La bolgia salviniana ha fischiato sul sacrato del duomo di Milano il papa strumentalizzando a fini elettorali una pervadente e colpevole incomprensione nei confronti di Francesco. L’eco di quella aprioristica contestazione trova riscontro anche all’interno della chiesa e non bisogna andare molto lontano dal Cilento per cogliere tra laici ed ecclesiastici silenzi di condanna, mugugni scandalizzati e critiche interessate di chi è poco disponibile a praticare la scelta francescana continuamente ribadita dal pontefice. Ma proprio la nostra chiesa locale dovrebbe sforzarsi di comprendere con maggiore lena la portata del papato di Francesco se l’intuito di un porporato originario dei nostri paesi ha avuto un ruolo determinante nel valorizzare il gesuita padre Bergoglio; l’ammirazione per le doti di mente e di cuore è all’origine della scelta del futuro papa a suo successore come Arcivescovo di Buenos Aires, cattedra episcopale che lo ha fatto conoscere all’America Latina, accreditandolo durante i due conclavi ai quali ha partecipato.
Gli intellettuali di avanguardia avevano diffuso l’idea falsa che Bergoglio fosse un conservatore e volesse riportare i gesuiti all’epoca pre-conciliare, anche se le sue decisioni e i suoi scritti andavano in senso opposto. Egli aveva maturato l’idea del popolo di Dio, nel quale l’individuo si sarebbe dovuto distinguere per il ruolo e non per il rango; di conseguenza riteneva che i gesuiti dovessero sostenere i poveri nel loro desiderio di giustizia. La vera riforma per Bergoglio doveva guardarsi dal secolarismo spirituale che impediva alla Chiesa di somigliare a Cristo e di agire come Lui. L’opzione preferenziale per i poveri ha ampliato l’idea cristiana di liberazione non solo dal peccato, ma anche da strutture sociali immorali. Come provinciale egli ha promosso la giustizia sociale senza dimenticare la dimensione religiosa e le solide radici spirituali per estrinsecarsi in un sano equilibrio. Su questa base egli si è impegnato per unificare e rafforzare il popolo, dislocare i gesuiti in periferia e incoraggiare le vocazioni rinnovando nel contempo la formazione: una decisa azione per spoliticizzare la provincia gesuitica argentina. Ma questi sforzi gli alienarono i conservatori per l’impegno nella giustizia sociale e le sinistre perché negava sostegno alle versioni estremiste della teologia della liberazione. Bergoglio non é un rivoluzionario; dotato di grande spessore spirituale, è fautore radicale del Vangelo con una strategia pastorale che dà la priorità ai poveri. Egli ha espresso questa opzione col lavoro manuale, la concreta cura pastorale e un profondo rispetto per la cultura e i valori popolari, in particolare la religiosità dei pellegrinaggi ai santuari e altre forme di devozione per procedere a una radicale inculturazione entro il perimetro di vita del devoto popolo di Dio. A ciò si opposero i confratelli impegnati soprattutto in attività di studio e di ricerca determinando forti tensioni fino alla spaccatura della provincia e si volle porre riparo esiliando Bergoglio all’interno dell’ordine. Sconfitto nello spirito si recò in Germania, dove iniziò le ricerche su Romano Guardini per conseguire il dottorato. Uomo d’azione, s’imbarcò in questa impresa a cinquant’anni; personalità con intense e profonde relazioni umane, egli aveva bisogno di vivere in comunità. Solo e malinconico, percepì come insostenibile il disagio e dopo pochi mesi fece ritorno a casa confidando su Maria Desatanudos, la Madonna che scioglie i nodi che gli aveva fatto compagnia, consolandolo, in Germania e, portata a Buenos Aires, la sua devozione ha fatto registrare una straordinaria diffusione.
