Andrea interviene per trarre tutti dall’evidente imbarazzo e chiede a Giacomo: “Gesù ha mai avuto un collegamento col sacerdozio?”
Giacomo il minore smentisce qualsiasi riferimento a una discendenza levitica o sacerdotale; invece conferma la voce, diffusasi durante il ministero, che Gesù sia di discendenza davidica: “Era un laico religiosamente impegnato; alla ristretta cerchia di sacerdoti, i quali controllano il potere decisionale in Israele, questa sua attività ha dato la sensazione che fosse intenzionato a minare le loro prerogative”.
Nella conversazione s’inserisce Tommaso, il quale propone in sintesi la vita del Maestro sostenendo di voler mettere insieme ricordi personali, testimonianze acquisite e quanto ha appena ascoltato. “Gesù è nato un quinquennio prima della morte di Erode il grande. Dopo un’educazione non straordinaria in una famiglia devota di contadini e artigiani nella bassa Galilea, è stato attratto dal movimento del Battista, che ha cominciato, come voi tutti ormai sapete, a profetare nella valle del Giordano. Egli si è fatto battezzare da lui per poi iniziare per conto proprio il ministero pubblico a circa 33 anni d’età. Si è alternato nella predicazione tra la Galilea e Gerusalemme, dove era solito recarsi durante le grandi feste, continuando il suo ministero per poco più di due anni. Mentre era a Gerusalemme per la sua terza Pasqua con i discepoli, egli ha avuto la percezione di una crescente ostilità da parte delle autorità; ha celebrato un solenne banchetto d’addio col gruppo ristretto di noi discepoli il giorno della preparazione della Pasqua secondo il computo liturgico sacerdotale. Arrestato nel Getsemani durante la notte, dapprima è stato esaminato da alcuni capi giudei e non dall’intero sinedrio, poi consegnato a Pilato di buon mattino. Il procuratore rapidamente lo ha condannato a morte. Flagellato e schernito, è stato crocefisso fuori della città nello stesso giorno. E’ morto la sera del 14 di Nisan a circa 36 anni d’età”.
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Senza che gli altri ne comprendano il motivo, Didimo nel concludere richiama l’attenzione di Matteo e di Giovanni chiedendo ”Convenite con me su questi punti?”
Rispondono con un sì che non riesce a nascondere qualche esitazione, un fatto che sollecita l’attenzione dell’uditorio.
Matteo afferma di non concordare con Giovanni sul significato da dare all’ultimo pasto insieme e manifesta anche qualche perplessità perché la cena ha avuto luogo la sera del giovedì e la crocifissione prima del tramonto del venerdì.
Giovanni non ritiene che quello sia stato un banchetto pasquale: “Sono sicuro che il Maestro, avendo la sensazione o sospettando che i suoi nemici fossero prossimi a un imminente attacco finale contro di lui, mettendone in conto le conseguenze ha organizzato un solenne pranzo d’addio. Desiderava l’intimità e poiché le sue giornate erano occupate nell’insegnamento nel Tempio, egli ha scelto di fare un banchetto serale con noi, suoi seguaci più stretti, giovedì al tramonto. E’ stata una cena molto più significativa di un normale banchetto. Se riflettete bene, da quello che ha detto e da noi ascoltato con molta distrazione, presi dall’angoscia montante che generavano le sue parole, Gesù ci stava dando l’addio preparandosi all’eventualità di una morte imminente. Il banchetto ha assunto un carattere solenne e religioso. Egli ha fatto e detto alcune cose sorprendenti e senza precedenti, non coincidenti esattamente con nessun rito convenzionale. Inoltre, prestate attenzione a questo particolare: ci ha mandato in una casa di Gerusalemme per un banchetto speciale. Ebbene, se fosse stato quello pasquale l’ospite presumibilmente avrebbe già impegnato la sala per il proprio rito con i parenti e gli amici”.
“Giovanni, le tue sottigliezze esegetiche non trovano rispondenza con la verità che abbiamo sperimentato. Scendi un po’ dal piedistallo sul quale ti sei collocato dalla mattina dello scorso 16 di Nisan”, esclama Matteo rabbuiato in volto.
Il giovane, non riuscendo a controllare il suo temperamento, che gli aveva meritato dal Maestro il titolo di figlio del tuono, perde le staffe e grida: ”Che ne sai tu delle nostre tradizioni più sacre? Un ex gabelliere pretende di ergersi a rabbi; certo non puoi essere il mio avendo avuto maestri molto più noti e certamente migliori, a cominciare dal Battista.”
Matteo si alza da tavola ed è pronto a reagire, quando improvvisamente si scosta la tenda della sala e compare Maria, la Madre.
