L’esperienza formativa incide anche sulla tecnica di comunicazione di Francesco, che subisce una ulteriore evoluzione dopo la grande rivoluzione di cui è stato protagonista Giovanni Paolo II, che sa usare i mass media incoraggiando il rapporto diretto con i giornalisti, in particolare durante i voli papali internazionali quando accetta una cascata di domande. Nell’Ottobre del 1978, appena eletto, egli incontra per 45 minuti la stampa internazionale nel palazzo apostolico. Non sta seduto sul trono, si muove con scioltezza per la sala; lascia che gli vengano rivolte domande di ogni tipo, rispondendo in varie lingue. A marzo del 2013, dopo l’elezione, papa Francesco riceve nella stessa aula i giornalisti e non impartisce ai presenti, che rappresentano varie credenze, una benedizione formale ad alta voce, modi diversi di utilizzare il confronto con la stampa e comunicare con il grande pubblico via televisione o media elettronici. Francesco si rivela lo spin doctor degli eventi mediatici; si presenta come un peccatore perdonato proveniente dalla fine del mondo, ha un’irrefrenabile esigenza di stare in mezzo alla gente e dimostra una particolare abilità nel comunicare. Chi lo avvicina inizia con l’ascolto in silenzio dei suoi gesti, che contribuiscono a esaltare una presenza che si caratterizza per la prossimità. In tal modo egli esalta il valore delle parole e facilita la meditazione. Il suo saper raccontare rifugge il linguaggio astratto e concettuale del professore, riesce a convincere esortando senza mai giudicare o sanzionare il singolo perché tutti possono essere discepoli di Gesù. Egli sollecita buona volontà senza porre condizioni perché predilige una comunicazione sempre inclusiva. Solo chi è in mala fede può proporre una lettura eretica dei messaggi di Francesco, incapace di apprezzare la quantità d’informazioni che egli offre e la conseguente qualità per il contributo alla verità. Fedele al proposito di sincerità e adamantino nell’opporsi ai pettegolezzi, egli evita ogni sorta di ambiguità rimanendo conciso e ordinato nell’esposizione; si sforza di utilizzare una semantica spirituale ostica solo per chi persegue logiche mondane di comunicazione.
L’elaborazione teologica in atto nelle chiese del sub-continente ha segnato profondamente Bergoglio, che spinge a prediligere il graduale distacco dal cattolicesimo di antico regime, propugnatore del rapporto stretto fra trono e altare, frammisto all’anticlericalismo liberale e massonico, propugnatore di modelli teocratici antidemocratici. La Conferenza di Medellin, con la sua enfasi escatologica, ha invitato alla missione per riaccendere la speranza nel continente mentre si radica la teoria dello sviluppo per vincere la dipendenza. I contrasti si sono polarizzati determinando la reazione della politica che sfocia nella repressione militare contro teologi della liberazione, il socialismo cristiano e le comunità di base disposte a individuare nella rivoluzione socialista, segnata dal nazionalismo latino-americano, lo strumento ideale per risolvere i tanti problemi e fornire risposte radicali a situazioni estreme di negazione dei diritti umani. Subito sono emerse le aporie rispetto al Vangelo e una profonda e articolata riflessione ha aperto la strada alla scelta per i poveri, vera possibilità di riscatto sollecitando una forte presa di coscienza.
La riflessione aveva portato a individuare due teologie della liberazione, una a sfondo politico, l’altra religiosa rispondente alla dottrina sociale della chiesa. L’azione del cardinale Pironio aveva contribuito a far comprendere l’aporia di chi avrebbe voluto realizzare nuove reduciones, riproposizione nel XX secolo d’illusioni teocratiche e temporaliste. Intanto si seminavano idee che hanno contribuito all’unità di pensiero. Dopo Medellin nel 1968, Puebla nel 1979 e Santo Domingo nel 1992, l’approdo definitivo si registra nel santuario dell’Aparecida, in Brasile, nel 2007, dove a dominare è la teologia argentina del popolo, della cultura e della città per andare incontro agli ultimi e così raggiungere tutti, manifestando una preferenza che non significa esclusività. Si scandagliano le nuove periferie geografiche ed esistenziali per porre attenzione alla sofferenza di chi si sente disintegrato per offrirgli il balsamo della fede affiancandolo al pane materiale. È la base della «Chiesa dei poveri» auspicata da papa Giovanni; con Bergoglio diventa povera e per i poveri, interpretazione autentica in riferimento ai documenti del Concilio Vaticano II e al magistero dei pontefici. Ne deriva l’impegno all’incontro dell’altro come concreta manifestazione di misericordia che ritrova la sua forza nel Vangelo.