L’espulsione di Bergoglio e di quanti erano considerati suoi seguaci fu considerata la soluzione più efficace alle tensioni; perciò gli fu revocato l’insegnamento di teologia pastorale e per due anni, da giugno 1990 a maggio 1992, a Cordoba suo principale compito quotidiano fu confessare, trasformandosi in strumento e veicolo di misericordia. Questa esperienza, che lo teneva vicino al pueblo fidel, lo aiutò a considerare i suoi problemi da una prospettiva migliore; fu un periodo di grande crisi interiore lenita dalla presenza appena percepibile di Dio. La provincia che amava veniva smantellata e la generazione di potenziali leader da lui formata dispersa. Un senso d’impotenza lo avvicinò ancor più ai poveri.
Questa era la condizione del futuro papa quando Quarracino, che lo conosceva e ammirava, entrò in azione. Il cardinale di origine cilentana, dopo avere partecipato al Vaticano II, aveva rivestito ruoli di primo piano all’interno della chiesa Argentina e continentale. Presidente del Consiglio Episcopale Latino-americano, aveva instaurato un profondo legame con Giovanni Paolo II, che lo riteneva un vescovo ideale perché vicino agli operai, saldo nella dottrina, pro-life e sostenitore della giustizia sociale. Raffinato polemista e con un marcato senso dell’ironia, aveva il dono della chiarezza. Formatosi nel clima politico del peronismo, sapeva entrare in contatto con la gente comune; ma poteva risultare anche impulsivo con prese di posizione che lo facevano apparire più conservatore di quanto fosse in realtà. Egli sfruttò il rapporto fiduciario con Wojtyla per ottenere la nomina di Bergoglio a suo ausiliare contro il parere di tanti gesuiti che continuavano a far circolare calunnie nei suoi confronti. Iniziava così tra i due vescovi un consorzio di vita che permise loro di collaborare benché diversissimi per carattere: Bergoglio tranquillo, riservato, austero, Quarracino estroverso, con una indomabile vivacità che gli faceva amare la ribalta e i fasti della carica. Ad unirli era la naturale affinità che rimandava al loro analogo retroterra sociale, oltre alla convergenza nelle scelte politiche e culturali. Figli di italiani emigrati in Argentina negli anni Venti, non celavano alcune caratteristiche tipiche delle regioni di origine, compassato il piemontese, impulsivo il cilentano, accomunati da analogo orientamento, fondato sul dettato di Medellin ma decisamente antimarxista, nel solco della tradizione nazionale e popolare della teologia del pueblo. A un livello più profondo Quarracino riconosceva in Bergoglio la persona di cui lui e la Chiesa avevano bisogno; inoltre, malgrado le spigolosità, riconosceva i propri limiti e nutriva un rispetto reverenziale per la spiritualità di Jorge, per la prudenza e la capacità di discernimento, convincimento che Quarracino riassumeva nell’affettuoso epiteto di el Santito.
Il cardinale scavalcò la Congregazione dei Vescovi e convinse direttamente Wojtyla, che il 20 maggio 1992 regalò all’Argentina un vescovo non del tipo cui era abituato il clero: niente affatto clericale. Bergoglio era diretto, umile, austero, efficiente, impegnato anche a proteggere, non sempre con successo, Quarracino dal suo carattere. Pioniere del dialogo con gli ebrei e autentico progressista in diversi campi, il primate rimaneva un inguaribile omofobico, pronto in diretta televisiva ad affermazioni imprudenti per sollecitare provvedimenti. Egli si era reso conto che in Argentina la Chiesa attraverso la sua persona era stata identificata col presidente Menem e il suo entourage; rivelazioni di eventuali abusi l’avrebbero potuto portare sotto i riflettori. Perciò propose a Giovanni Paolo II l’austero Bergoglio come la scelta migliore per sottrarsi alla diffamazione. Quarracino era già gravemente ammalato, ma si garantì come successore Bergoglio, il quale a Buenos Aires come cardinale iniziò l’apprendistato di pastore e di padre che lo avrebbe portato sulla cattedra di Pietro. Sul periodico nelle prossime settimane saranno presentati gli aspetti più significativi della formazione e dell’azione pastorale di Francesco, un umile contributo alla comprensione di un papato che ha dato una svolta epocale all’azione della Chiesa nel mondo.