiddetta “grande emigrazione”. Molti di loro avevano come destinazione dei sogni l’America, affamata di manodopera, ma a partire non furono soltanto braccianti e contadini che spesso non avevano di che pagarsi il viaggio, tra loro molti erano anche i piccoli proprietari terrieri. Dall’inizio del 1900 le destinazioni più ambite furono Brasile, Uruguay, Montevideo, ma anche gli Stati Uniti, il Venezuela e l’Argentina, anche se in piccolissime percentuali. Iniziarono la loro avventura di vita dall’altra parte del mondo senza la loro famiglia: quasi sempre, così come accade con l’immigrazione oggi, l’emigrazione era programmata come temporanea, o si sperava potesse essere tale. Ma il destino di Morigerati e del suo inevitabile spopolamento si lega indissolubilmente ad uno Stato del Brasile, il Minas Gerais dove attualmente vivono ancora migliaia di italiani emigrati e centinaia di migliaia di discendenti di emigranti. Molti morigeratesi vivono nella città di Belo Horizonte, la capitale, mentre i sicilesi risiedono soprattutto a Ubà. Il Minas Gerais è diverso dal resto del Brasile: è ricchissimo di splendide cittadine coloniali che sembrano essersi cristallizzate in un’altra epoca con le loro chiese barocche e le opere d’arte sacra, che rappresentano oltre la metà del patrimonio artistico nazionale del Brasile. Questa regione ha conosciuto un’esplosione migratoria dall’Italia grazie alla crescita della produzione di caffè. Con il tempo molti italiani si sono trasferiti qui acquistando dapprima piccoli appezzamenti di terra e poi grandi proprietà. È il caso dei Costa di Morigerati che in Brasile ha realizzato un impero, diventato uno dei maggiori produttori di pasta del Minas Gerais. Una famiglia di importanti imprenditori che ha raggiunto un grande prestigio non solo economico. L’azienda, oggi alla quarta generazione della famiglia Costa, è stata fondata 90 anni fa da un chicco di grano e si è affermata negli come leader di mercato nella produzione di pasta ed alimenti. Anche la famiglia Nicodemo ha avuto successo. Dal 1955, quando da Morigerati partì alla volta di Belo Horizonte, Demetrio ha fatto tanti lavori, dal magazziniere al panettiere, fino ad aprire nel 1961 la Romanina, ora ritenuta tra i supermercati migliori della capitale ed attualmente gestita dai figli dell’ormai ultraottantenne. Anche la famiglia D’Andrea è un esempio di come i sacrifici e l’etica rigorosa del lavoro abbiano dato buoni frutti. Biagio dopo la seconda Guerra Mondiale, dopo un lungo viaggio raggiunse Ubà, dove abitava la maggior parte dei suoi concittadini. Qui da semplice venditore di tabacco nel giro di qualche tempo divenne un gestore di quattro hotel in Brasile. Piccole comunità di poche famiglie risiedono anche in Argentina e Venezuela. Qui vive ancora la famiglia di Gerardo Nicodemo, dove uno dei suoi figli Ricardo Nicodemo Ramos, oggi 50enne, è generale dell’esercito venezuelano, uno dei massimi responsabili dell’addestramento, del mantenimento e dell’efficienza dell’esercito del Venezuela. Il 1955 segna anche la data della vera emigrazione italiana in Germania, con l’accordo bilaterale tra i due Stati che prevedeva la selezione di manodopera italiana da impiegare nell’industria tedesca. Così anche da Morigerati e Sicilì partirono gruppi di giovani, molti dei quali impiegati nelle fabbriche di auto. Oggi intere famiglie vivono a Geislingen e molti sono proprietari dei più importanti ristoranti della cittadina. Quasi ogni famiglia ha collegamenti con la Germania, in particolare nel Sud-ovest della Germania, nello Stato di Baden-Württemberg, poiché molti hanno lavorato una volta nella vetreria WMF. I due paesini del Cilento, divisi dalle gole del Bussento, portano i segni di queste ondate di emigrazione e di quell’isolamento viario che ha giocato a favore della conservazione sia della natura che di un mondo ricchissimo dei valori rurali del passato, oggi documentati nel museo Etnografico di Morigerati. Nato nel 1976 come Silvo – Pastorale della civiltà contadina, ad opera delle sorelle Clorinda e Modestina Florenzano, il Museo che ha sede all’interno di un pregevole edificio storico, ristrutturato nell’ultimo decennio, il Convento di Sant’Anna, raccoglie utensili e manufatti connessi al lavoro artigianale e rurale. Negli anni Sessanta le due sorelle iniziarono la raccolta dei primi oggetti di uso comune, con una particolare attenzione agli utensili di lavoro ed ai manufatti tessili. Furono così salvati dall’incuria del tempo e dall’oblio storico, migliaia di oggetti, che oggi rendono il museo uno dei più ricchi del territorio. Una collezione che conserva testimonianze e ricordi, immagini fotografiche, registrazioni sonore e video di attività artigiane e feste locali. Ospita una importante sezione dedicata alla cereria di Morigerati, che produceva in passato oggetti di devozioni ed ex voto. Di proprietà del comune di Morigerati e riconosciuto museo di interesse regionale dalla Regione Campania, è diretto da molti anni dall’antropologo Luciano Blasco.
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