In questo numero Unico propone, in memoria del professore La Greca, di riflettere sull’attuale condizione culturale del Cilento seguendo la lezione d’impegno civile di Amedeo. Egli ha animato un intenso scambio di idee e di ricerche fornendo un considerevole contributo con i saggi da lui scritti o pubblicati dal suo Centro studi. Anche quando percorre il filone delle ricerche locali egli coglie situazioni e prospettive collegate a problematiche generali, nei suoi studi non vi è erudizione provinciale; la curiosità intellettuale lo induce a spaziare in più campi sempre con giovanile entusiasmo. La sua biografia intellettuale s’incarna e riflette anche il contesto ambientale ed esistenziale della provincia di Salerno. Egli esplica la funzione di docente con sentita adesione alla missione socratica dell’intellettuale desideroso di far acquisire ai propri concittadini una rinnovata autocoscienza. Amedeo ha partecipato i frutti del suo ingegno, riservando un particolare riguardo alla propria terra, testimone di una millenaria stratificazione di civiltà, con una lettura ampia dei fatti e delle vicende per individuare nel tempo e nello spazio la specificità dell’esperienza cilentana. La capacità di leggere la processualità della storia gli consente di rigettare la tesi di chi in questo lembo d’Europa ritiene statica la vita che, invece, si lega a una concezione che assegna un ruolo alla cultura. Aspetti della quotidianità, a volte anche con evidenti deviazioni, pur se locali respirano pienamente la cultura mediterranea. Semplicistiche argomentazioni hanno favorito il sorgere nel Cilento dello stereotipo dei briganti e, in seguito, esaltato gli emigranti come unico vettore di modernità; con la fuga dal paese natio costoro avrebbero pronunciato la loro condanna e gridato la protesta sociale. In questi miti, che hanno ispirato tanta letteratura, è possibile riscontrare aspetti della realtà locale, immagini e persistenze che, analizzate con metodo storico, diventano documentazione per considerare la politicità del messaggio nella meta-temporalità dell’espressione.
Area dell’abbandono dalla quale sono partiti in tanti, nel Cilento il XX secolo ha determinato un’ulteriore e più marcata marginalità. Cause storiche di lungo periodico si sono amalgamate con le vicende politiche nazionali. I rapporti squilibrati e sostanzialmente perdenti del decennio giolittiano non hanno trovato occasione di riscatto durante la Grande Guerra, né nei concitati mesi della crisi del regime liberale, nell’area percepita come un’eco sbiadita della marcia su Roma, generando pochi fascisti e tanti opportunisti. Dopo un ventennio di propaganda esaltatrice dei successi italici, la realtà della guerra investe anche questa zona marginale e isolata; per alcuni mesi fame, paura, baratto la fanno da padrone, intanto l’arrivo dei liberatori sottopone la società al trauma di una forzata modernizzazione. Gli abitanti subiscono il processo di massificazione, che li trasforma in emigrati del triangolo industriale e realizzatori di un miracolo economico di cui beneficiano soltanto in parte grazie ai nuovi modelli di consumo. Alla fine, la cultura si rivela l’unica autentica possibilità di riscatto, mezzo di formazione personale e opportunità di ascesa sociale, riscontro delle potenzialità inespresse, delle risorse potenziali, degli ostacoli da superare, delle prospettive di una crescita sostenibile nel rispetto della precipua individualità della zona.
Una rinnovata sensibilità aiuta a comprendere il valore dei molteplici filoni dell’indagine demografica, economica, sociale, religiosa e l’umile ma prezioso contributo della lunga teoria di ecclesiastici, notabili, maestri, professori che hanno avuto il merito d’introdurre la storia locale nelle scuole o hanno contribuito a consolidare la memoria collettiva di un popolo; perquisiti per un’efficace didattica in grado di coniugare problemi storici e psico-cognitivi sollecitando un’esperienza dialettica e fruttuose proposte formative per il fecondo rapporto tra società e istituzioni. In tal modo le giovani menti si avvicinano alle radici delle tradizioni, della cultura, dei valori della società nella quale possono vivere l’equilibrata relazione di conoscenze tra storia nazionale e locale. Di questo operoso impegno culturale Amedeo La Greca ha dato l’esempio. Il suo è stato uno sforzo, a volte solitario, rispecchiatosi nella vicenda interiore di un professore che della scuola, del rapporto con gli alunni e dell’impegno civico ha fatto costante riferimento. Nel ricostruire paesaggio, ambiente, dinamiche cultuali e socio-economiche del Cilento egli ha spaziato dall’età classica al primo evo moderno, ricercando il topos letterario legato all’immagine della Lucania tramandato dalle testimonianze superstiti della letteratura latina e greca e ancora presente negli scritti medievali. La sua biografia intellettuale incarna e riflette anche l’ambito culturale, ambientale ed esistenziale dell’area dove è vissuto ed ha operato, esperienza ancor più significativa per un docente se esplicata con visibile partecipazione socratica alla missione dell’intellettuale desideroso di far acquisire ai propri concittadini una novella autocoscienza per superare il complesso del vecchio e acquisire l’orgoglio dell’antico verso la terra nella quale si è nati. Amedeo ha sempre richiamato questi valori partecipando i frutti del suo ingegno. Le esperienze a contatto con questo mondo gli hanno consentito una lettura più ampia e articolata dei fatti e delle vicende per individuare, nel tempo e nello spazio, la specificità dell’esperienza politica e culturale della popolazione. Egli ha considerato queste riflessioni compito dell’insegnate attivo nella scuola, entusiasta dei prediletti filoni di ricerca, coerente nella testimonianza etico-politica, schivo rispetto alle sollecitazioni di una convulsa e, a volte, caotica società civile, sollecito a fornire il proprio contributo alla soluzione delle problematiche culturali, economiche e sociali della propria terra.
