Assicurare il benessere e la libertà dei cittadini, ecco cosa esprime il concetto di Stato contemporaneo, proprio perché esso è forma dell’organizzazione politica, “ubi societas, ibi ius”: dove c’è una società, lì vi è il diritto. Senza dubbio questo è scontato per quel processo il quale ha dato agli individui il significato puro di collettività e con esso la proporzionalità di soggetto univoco nel diritto politico. Così come ne caratterizza l’identità in quello sociale e culturale, che spingono lo stesso soggetto a rispettare, ne è vero, anche i doveri ai quali è chiamato non solo nel contesto privato e dunque generante l’impegno verso la propria famiglia, ma anche in direzione di tutto quanto lo circonda, società, cultura, ambiente e non per ultimo la politica. Qui però vi è un dato al quale dovremo porre una profonda attenzione nonché analizzarlo nella sua sequenza descrittiva in ambito politico e nello specifico in quello politico-territoriale. Un elemento dunque, anzi dovremmo dire due condizioni, che rispecchiano molto gli studi della dottrina politica utilitarista e contrattualistica.
Termini forti, questi, ma se vengono veicolati nell’attività gestionale di un determinato territorio ecco che si trasfreriscono, come concetto, in una qualità espressiva molto più libera e condivisibile nei dibattiti gestionali per le amministrazioni e le collettività. Cosa che concilia in maniera cognitiva la società e la politica nel contesto della fattibilità e partecipazione. Ma cosa si intende per utilitarismo e contrattualismo?
Qui abbiamo diversi nonché importanti studi che ben evidenziano le prospettive di entrambi i termini, citando ad esempio quelli dell’economista John Stuat Mill (1806-1873) il quale si contrapponeva a qualsiasi ideologia che avrebbe limitato la libertà individuale o del giurista inglese Jeremy Bentham (1748-1832) uno dei maggiori esponenti dell’utilitarismo, fino a colui che è stato il precursore della filosofia idealistica e della modernità, il tedesco Immanuel Kant.
Partendo dai primi e quindi dall’utilitarismo possiamo dire che questo è quella dottrina di pensiero che confluisce nell’etica, secondo Bentham, e che basa il giudizio morale sul principio di utilità, infine si chiamerà principio della massima utilità. L’utilitarismo dunque approva o disapprova qualsiasi azione a seconda di come si mostri nell’aumentare oppure diminuire la felicità di coloro il cui interesse è in questione. Esso tra l’altro associa le scelte razionali all’ideale morale dell’essere imparziali, allontanandosi dall’egoismo etico. Certo esistono diverse forme di utilitarismo ma in politica questo concentra e dovrebbe concentrare il suo significato in quel sistema di relazioni politiche che all’interno della società massimizza il bene dei cittadini.
J.S. Mill lo proponeva in tal modo: «Se la felicità di una persona è un bene per quella persona, la felicità generale è, allora, un bene per tutta la collettività». Una società politica quindi è giusta se ordinata in maniera tale da consentire il raggiungimento della massima espressione di felicità e benessere.
Il contrattualismo, invece, il quale si indirizza verso la teoria del contratto, vuole garantire il diritto di ognuno a realizzare il proprio progetto di felicità. È un poco dissonante questo pensiero se si pensa che esso è posto a fondamento della giustizia politica, ad esempio un governante che vuole rendere felice il suo popolo lo fa secondo la sua visione o il suo pensiero e ciò identifica, in qualche maniera, quel governante come un despota. Qui ovviamente il popolo si ribelle poiché non desidera affatto che gli vengano negati i diritti per la propria felicità (cfr. Kant).
Ma rapportiamo entrambi i pensieri filosofici nella disciplina gestionale della politica territoriale, ebbene, dato che Utilitarismo e Contrattualismo sono stati rappresentati come strumenti di benessere cittadino quanto pensiamo possano questi essere stati fraintesi nella loro genesi durante una qualsivoglia attività politica? I temini in sé già abbondano nella loro trasfigurazione concettuale, senza dubbio, ma imagazziniamo per un attimo questa teoria nei nostri pensieri creativi politico-gestionali, ovvero per Utilitarismo significheremo tutto quanto è pertinente al territorio locale, all’ambiente che viviamo quotidianamente e a quello che vogliamo offrire ai nostri ospiti, alle strutture, ai luoghi e così via. Per Contrattualismo, diremo invece di quel patto etico, morale, culturale e sociale che ogni governo o amministazione, dovrebbe sottoscrivere, moralmente, prima con sé stesso, subito dopo con i cittadini.
Immaginiamoci dunque un’attività politica che quotidinamente si interfaccia con l’utilitarismo, ovvero il vantaggio che ne può trarre una determinata collettività e il suo territorio se si pensasse esclusivamente alla felicità di questi attraverso la elementarità e la semplicità di dedicarsi al bene della città. Ugualmente faremo per il contrattualismo, cioè il sostegno di ogni amministrazione ai cittadini nel loro edificare benessere e vivibilità dei luoghi che abitano. Invece qui per lo più troviamo sì queste due condizioni nelle attività politiche, ma spesso, se non sempre, sono identificabili nell’utilità personale e nella contrattazione del protagonismo.
Il punto è che della politica e delle sue accezioni, intese come fattibilità, non solo la storia ne è piena, ma ben si evidenziano nei concetti di studi e nelle teorie scentifiche quantità enormi di dottrine, ricerche, formazione e conoscenze che se rispettate nella loro natura accademica possono solo ed esclusivamente generare spazi condivisi di etica politica e gestionale. Non occorre andare lontano per trovare il senso della politica o il significato del suo termine, oppure il perché essa produce se considerata per quella che è, e non per quello che più ci è gradito. Utilità dunque per tutte le attività che si svolgono, politicamente, sui territori; contrattualismo per qualsiasi impegno amministrativo che si prende in sede di progettualità e in quello di fattibilità.