Giovanni richiama l’attenzione e riprende la lettura del papiro scritto da Giuda.
Simone lo zelota, nel silenzio generale, prende la parola: ”Devo aggiungere un particolare, che ho appreso da miei antichi compagni di avventura e di fede. Come voi sapete, Gesù è stato condannato per essersi chiamato re dei Giudei, anche se non ricordo che egli abbia mai usato questa espressione in pubblico; invece ha spiegato a noi in privato la sua idea a proposito del Regno. Ebbene, il vero tradimento di Giuda, al quale fino ad ora non ha fatto riferimento nel papiro, è l’aver rivelato a coloro ai quali lo ha consegnato ciò che Gesù ha detto a noi, informazioni che le autorità hanno utilizzato per giustificare in seguito il suo arresto. Giuda ha confermato ai nemici di Gesù che egli aveva rivelato ai discepoli di essere il futuro re. Costoro si contentarono della parola, dell’espressione, non avevano interesse ad approfondire il significato del termine e l’uso che ne faceva il Nazareno. In questo modo Giuda ha fornito la giustificazione per rendere plausibile la motivazione della condanna a morte che il crocefisso ha portato appesa al collo fino al Golgota”.
Simone ha appena terminato di parlare che la comitiva intravede un altro viandante dal volto noto. E’ l’altro Giuda, parente di Tommaso, diretto anche lui a Betania; ha appena appreso la novità sull’Iscariota e ritiene opportuno informare i discepoli. Gli altri apostoli lo invitano a fermarsi e gli riassumono il testo appena letto.
“L’Iscariota non aveva voluto sentire e dare significato alle parole nella prospettiva indicata dal Nazareno”. Precisa il nuovo arrivato. “Ritengo la sua azione un vero e proprio tradimento, anche se a chi l’ha perpetrato sia potuto apparire un tentativo di salvare non il Maestro, ma il messaggio proprio dalla persona del Maestro, divenuta ormai indifendibile, e trasformarlo in una mera filosofia, la cui conoscenza avrebbe garantito la sola salvezza possibile”.
La teoria appena esposta non convince i più nel gruppo. L’ora nona si approssima, i viandanti decidono di riprendere il cammino, dopo aver ulteriormente srotolato il papiro. Trovano difficile la lettura; delle rubiconde macchie di vino si sono sovrapposte alle lettere. E’ complicato decifrarle e interpretare il significato delle parole. Sovente il testo risulta confuso e incomprensibile. I più esperti si danno da fare. In quest’operazione si distingue Matteo ogni volta che Giovanni si blocca. Questi, sillabando, legge ad alta voce, mentre la comitiva ha ripreso lentamente il sentiero per Betania.
Questo inizio determina la repulsione quasi fisica degli ascoltatori, meravigliati per l’affermazione. Tentano di commentare, ma sono zittiti da Matteo, che ha difficoltà a interpretare alcuni periodi per una macchia più scura delle altre; tuttavia, Levi non riesce a bloccare la risentita reazione di Giovanni, il quale tiene a precisare che, se è vero quanto asserisce Giuda, allora la morte del Maestro perderebbe d’importanza perché tutta la sua incarnazione non ha concreta rilevanza rispetto a quanto egli avrebbe insegnato.
Il giovane apostolo prosegue: ”Ho sentito parlare alcuni saggi provenienti dalla Grecia e rifugiatisi nel deserto, dove mi trovavo con altri discepoli di Giovanni il Battista, di eoni provenienti dal cielo e qui in terra temporaneamente per rivelare solo ai loro discepoli la verità necessaria per la salvezza nascosta agli ignoranti. Ma tutto ciò é una colossale sciocchezza; escludere gli umili, gli ultimi dalla salvezza perché non sanno è esattamente il contrario di quanto ha affermato il nostro Maestro. Mi rifiuto di continuare a leggere le note scritte da un uomo evidentemente roso dal rimorso, che ha inteso seppellire nel vino, come inducono a pensare queste macchie sul papiro, il suo senso di colpa”.
“Va bene, interviene Tommaso, vuol dire che sarò io a continuare la lettura”.
