Classe ‘71 Stefano Accorsi è stato protagonista di oltre quarantacinque film, ottenendo numerosi premi internazionali come il “David di Donatello” e numerosi “Nastro d’argento”, aggiudicandosi, a ragione, il titolo di miglior attore italiano. Professionale, umile, pacato, spiritoso e penetrante con lo stile che lo contraddistingue, ha conquistato anche la platea del Giffoni Film Festival.
Uno tra i film nel quale il suo ruolo è stato apprezzato maggiormente è “Le Fate ignoranti”, qual è secondo lei il segreto del successo di questa pellicola?
La cosa più bella di questo film è che non ha tesi, non parte da teorie e preconcetti. È un sogno fatto da Ferzan Özpetek, messo in scena poi con un intreccio inedito e sorprendente.
Riguardo a Ferzan Özpetek cosa si sente di esprimere?
Ferzan è un fuoriclasse perché riesce ad avere sia un approccio artistico che razionale alla materia ed è un caro amico perché, anche se nel corso degli anni ci siamo spesso persi di vista, abbiamo sempre avuto un filo invisibile che ci ha tenuti legati.
Il 28 novembre uscirà nelle sale un suo nuovo film “La Dea Fortuna” ci svela qualche anticipazione?
Nella Dea Fortuna i protagonisti Alessandro e Arturo, costretti da un’amica ad accudire i figli per qualche giorno, si ritrovano a stravolgere la loro vita all’insegna dell’amore. Credo molto in questo film perché rappresenta una famiglia gay in un modo delicato, ma allo stesso tempo penetrante.
Quella raffigurata nel film è una famiglia, “diversa” da quella tradizionale, che purtroppo ancora oggi alcune persone non riescono ad accettare, cosa esprime a riguardo?
La famiglia è il luogo dell’amore. Vedo purtroppo ancora bambini che sono maltrattati da coppie eterosessuali, invece, conosco tanti figli di omosessuali felici perché dove c’è l’amore c’è la felicità. Il resto sono solo stupide convenzioni.
Cosa consiglia ai giovani?
Consiglio di alimentare, supportare e incentivare le proprie passioni e i propri sogni affinché un giorno possano diventare realtà, soprattutto oggi che viviamo un momento profondamente difficile, contraddistinto da una crisi globale che ha generato scontento e infelicità.
La sua serie 1992 ha avuto molto successo, qual è secondo lei il segreto di questa buona riuscita?
Con la serie 1992 ho avuto tanta costanza, cinque anni di pazienza e lavoro costante. È stata una lavorazione lunga e complessa, all’inizio volevo fare una biografia televisiva su Berlusconi poi i piani sono cambiati e ho deciso di raccontare semplicemente le vicende di 6 persone con diversa estrazione sociale. La prima serie ha appassionato molto, è stato un successo quasi inaspettato e adesso arriverà la terza serie, quella più matura.
Ha recitato in “The Young Pope”, la serie diretta dal premio Oscar Paolo Sorrentino, com’è stato lavorare con lui?
È stato un privilegio, Paolo scrive in maniera sublime, con lui quando si lavora tutto è perfetto perché ha il controllo totale del set cinematografico. Sorrentino riesce a raccontare l’essenza dei suoi personaggi attraverso pochi dettagli ed è uno tra quei pochissimi registi di cui basta vedere quattro inquadrature per capire che si tratta di un suo film.
Molti suoi colleghi attori ad un certo punto della carriera hanno deciso di dedicarsi alla regia, è una scelta che farebbe lei?
Fare il regista è un mestiere specifico, pochi quegli attori che sono diventati davvero grandi in quelle vesti, mi viene da pensare a De Sica, Moretti, Allen, Eastwood, io a oggi, non mi sento pronto per intraprendere questa carriera.
Grazie a Stefano Accorsi e ad altri attori come lui la cinematografia diventa un’arte sublime, infatti, come sosteneva Ingrid Bergman: “Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”.