È l’humus culturale e teologico al quale si abbevera Bergoglio. Egli si colloca tra i protagonisti della decolonizzazione della chiesa latino-americana. In tal modo si superano le aporie della teologia della liberazione proponendo una visione integrale del bene per l’uomo e per la comunità nella quale è chiamato a lavorare. Paolo VI, con l’Evangelii nuntiandi, aveva offerto le coordinate per coniugare Medellín con Puebla e passare dallo schema oppressione-liberazione a quello di liberazione-evangelizzazione. A questo proposito, un ruolo particolare viene svolto dalla chiesa argentina che sperimenta una complessa situazione per le contaminazioni con la cultura e il pensiero filosofico e teologico europei, ma latino-americanizzato. Si manifesta la propensione a varcare la soglia dell’intransigente difesa per sperimentare la coabitazione con la religione secolare e un insieme variegato di tradizioni e culti. Intanto, l’affievolirsi dell’identità cattolica non determina, come in Europa, l’abbandono della Chiesa per un laicismo senza religione. La situazione induce a praticare un nuovo tipo di ecumenismo basato sull’amicizia e non sulla ricerca d’intese teologiche.
La formazione di Bergoglio è alla base del suo afflato verso il popolo di Dio e rimanda alla sua esperienza dopo il Concilio Vaticano II in America Latina, dove la Chiesa ha sperimentato un periodo particolarmente turbolento. Si sono vissuti anni segnati da grande fermento culturale con ripercussioni anche politiche. Allora egli ha maturato la sua idea di popolo di Dio. Da provinciale dei gesuiti ha sollecitato una scelta chiara per sostenere i poveri nel loro desiderio di pace e di giustizia. Egli ha condiviso l’anelito di Congar per una riforma sensibile all’impegno pastorale per i fedeli comuni. Plasmata dalla periferia più che dal centro, attribuisce grande valore alla tradizione che focalizza nell’adorazione eucaristica e nella devozione ai santi, pratiche apprezzate dal popolo più che dalle elite. Alla ricerca di frutti sgorganti dallo zelo per una maggiore fedeltà e unità, si sollecita una chiesa più fedele a se stessa, diffidando di chi tenta di allinearla seguendo movimenti laicisti. La Chiesa é chiamata a dare il suo contributo rivelandosi strumento di misericordia anziché severa regolatrice di prassi tramite l’osservanza di canoni.
Bergoglio ha considerato Puebla con la sua opzione per i poveri, che implicava attenzione per le caratteristiche culturali e per la religiosità popolare, una svolta decisiva per guardare all’America latina mediante la tradizione dei semplici fedeli, anziché utilizzare gli strumenti di analisi importati dalle elite. A queste condizioni il subcontinente avrebbe potuto affrancarsi dalle ideologie e dall’imperialismo economico che lo imprigionavano distruggendo l’originalità cristiana dell’incontro con Gesù vissuta dalla gente comune nella semplicità della propria fede. È il contributo della scuola argentina alla teologia della liberazione post-Medellin. I passi del documento sull‘evangelizzazione della cultura e della religiosità popolare redatti dal pioniere della teologia del pueblo, padre Lucio Gera, e dal teologo cileno che ne condivideva le posizioni, Joaquin Allende, sono risultati determinanti. Nella lezione inaugurale per l’anno accademico 1989 all’Università del Salvador, Bergoglio sollecitava una nuova antropologia politica sostenendo che al paese mancasse una narrazione che sapesse spiegare adeguatamente la funzione per migliorare la vita dei cittadini e armonizzare visioni e interessi diversi usando il potere del servizio per costruire il bene comune senza precipitare nei lacci dell’utopismo o cedere a nostalgiche nebulose. Gli risultò molto utile la lettura di Guardini per sostituire alla dialettica hegeliana degli opposti antinomici quella della mutua interazione di realtà. Negli anni dell’esilio interiore a Cordoba, tra giugno 1990 e maggio 1992, si avvicinò ancor più al pueblo fidel, situazione che lo ha aiutato a considerare anche i suoi problemi personali da una prospettiva migliore. Meditò sulla chiesa e si convinse che in essa sembrava prevalere lo spirito stanco, tiepido e ripiegato in se stesso degli europei. Invece, come si legge in Evangelii Gaudium, sollecitava l’esplosione di energia e d’ispirazioni provenienti dall’America latina con continui riferimenti al documento dell’Aparecida del 2007, la cui redazione fu affidata proprio a Bergoglio. Egli prospettava una Chiesa di e per i poveri, radicata nel Vaticano II e orientata alla missione, concentrata sulle periferie, saldata al santo e fedele popolo di Dio, fiduciosa nel dialogo con la cultura, ma ferma e coraggiosa nel denunciare ciò che danneggia i poveri. Perciò egli non ha esitato a fustigare il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico, l’elitarismo narcisista e autoritario di chi si auto-proclama guardiano dell’ortodossia, pronto ad analizzare e classificare il prossimo anziché evangelizzarlo. Bergoglio pensava, come oggi ritiene, che il popolo ha un’anima alla quale ci si deve rivolgere utilizzando un’adeguata ermeneutica, che non può essere quella dei politici che pretendono di distillare la realtà in un’idea da intellettuali privi di talento e freddi moralisti; occorre, invece, abbeverarsi alla fonte della saggezza della gente comune e porre riparo alla triste immagine di un popolo profondamente deluso dai suoi dirigenti, egoisti e incapaci di creare la solidarietà necessaria per il buon funzionamento della democrazia.