Pietro, che ha ascoltato con evidente interesse senza intervenire, elogia tutti per il contributo alla discussione e per la molteplicità delle questioni affrontate e delle quali anch’egli ritiene opportuno tener conto nell’azione di apostolato. Ricorda però che il loro annunzio deve essere innanzitutto la persona di Gesù, i suoi detti e le sue azioni dai mesi di residenza a Cafarnao, quando la cittadina diventa centro della sua attività. Ubicata sulla riva nord-occidentale del lago, è il maggior centro per i pescatori della zona; infatti, rifornisce di pescato l’entroterra. Stazione doganale, dove Matteo-Levi ha fatto il gabelliere, riveste una certa importanza strategica, ecco perché i romani vi mantengono un centurione. Gesù ha posto qui la sua base dopo che Andrea gli aveva fatto presente che a Cafarnao viveva suo fratello, il quale gli offrì subito ospitalità. Posta ai confini del territorio di Erode Antipa e nei pressi del lago, in caso di necessità la cittadina avrebbe consentito a Gesù di sottrarsi alla sua giurisdizione, elemento da tenere in considerazione; infatti, presso il Battista Gesù ha trascorso un periodo di formazione e il dato potrebbe non risultare indifferente per il re che aveva fatto decapitare il profeta.
“Mettere in evidenza le caratteristiche delle reazioni suscitate da Gesù, le ripercussioni da lui provocate in noi costituiscono il primo elemento che conferisce credibilità alla nostra testimonianza su di lui”. Così spiega Simon Pietro, ancora tutto preso nel considerare quanto è avvenuto nel suo spirito in riferimento ai fatti degli ultimi giorni.
Andrea concorda e consiglia: “Ritengo preferibile guardare anzitutto al quadro generale e cercare il Gesù comune, più che il Gesù diverso. Qualsiasi elemento caratteristico nella tradizione che lo riguarda deve essere considerato come un elemento di certezza nel valutare la sua opera perché riflette gli effetti che fin dall’inizio hanno avuto il suo l’insegnamento e le sue opere, proiezione dell’impressione duratura che ha saputo suscitare.
“Qual è la tradizione di Gesù nei suoi elementi schematici?” Chiede Bartolomeo.
Il fratello di Pietro risponde con enfasi: “Un Galileo che emerge dalla cerchia di Giovanni Battista e che per la maggior parte della sua missione è stato attivo nelle cittadine e nei villaggi della Galilea. Ha predicato con insistenza soprattutto la signoria regale dell’Onnipotente e ha accompagnato il suo messaggio con delle guarigioni praticando in genere esorcismi. Come maestro si è distinto per il ricorso ad aforismi e parabole e ha avuto molto seguito, anche se egli ha preferito dedicarsi all’istruzione di una cerchia ristretta di dodici uomini. Come profeta non ha esitato a sfidare le autorità del Tempio e per questo è stato crocefisso dai romani fuori delle mura di Gerusalemme con l’accusa di aver preteso di essere un regale pretendente messianico.”
“Condivido la tua impostazione”, declama Filippo scandendo le parole, “tuttavia, ti invito a fare una ulteriore distinzione tra il Gesù storico, legittimo obiettivo di possibili successive ricerche biografiche sul Maestro, da ciò che a noi veramente interessa: non tanto un Gesù oggettivo, un individuo che potrebbe ricordare un filosofo cinico, ma il Gesù che assume significato e conferisce concreta speranza al desiderio di salvezza. Quanto voi dite può trovare la sua sintesi nell’obiettivo realistico di tramandare il Gesù ricordato da noi così come l’abbiamo sperimentato, mettendo in parole scritte o tramite un’oralità corale, controllata da chi ha avuto a che fare con lui e per questo è testimone oculare. Secondo me questa è la tradizione più utile, quella appunto del Gesù ricordato, il punto più vicino possibile per risalire al Maestro di Nazareth che ha parlato a ciascuno di noi invitandoci a seguirlo”.
