Dopo una campagna elettorale logorante Capaccio Paestum ha di nuovo un sindaco: Franco Alfieri. Il responso elettorale uscito dalle urne ci obbliga ad una riflessione: l’ex sindaco di Agropoli e di Torchiara, si candida a Capaccio Paestum contro tutti i principali senatori della politica locale tra cui 4 ex sindaci (Marino, Sica, Voza e De Simone), con le vicende giudiziarie che gli scoppiano in piena campagna elettorale, con la stampa che ogni giorno tuona contro di lui, con molti vecchi consiglieri tra le sue liste, facendo un confronto nel quale egli stesso (con un increscioso scivolone) ammettva di aver aggirato una legge regionale con un Escamotage e riesce comunque a vincere le elezioni. La domanda viene spontanea: perché? Com’è possibile che tutte le congiunzioni del caso non abbiano giovato all’altra coalizione?
Sono molteplici i motivi per cui la maggioranza degli elettori ha votato Franco Alfieri; nonostante tutto. Ma il comune denominatore è l’evidente obsolescenza di un comune incastrato a 20 anni fa. Fermo nel tempo, nel quale ad ogni campagna elettorale sempre gli stessi, a targhe alterne, o a partiti alterni, rilanciavano la solita Bufalara, i soliti chioschetti nella pineta e la solita riqualificazione del borgo del Capoluogo. Il tutto confezionato sempre e inevitabilmente dalla parola “Giovani”. E proprio loro, unitesi sotto lo stesso stendardo, dopo avere ripetuto le stesse cose per anni, hanno deciso stavolta di accorarsi tutti insieme contro Alfieri. L’ex sindaco di Agropoli ha avuto l’avversario giusto al momento giusto: tutti i responsabili delle problematiche locali in un solo colpo. La condizione ideale per la retorica rivoluzionaria che entusiasma, dai tempi di Palumbo, una buona parte del tessuto sociale capaccese.
L’analisi del voto non può non prescindere dal tuo avversario, ovviamente. E anche qui Alfieri è stato fortunato. Confrontarsi con Voza al ballottaggio è stato senza dubbio più semplice considerando che l’ex sindaco di Capaccio ha governato 5 anni anche, e soprattutto, con le persone che circondano oggi Alfieri. Quindi il confronto dal punto di vista delle “risorse umane” era senza dubbio penalizzante per Voza visto che ci ha riprovato, sempre con la stessa classe dirigente, ma con esiti deludenti, nel 2017. Anche dal punto di vista giudiziario era davvero inutile attaccare Alfieri sulle sue indagini, avendo lui stesso un rinvio a giudizio. Insomma, Voza era lì apposta per far vincere Franco Alfieri. Il profilo era ideale.
Ma il motivo trainante, il comune denominatore del successo Alfierano, è stata la profonda delusione e il forte rammarico per aver perso tanti anni e tante opportunità. La vecchia classe dirigente, confezionata dell’altra parte della barricata, aveva avuto, in 20 anni, la reale possibilità di cambiare Capaccio Paestum, di renderla più vivibile più accogliente, più a misura di cittadino, di imprenditore e di “giovane”. Invece si è andati avanti arrangiando e arrancando con opere di ordinaria amministrazione, con progettini e “marciapiedini” che diventavano successoni, anziché essere il minimo sindacale per un cittadino che paga le tasse. L’opera come la piscina Poseiodone, che sicuramente andava gestita diversamente e non chiusa per così tanto tempo, ma che è risultata il fallimento in calcestruzzo della politica voziana. Un paese fermo e incastrato nel passato che si traveste da presente per gestire il futuro. E Alfieri si è infilato in quel malcontento, che ha generato quel voto di rimbalzo contro una politica che ha tradito le aspettative e disatteso le tante promesse. Quell’elettorato a cui non importa più della questione morale, dei processi o delle ambizioni di questo Sindaco: l’unica cosa importante per loro è che non si perda più tempo, che si esca dalla palude. Ed è stata questa l’intuizione di Alfieri: dare delle risposte ad un popolo che di risposte non ne ha mai avute; un qualcosa che si muova subito e che dia concretamente un riscontro ai cittadini. È questo il punto a cui è stata portata la società capaccese. A cui “loro” l’hanno portata. Per dirla con Kierkegaard “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette il microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.