Esistono vari modi per analizzare o dare opinioni sulle cose accadute, tra queste ve ne sono almeno due più interessanti, la prima e del c.d. “senno di poi”, laddove tutto si rende più facile nel farsi argomentare poiché ci troviamo dinanzi a fatti già consumati. L’altra invece è quella che possiamo definire “opinione imparziale”, ovvero la lettura pre e post evento di azioni che, consumatosi o meno, stimolano il tuo interesse a discuterne, seppur restando neutro tra due o più fazioni.
Questa partecipazione, la quale dovrebbe essere di tutti, è data dal ruolo di cittadino che ognuno di noi occupa nella società e ancor meglio in una comunità locale, come appunto quella di Capaccio Paestum. È su questa condizione voluta dall’ordinamento dello Stato che l’esercizio del potere politico deve muoversi e soprattutto generare contesti di benessere: dal vivere la città in serenità a quella di essere coinvolti nelle attività amministrative, attraverso la conoscenza, la compartecipazione, l’informazione e non da meno alla ferma elaborazione del concetto di Istituzionalità. Quest’ultimo punto, sul quale personalmente edifico e l’ho sempre fatto, il mio pensiero e il mio rispetto verso una qualsivoglia amministrazione, pare non venga in nessun caso preso in considerazione, specialmente da chi dovrebbe invece diffonderne la dottrina e tutelarne l’immagine stessa. Per meglio intenderci: possiamo, durante una campagna elettorale, sostenere l’una o l’altra squadra, preferire questo o quello, elevarci a politici navigati e a risolutori di problemi; ci è consentito tutto, ci mancherebbe. Ma una volta che le elezioni sono terminate, se davvero mi sento parte integrante di questa stessa collettività, la mia moralità mi impone di guardare e rispettare quella amministrazione (maggioranza e minoranza) come Istituzione. Identica cosa dovrebbero fare chi, per volere dei cittadini, va poi a sedersi al tavolo amministativo: comportarsi da Istituzione, qualsiasi ruolo si rivesta e qualsivoglia mansione si avrà nella funzione gestionale del territorio.
Un po’ difficile vero? Già, ovvio che si, specialmente da parte di chi poi siede sugli scranni della casa comunale, perché i comizi non terminano mai, i giochi di potere aumentano a dismisura, le velleità non si contano e le cattiverie – quelle belle toste e crude – si diffondono a macchia d’olio intessendo trame, alimentando contrapposizioni, denigrando la città stessa ogni qualvolta ad essa ci si richiama con la classica, detta e trita frase “per il bene di Capaccio Paestum”.
Ancora una volta la nostra comunità deve ricorrere a forti dosi di arrendevolezza, di fronte alle discrasie di una pratica e/o azione che, camuffata dal saper fare politica, riesce verosimilmente a diffondere continuamente l’anti cultura della politica stessa. E sì perché quando si argomenta di questa attività, la quale è a sé stante una scienza e un’arte che deve (dovrebbe) basarsi sulla integrità, non si può ad essa non richiamare appunto l’etica. È una dottrina così fortemente radicata nel termine stesso che non abbisogna di alcunché per esprimersi nella totale sua funzione, amministrativa, sociale o culturale che sia. I fatti ultimi che hanno interessato Capaccio Paestum, sì quella stessa città che io volevo e ancora desidero collocare tra l’Ethos e il Pathos, sembrano aver annientato anche l’intimità del Logos: la ragione dell’essere e del sentirsi vivi nell’etica e nella genuinità politica morale. A nulla valgono le parole, gli scritti, la cultura, la storia, le azioni e il richiamo al dialogo e alla collettività, se a farla da padrone vi è sempre e solo l’alienazione dell’onestà intellettuale e purtroppo a volte anche di quella personale. Ma noi siamo cittadini, coloro i quali sono destinatari della triste frase: “tanto poi dimenticano”; gli stessi che continueranno a recarsi alle urne per eleggere questa o quell’altra amministrazione. Siamo cittadini, si, e non possiamo più condividere l’idea che ancora oggi la “Politica” sia uno strumento da intendere secondo il proprio, personale, accomodante concetto. La politica È, non si inventa né tantomeno deve prestarsi a quelle condizioni che la vorrebbero invece traino di vendette, di negazioni, di scontri, di interessi esclusivamente individuali e così via. La politica è il sentiero sul quale quotidianamente ci si incammina per far si che i luoghi comuni si incontrino e nel rispetto del principio dialogico si adoperino alla costruzione e non al disfacimento. Non vi è fallimento più grande per una collettività di quanto appunto tutto questo viene meno; che ciò avvenga per sciolta amministrazione o per spavalde dichiarazioni, per bugie o per verità costruite, per diatribe ed offese lanciate sui social o per azzardati comunicati stampa. In qualsiasi modo accade è sempre l’approssimazione che la spunta e mai ilreale, nobile, scopo dell’attività politica. Che tale manifestazione si verifichi a livello locale, regionale o nazionale, non fa differenza e quando ciò accade, il fallimento politico, quello vero, è di tutti nessuno escluso.
A Capaccio Paestum è una condizione questa che si è verificata diverse volte, accade dappertutto è chiaro, ma qui questa volta ci siamo superati, contro ogni aspettativa e ipotesi. C’è chi la chiama disonestà politica chi con altri nomi, il risultato è sempre lo stesso poiché non solo si consuma un atto che con la “Politica” non ha niente a che fare, ma si alimentano i disagi che i cittadini già hanno nel considerare o stare vicini alle istituzioni. Vi sono azioni che non sono accettate né tantomeno predicate in nessuna metodologia formativa, accademica e letteraria, tanto dannosa risulta essere per la politica stessa questa pratica inculturale, che vede consumarsi un atto irresponsabile in forza agli accadimenti, episodici, che hanno interessato la nostra città. L’alienazione di noi stessi, il riverbero vorace della cattiveria che ancora forte qui si manifesta, il contrasto anziché il dialogo, l’assenza dalla collettività piuttosto che al suo considerarla beneficiaria legittima delle azioni politico-amministrative, ecco cosa facilmente si palesa nella nostra città.
Sempre e moralmente rispettoso delle altrui scelte, anche se non condivise per obbligo culturale, devo ancora una volta, come altre volte, significare la mia seppur inservibile e insignificante contrarietà a quanto consumatosi nella politica territoriale. Anziché no trovarmi costretto ancora una volta a difenderla con l’auspicio che essa possa ben presto tornare ad essere l’unica protagonista, di un territorio che non merita sconfinamenti istituzionali e morali.
Qui purtroppo si è voluto invece consumare l’atto più spregevole che l’incultura-politica potesse mai generare, un atto che si spera non possa accadere mai più; un augurio che tutti dobbiamo farci perché episodi del genere sono accaduti nel passato, si sono verificati oggi e possono ripresentarsi in futuro. E quando colpiscono non guardano in faccia a nessuno, nemmeno a chi oggi probabilmente festeggia la prova inconfutabile che politica, cultura e dignità dei cittadini sono stati ancora una volta sconfitti. Siamo cittadini amareggiati, forse non più o meno di quanto lo sia l’amministrazione spodestata e non meno né più di quanto probabilmente potrebbe esserlo la minoranza che ha deciso di porre fine, ipso facto, alla legislatura. Questi avrebbero potuto avere mille ragioni come nessuna, non è mio compito qui argomentare di ciò, ma quello invece che mi ha spaventato è il “metodo”, e scusate se è poco. Però in futuro spero che tutti noi comprenderemo che in politica la “Politica” è afferente anche ad un fallimento non solo concettuale ma anche personale.