Consapevole che, nel contesto provinciale, l’ethos del professionista si fonda sul rapporto di deferenza con la cultura, intesa come opportunità e riscatto – storia di tanti docenti di paese, una sorta di ricetta che accomuna successo individuale e consensi nella comunità – Amedeo è stato anche un impareggiabile animatore d’iniziative culturali; il Bollettino storico di Principato Citra, gli Annali Cilentani nel 1989, gli Annali di Principato Citra sono riviste da lui fondate con un gruppo di amici, volenterosi operatori intenti a stimolare la conoscenza dei problemi e a individuare gli strumenti per porre riparo a storture e situazioni d’arretratezza. Per animare il dibattito e per coinvolgere un numero maggiore di protagonisti, egli ha concepito le riviste come uno strumento di confronto proponendo studi e ricerche sul Mezzogiorno minore e auspicando un’articolata partecipazione, spunti per indurre società civile, forze politiche, istituzioni culturali, enti addetti alla promozione sociale a collaborare per impedire che il Cilento continui ad apparire una colonia di realtà già degradate e incapaci di esprimere una leadership economica, culturale e civile. Tra gli impegni di animazione particolare risalto hanno avuto aspetti collegati alla valorizzazione del genere di vita per consentire ai cilentani di riappropriarsi dei tesori artistici e culturali che la vicenda storica ha fatto sedimentare nei tanti paesi dell’area, operazione di recupero e difesa di valori complessi e radicati, occasione per iniziative di alto significato sociale. Ad interessare Amedeo è stato soprattutto il rapporto armonico, simpatetico, irenico che, nonostante tutto, ha segnato il legame simbiotico tra pastorizia, agricoltura e mercato nel rispetto complessivo delle particolarità espresse dalla relazione mare-montagna. Ciò trova evidente riscontro nei numerosi statuti d’epoca tardo-medievale, che attestano pratiche produttive, tradizioni e costumi secolari, in parte ancora valide indicazioni sulle quali fondare l’azione del Parco. Occorre prestare molta attenzione per evitare errori di prospettiva e di gestione, soprattutto striscianti strumentalizzazioni degli interessi costituiti dal capitale, dal potere, dai faccendieri della politica e della burocrazia, dai tanti tecnici che sollecitano la spesa pubblica per gestire a fini privati risorse destinate a questo settore. Rispetto a queste disfunzioni Amedeo La Greca si è impegnato a stimolare una novella autocoscienza, specifica funzione dell’intellettuale impegnato a proporre alla riflessione di tanti i frutti della cultura cilentana, modello di sopravvivenza nel Mediterraneo dove coesistono il bosco sacro, lo iazzo del pastore, le grotte del neolitico, l’agorà del filosofo, la città delle rose, la grancia basiliana, il castello medievale, la piazza dei galantuomini, tutti segni della laboriosità di un popolo, monumento del nous divino in ogni uomo, invito all’homo oeconomicus perché ridiventi homo sapiens.
Intellettuale della Magna Grecia, attributo che sovente suscita ironici commenti presso i sacerdoti nazionali dei poteri forti, Amedeo s’inserisce nella lunga teoria di personaggi che nei paesi e nelle province meridionali hanno bene operato. Coscienti di dover partecipare la propria esperienza di formazione, costoro hanno sovente trasformato la cattedra in una scuola di vita e la loro esistenza in esempio operoso di maestri, evocando i fastigi della classicità idealizzata dei filosofi, i quali organizzavano e animavano la polis mentre la governavano. Il suo impegno si è trasformato in un viatico per la cultura cilentana. Nei suoi scritti e nella sua azione si trovano spunti di speranza per riprendere il dialogo fra tradizione e formazione, tra impegno politico e fondamento culturale, tra le esigenze di un popolo nel quale si riflette una storia millenaria e la difesa della vera libertà per la quale tanti hanno operato.
Nell’attuale panorama socio-politico della provincia, in cui molto spesso il vuoto di pensiero e la diafana ed effimera realtà di un’immagine costruita a tavolino prevalgono sulla concretezza di una solida preparazione, la riflessione sull’opera del professore La Greca può illuminare un dibattito sovente scarso di idee perché privo di ideali, minati dall’appiattimento che insidia il pluralismo quando tutti i credi e tutte le ideologie sono condizionati dal pragmatico culto dell’utile. E’ una temperie che richiede una nuova fondazione del nostro modo di vivere. Guardarsi intorno e trovare conforto nei nostri maggiori diventa necessario, ritornare ai loro insegnamenti terapeutico. Anche l’opera di Amedeo può fornire questo viatico; nel suo lavoro di ricercatore e nell’azione di divulgatore si rinvengono spunti di speranza per riprendere il dialogo tra impegno civico e fondamenti culturali, tra esigenze di un popolo e salvaguardia della vera libertà. Questa consolidata tradizione ha trovato riflesso e rifugio nella provincia italiana; di essa Amedeo è stato partecipe e continuatore collocandosi nella lunga galleria di personaggi che hanno bene operato, consapevoli di dover partecipare la propria esperienza, mantenere alta la memoria storica delle arre marginali, testimoniare la bontà del persistente dialogo fra tradizione e formazione, tra intelligenza e sentimenti per esaltare i valori civili.