Tutti precipitano in un silenzio reverenziale e lei con un timbro di voce stanco, ma ancora deciso, afferma: “L’ultimo gesto del Maestro è stato quello di sottolineare il suo dovere filiale nei miei riguardi. Pur sapendo di essere circondato dalle tue cure, o Giacomo e da quelle di Giuda e degli altri, ha pensato di darmi un tutore. Ha scelto il discepolo che riteneva più vicino a lui, non è così, Giovanni? Tu però eri solo il rappresentante di tutti coloro che attendono la salvezza, ai quali è stato affidato il compito di essere il mio sostegno in quest’ora di difficile incertezza. Mi hanno riferito che durante l’ultima cena hai riposato sul suo petto. Se è vero come puoi ora litigare proprio parlando di quei momenti?”
“La sorella di Marta mi ha detto che hai creduto alla Maddalena senza che avessi alcuna apparizione, semplicemente osservando il sepolcro vuoto. Ciò ti rende testimone decisivo di un fatto attendibile e vero. Tutti voi non dovete temere. La morte ha messo a rischio la missione di Gesù; ma mio figlio crocefisso ha vinto, assicurando la sopravvivenza alla sua comunità, a tutti voi purché rimaniate uniti, interpreti attendibili del suo messaggio di salvezza, e sappiate testimoniare la sua vita e le sue opere in un modo credibile e accattivante.”
La tensione è alle stelle.
La Madre di Gesù, dopo queste parole, si ritira nella sua stanza e Giacomo invita tutti a far ritorno l’indomani da Pietro. Escono dalla sala da pranzo per dirigersi verso i giacigli che Marta ha preparato. Solo Tommaso chiede a Lazzaro di poter passeggiare, riflettere e guardare le stelle. Già percepisce che sarebbe stata una notte insonne.
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Che notte! Un’esplosione di stelle sembra voler fare da aureola alla testa di Tommaso che, a piccoli passi e sempre pensoso, va avanti e indietro nei pressi della casa di Lazzaro. Il solo a non gioire per quel tripudio di luce soffusa, evocatrice di pensieri di pace, è lui. E’ una notte di primavera in Palestina, come tante in passato e tante in futuro; ma per Didimo è una notte particolare. Gli sembra di essere giunto alla fine della sua ricerca, eppure ha sempre quei dubbi che lo tormentano. S’incammina verso la campagna. Sulle colline dei fuochi indicano la presenza di pastori con i loro greggi. Come vorrebbe sentirsi preso per mano dal suo pastore. Non aveva detto che era pronto a caricarsi la pecora smarrita e portarla all’ovile, contento di averla ritrovata?
Ma dov’è questo pastore? L’acuta intelligenza induce Tommaso a ritenere che non possa essere altro che il messaggio annunciato dal Maestro, spiegato dal Maestro, bisbigliato dal Maestro in notti come questa, accanto al fuoco, quando li istruiva prima di inviarli a due a due per le città ed i paesi della Galilea ad annunziare la buona novella.
Qual’è la buona novella per Didimo? Quella alla quale crede Giovanni e annunziata da una donna verso la quale continua a provare una radicata riserva mentale? Oppure il convincimento al quale egli è pervenuto, vale a dire che le parole di Gesù sono solo una grande rivelazione interiore, che gli hanno aperto le porte dei cieli, ai quali può ascendere grazie a questa verità superiore, divina, che adesso cerca d’illuminarlo?
Improvvisamente gli sembra d’intravedere la figura di Giuda, l’apostolo di Kariot. Un traditore o un illuso? Gli sembra di udire anche una voce:
Il pensiero gli suscita immagini tratte dall’esperienza col Maestro: la paura durante la tempesta nel lago e la sovrana serenità di Gesù, capace di dormire tra i flutti; la tensione per il timore suscitato dall’arrivo delle guardie nel Getsemani e la misericordiosa cura del Nazareno, che presta soccorso a un servo del sommo sacerdote ferito da Pietro il gradasso; lupi che cercano di divorare un gregge e lo sguardo deciso di Gesù mentre promette di essere con loro sempre.
L’accavallarsi di questi ricordi e di spiacevoli sensazioni lentamente si trasforma in una sorta di nenia visiva che gli fa rallentare la tensione e lo fa assopire. In mezzo ai campi, dove gigli, frumento e zizzania crescono insieme, Tommaso sogna di poter essere collocato tra i giusti al momento del giudizio, ma ha la sensazione di essere bloccato, non riesce ad andare verso destra perché non vuole attraversare una grotta vuota, ma oscura, oltre la quale una luce gli fa intravedere gli altri apostoli che lo attendono.