“…io son sempre lo stesso, sempre diverso”, lo scriveva Francesco Guccini nel 1972, cantando al mondo che anche il continuo cambiamento è parte di noi. Alla fine degli anni ’90 furono i Litfiba a far ballare intere generazioni cantando “è il mio corpo che cambia, nella forma e nel colore, è in trasformazione” il testo è stato interpretato in mille modi, a noi, che la cantiamo e balliamo ancora oggi, piace pensare che sia l’esaltazione di una trasformazione che porta a novità entusiasmanti e migliori, qualunque esse siano. La trasformazione e il cambiamento, d’altronde, sono costanti; innaturale è, invece, il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano invece di lasciarle essere ciò che sono. Come viviamo il cambiamento dipende solo da noi e, mai come oggi, c’è bisogno di mutare, di aprire le braccia al nuovo e lasciare che questo abbraccio accolga tutti, specie chi di cambiare ha bisogno per continuare a vivere. Non solo la musica, ma anche l’arte e la letteratura hanno affrontato il tema della metamorfosi in ogni suo aspetto: la mitologia classica ci presenta la metamorfosi di Dafne come un’avvincente trasformazione: una ninfa trasformata in un albero soggetto alla venerazione di Apollo, Dio greco della musica e delle profezie. Bernini, poi, nel tentativo di trasformare il racconto di Ovidio in opera d’arte, realizza una delle sculture più belle del nostro patrimonio artistico. Ed ecco, ai nostri occhi, la bellezza data proprio dal cambiamento. Anni ed anni dopo lo scrittore boemo Kafka è riuscito a parlarci, proprio attraverso la metafora della metamorfosi, dell’incomunicabilità tra gli uomini, delle discriminazioni verso chi appare diverso e della sofferenza a cui condanniamo un essere umano ogni volta che “diverso” lo consideriamo. Sarebbe stato bello se il capolavoro kafkiano avesse avuto un altro finale: vedere il protagonista, anziché lasciarsi morire tra l’abbandono e le discriminazioni, compreso e accolto, nonostante le sue sembianze di scarafaggio. E a ri-trasformare il racconto di Kafka ci ha pensato lo scrittore giapponese Murakami che, in un suo racconto, ha ridato speranza al protagonista: questa volta, è uno scarafaggio che diventa uomo, ma non si lascia morire, anzi, rompe gli argini della sua stanza, esce, si innamora, si interroga, vive. “Il mondo attendeva che lui imparasse” si legge alla fine del testo di Murakami; parole che ci lasciano con una domanda: quante cose possiamo imparare da un cambiamento? Forse, in primis, che la realtà non la cambiano l’arte, la musica o la letteratura, che servono a scuotere e a far pensare, ma la cambiamo noi esseri umani quando, anche dall’arte, impariamo quanto sia produttivo saper fondere le proprie tradizioni con quelle degli altri per creare una civiltà nuova che non sia globale solo perché esiste internet, ma che sia globale perché integrata, unita, aperta. Il “Festival dell’Aspide 2019” con il fondersi di tanti generi musicali diversi, di tante arti diverse provenienti da diversi luoghi del mondo è proprio un inno ad unirsi per creare bellezza, un inno ad aprire i cuori e anche i porti.
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