Il più contento di quest’intervento pare essere Pietro, il quale prova a sintetizzare tutto ciò di cui si è discusso invitando gli altri ad aiutarlo nello sforzo: “Gesù non ha avuto nessuna remora a entrare in relazione col suo ambiente, da questo dialogo ha tratto occasioni e spunti per sviluppare il suo messaggio. In tal modo ha creato un alone di attesa intorno a lui, una tensione d’incontri personali, un vedere, uno scambio di domande la cui vera risposta è stata sempre l’invito a un’esperienza personalizzata con lui, un vieni e vedi, come disse a mio fratello la prima volta che lo incontrò, per conoscere non solo chi è, ma anche dove o come vive. Si è comportato così fin dai tempi in cui frequentava il Battista, discepolato che ha influenzato il suo pensiero. Durante questo periodo non sappiamo se egli avesse già deciso cosa fare o se la sua missione sia sorta proprio lì, non glielo ho mai chiesto. Certamente Gesù è stato colpito dal messaggio del profeta nel deserto, perciò ha sempre elogiato Giovanni, esaltando la sua semplicità nella predicazione, il suo insistere sul giudizio che avviene ora e non nel futuro, senza prestare attenzione a fantasie circa il destino cosmico. Soprattutto del Battista lo ha colpito il suo insistere sulla necessità di decisioni personali in una prospettiva escatologica non apocalittica perché egli ha sempre parlato di crisi esistenziale imminente, che lo ha indotto a esaltare scelte radicali di giustizia e di carità, legate alla sua grande fede e alla sua severa pratica della penitenza. Questi discorsi hanno attratto l’attenzione dei Farisei e, prudentemente, Gesù decise di ritornare nella nativa Galilea. Essere indicato come un profeta è stato sempre pericoloso; i vigili informatori dei Sadducei e la rete di seguaci dei Farisei rendono tutto più insicuro, mentre il Maestro comprende di dover fare i conti soprattutto col potere romano, propenso a giudicare i predicatori apocalittici, specie se esagitati da delusioni messianiche, una minaccia da far tacere. Gesù non si stanca di ripetere che il banchetto escatologico è servito ora e a tutti, anche ai peccatori. Più volte ripete che costoro sono invitati e utilizza le sue indimenticabili parabole e ricorre a gesti concreti quando siede a tavola con collettori di tasse e prostitute per chiarire il suo pensiero. Non passa molto tempo e l’ortodossia di Gerusalemme, sempre sospettosa, grida il proprio scandalo. Per il gruppo dirigente, che tutto riassume nella promessa di un futuro trionfo apocalittico, garantito dall’Onnipotente in cambio di una rituale osservanza della legge, quel che proclama Gesù può sembrare assurdo. Nel sintetizzarlo preferisco ricordare le parole della preghiera che egli ci ha insegnato, il suo inno ad Abba, che contrasta con l’idea ricorrente dell’Onnipotente adorato nel Tempio, perché lo presenta a tutti noi immediatamente vicino, non confinato nella Dimora, sempre disposto all’abbraccio di amore perché non è un giudice severo, ma un Padre amorevole e generoso, del quale non bisogna conquistarsi il favore con le minuzie della legge. Su questa base acquista veramente un potere rivoluzionario il discorso delle Beatitudini. I poveri e i bisognosi sono invitati al banchetto nel quale l’Onnipotente manifesta il suo potere a vantaggio dell’umanità. La salvezza non è più solo un debito rimesso o il premio per aver rispettato il patto sancito dalla Torah. E’ conversione, cambio radicale di orientamento, un ricominciare praticando qualcosa di completamente nuovo. La promessa di gustare la presenza del Signore presuppone la disponibilità a vivere per la giustizia.”
Pietro ha appena terminato di pronunciare queste parole quando un servo avverte che il pane e il vino sono arrivati. Egli si alza, ma viene distratto dal rumore che proviene dall’interno della casa. Gli apostoli già seduti intorno al tavolo scattano in piedi e precipitano in un silenzio dal quale traspare una sentita devozione: nella sala da pranzo entra Maria, la Madre.
Nessuno ha il coraggio di prendere la parola. L’emozione è generale. Anche Pietro non sa che fare. La madre del Maestro percepisce il disagio, nonostante gli occhi gonfi per il gran pianto, abbozza un sorriso e bisbiglia: “Siete a tavola per spezzare il pane e bere il vino in sua memoria? Bravi! Io mi siederò in un angolo con le donne per partecipare al rito. Grazie di cuore, in questo modo continuate a far vivere la sua comunità e lui non sarà morto invano”.
“Sì Maria”, riprende Giovanni, incoraggiato da quanto ha appena udito. “Prima che tu entrassi stavamo rievocando lo stile di vita e la predicazione di Gesù, rilevando che essa è stata la manifestazione del Regno di Dio in azione. Ci pare di aver compreso che anche i prodigi da lui operati abbiano questa profonda funzione di segno: sono una prova dell’arrivo del Regno, un’identificazione con la causa di Dio, fiduciosi nella certezza della storia che si sta realizzando, luogo dell’evento escatologico. Nel descrivere questo Regno egli ha fatto sovente ricorso all’immagine di un grande banchetto. Noi abbiamo intenzione di fare memoria del nostro Maestro sempre così, ritenendo che, in tal modo, possiamo sperimentare anche un’anticipata realizzazione del Regno.”
Pietro prende il pane e, dopo averlo benedetto, lo spezza e lo distribuisce ai commensali, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”.
Un’emozione indicibile è vissuta da tutti i commensali. Ognuno va indietro con la memoria a quanto ha sperimentato durante la cena del 14 di Nisan. Pietro non riesce a trattenere le lacrime quando il pezzo di schiacciata arriva tra le mani di Maria. Egli cerca d’immaginare cosa possa passare per la mente della Madre: <<