Comincia a sillabare le parole e rimane scioccato da quanto sentono le sue orecchie:
Giovanni interrompe ancora una volta: “L’uomo di Keriot non ha capito nulla del messaggio di Gesù. Non è solo un conoscere con l’intelligenza ciò che ha detto, ma un impegno a riferire anche quello che ha fatto, com’è stata la sua vita, come ha affrontato la morte, vincendola e…”
Vorrebbe continuare, ma viene bloccato da Tommaso, il quale non avrebbe gradito l’eventuale riferimento alla tomba vuota che Giovani andava dicendo di aver visto. Anzi, colpito da quanto aveva scritto Giuda negli ultimi momenti della sua vita, va a scavare nella memoria le frasi che ricorda del Maestro, molte delle quali le aveva appuntate su una pergamena che portava sempre con sé. Incomincia a recitarne una: “Ricordate, amici, non ha detto Gesù che ci avrebbe dato ciò che gli occhi non hanno visto e le orecchie non hanno sentito, le mani non hanno toccato, ciò che il cuore umano non ha mai percepito? Egli lo ha sostenuto anche se era solito ripetere che nessuno può paragonarsi, occhio per occhio, con Giovanni il battista, il più grande tra i nati di donna”.
Lo interrompe Matteo, che lo accusa di confondere l’identità di Gesù.
Tommaso non gradisce e rinfaccia a Levi di essere lui, insieme a Pietro, in errore circa la personalità del Maestro, il quale gli avrebbe rivelato delle verità che altri apostoli probabilmente non hanno compreso, suonando sgradevoli ai loro orecchi. “Qualora le avessi svelate avrei rischiato di essere lapidato come un bestemmiatore.”
“Esagerato”. Rispondono in coro.
“Didimo, e Didimo poi di chi? E’ un grande interrogativo al quale tu non hai mai risposto”. Gli rinfaccia Giovanni, fino allora compagno di viaggio comprensivo e sensibile al dramma interiore del pio israelita.
Nel gruppo degli apostoli Tommaso aveva sempre assunto l’atteggiamento riservato di chi tenta di vedersi riconosciuta un’indiscussa autorità sugli altri fondandola sulla parentela col Nazareno. Colto all’improvviso sul vivo, egli si pone sulle difensive. Non chiarisce quanto Giovanni gli ha appena chiesto e, per distrarre l’uditorio, mostra a tutti una pergamena un po’ consunta, sulla quale aveva appuntato, a suo dire, un centinaio di frasi tra quelle pronunziate dal Maestro e che lo avevano maggiormente colpito.
“Io ritengo che la vita eterna di cui ha parlato Gesù è assicurata dalla comprensione delle sue parole perché chi ne coglie il significato non gusterà la morte. La salvezza è riposta nella capacità di trovare questa verità nei suoi detti, soprattutto i più segreti, quelli che ha pronunziato soltanto in nostra presenza. Egli è venuto dall’alto appunto per insegnare a coloro che sono prigionieri del mondo questa verità che porta alla vita eterna. E’ difficile comprenderla perché gli uomini sono talmente impastati di materia da non riuscire a vederla. Gesù ha preso posto nel mondo apparendo nella nostra umanità sapendo di trovare tutti intossicati dalle tenebre della falsità; egli ha sentito una profonda afflizione per gli uomini ciechi nel loro cuore. Soltanto chi ha il coraggio di allontanarsi dalla presente condizione, pentendosi, può accettare il suo insegnamento: ecco la verità che porta salvezza. Infatti, solo chi è capace di bere dalla bocca del Maestro potrà divenire come lui e le cose nascoste gli saranno rivelate”.
“Bravo il filosofo!” Gridano Matteo e Giovanni.
Tommaso non risponde, è impegnato a riporre nella bisaccia la pergamena, anche se gli altri lo invitano a disfarsene perché non corrisponde per nulla all’insegnamento del Maestro come loro ricordano e di cui sono testimoni.
“Non solo è un tradimento del suo messaggio, é solo un assemblaggio di parole dalle quali non è possibile cogliere con nitidezza il carattere, i gesti, i sentimenti, l’animo di Gesù, del quale non viene per nulla raccontata la vita”. Gli dicono.
Matteo prende le distanze da ciò che ha appena udito: ” Tommaso ha proceduto ad una rielaborazione creativa di una serie di frasi di Gesù da noi imparate a memoria prima di essere inviati in missione per i paesi e le campagne della Galilea. E’ un modo astorico, atemporale e immateriale di ricordare Gesù; non da importanza alla vita del Maestro, riducendo tutto ad auto-conoscenza nel tentativo di praticare un distacco ascetico dal mondo”.