Non mi piace la marmellata di fragole, perciò i miei genitori devono morire. Perché mi hanno fatto venire in un mondo dov’esistono le marmellate di fragole, m’anche dove si possono trovare i pigiami a righe… Che schifo! Che disastro senza fine! Sono molto peggio degl’incubi che si fanno la notte. Medito, pertanto, ogni giorno sul modo in cui farli morire: devo rendere la loro morte, ai miei occhi di ghiaccio, un evento elegante, sofisticato, magistrale e spassoso, e magari, perché no, anche avanguardista: non posso sprecare una tale occasione d’oro, di cui il fato m’ha voluto gentilmente tributare, per miei meriti speciali: ma trovo sempre, purtroppo, in fondo ad ogni mio piano, un’incrinatura disdicevole, che poi, a forza di pensarci, s’allarga sempre più, e sempre più acquista spazio o rilevanza, fino al punto da eclissare tutto il resto. Prendiamo, per esempio, il caso in cui io voglia bruciarli vivi, dopo averli immobilizzati e cosparsi per bene d’una sostanza infiammabile: e se, per caso, una scintilla colpisse all’improvviso il mio vestito migliore (ovviamente, per un evento così dev’essere tutto alla massima potenza: ogni particolare dev’essere curato senza la minima imperfezione, compreso il mio aspetto esteriore! È troppo importante!), procurandogli così un’irreparabile bruciatura, come faccio poi, appunto, col mio stupendo vestito? Ma poi, sarebbe questo il modo giusto di procedere? Il fuoco non simboleggia l’amore, ed in generale l’essenza dei sentimenti? Qualcuno infatti potrebbe travisare i miei intenti: e, per un’interpretazione forzata quanto capricciosa, escogitata soltanto per compiacere un proprio gusto personale, potrebbe persino insinuare ed infine fare valere l’ipotesi ripugnante che io, pur non essendo riuscita a sfogare in altro modo l’esasperazione (nata in verità da irrisolte o morbose questioni interiori, che io, con ingenuità, proiettavo al mondo esterno!) che mi procurava la loro presenza nella mia vita, in fondo li ami, anche senz’averne coscienza: e questo, in fondo od in verità, avrebbero voluto significare o simboleggiare le caldi fiamme del fuoco. Lungi da me una tale e spregevole idea! Ma tutto ciò devo metterlo in conto, per arrivare al mio piano perfetto e infine metterlo in pratica. Dev’essere una trovata talmente ben architettata, da risultare emblematica. Certo, è più facile uccidere i propri genitori che amarli, m’anche attuare la prima eventualità non si rileva affatto facile, come si può notare. Anche avvelenarli non è cosa fatta bene. Sennò creerei un’artistica contraddizione o insensatezza. Perché i prìncipi e i re s’avvelenano, non gli odiosi babbei borghesi come loro due. Tali sono, e nient’altro. Potrei strozzarli uno alla volta, e sfruttando l’effetto sorpresa, ma il piano mi si potrebbe ritorcere contro; poiché potrebbe terribilmente stropicciarsi il mio bel vestito, nella violenza dello scontro o della lotta. Ed io non voglio questo, voglio alla fine uscirne più bella e fresca d’una rosa prosperosa e vermiglia accarezzata dai raggi del sole, raggiungendo così l’apoteosi della grazia e della vita. Ci penserò dopo come fare. Ora ho bisogno d’un po’ di relax. Vado ad uccidere il mio gatto. Poi mi farò una bella doccia rilassante. Devo sciacquare via il sudore dalla mia candida e morbida pelle.
Mi dispiacerà molto, a causa d’un semplice e grazioso omicidio, perdere la mia libertà e finire in gattabuia, infatti poi non potrò più fare shopping. O farmi fare la manicure da Cinzia, la mia bravissima estetista. O lanciare sassi alle finestre. O dare calci ai barboni ciechi o/e malati, quando nessuno c’è a guardare. O spiare dalla finestra il signor Palumbo che, sotto gli effetti dell’ira e dell’alcol, fracassa di botte sua moglie – lo fa molto spesso. O fare i miei deliziosi lavoretti di bricolage, in particolare decalcomanie. Od altro ancora, come per esempio rimpinzarmi di gelato mentre guardo un film horror il sabato sera. Sarà un ergastolo del tutto immeritato – i miei genitori sono solo degli stupidi e insopportabili borghesi. A maggiore ragione per il fatto che c’è gente ch’osa indossare i pigiami a righe, eppure a loro non verrà torto un capello. Nessuno verrà, chissà com’è possibile, a dare loro fastidio. E continueranno a rovinare il mondo con la loro spaventosa piaga dei pigiami a righe, o, perché no, delle maglie a collo alto, altra idea immonda e crudele nei confronti della suprema verità. Ma si sa, in questo mondo non c’è giustizia. Ogni tanto mia madre mi s’avvicina, m’accarezza delicatamente i capelli e dice: ‘Bisogna amare una persona non per ciò che può darti, ma per ciò che non può darti.’. Maledetta, farai di certo una brutta fine! Quest’è poco ma sicuro!
Non c’è giustizia in questo mondo! Non c’è venerazione ed ovazioni per una persona eccezionale, amabile, sincera, e pura quanto buona di cuore come me! Eppure io merito di diventare l’unica quanto suprema imperatrice dell’intero mondo.
Passeggiando per il deserto, mi ritrovo davanti un largo spiazzo in pietra. Mi v’inoltro. Enormi statue di marmo svettano contro un azzurro e limpido cielo, illuminato da un grande sole sfolgorante. La statua d’una lira; d’un’anfora; d’una figura umana senza sesso; d’un cuore stilizzato. Sento una misteriosa e dolce voce, senza corpo e leggera com’un alito di vento, sussurrarmi all’orecchio queste parole: ‘Tu solo, col tuo prezioso afflato umano, puoi disincantare queste statue, trasformandole in immagini divine, liberandole dalla loro immobilità. Dare dunque vita a quest’ancestrali ispirazioni divine. Macrocosmo e microcosmo riuniti insieme.’. Le rispondo: ‘Perché posso dare, se posso ricevere? Perché servire il futuro, se posso già avere il presente? Non sono forse già perfetta e senza mancanze?’. Dopo questa mia risposta, tutte le statue, compreso lo spiazzo stesso, si sgretolano all’istante, fino a diventare comunissima sabbia. ‘Ho sete, ma in mezzo a questo deserto non posso bere. È meglio che torno a casa. Sono ormai le cinque e mezza, e fra poco inizia il trono di spade. I deserti sono troppo silenziosi. E ormai anche il trono di spade è diventata una serie televisiva stupida. In cui i personaggi non fanno altro che blaterare e blaterare ancora.’ penso fra me, annoiata inoltre dall’incontro con la voce misteriosa, poco prima avvenuto.
Ma una volta a casa, m’arrabbio molto, perché vedo che i miei genitori si sono già uccisi da soli. Mio padre s’è impiccato; e mia madre s’è avvelenata, con una dosa letale di Cianuro – le avevo regalato una boccetta di tale veleno, per il suo cinquantesimo compleanno; ma lei, chissà perché, non n’è stata contenta. Sono talmente annoiata, che m’ucciderei volentieri anch’io. Ma domani ho la manicure, e Cinzia, com’ho già detto, è bravissima. Almeno non andrò più in gattabuia. Non tutto il male viene per nuocere. La polizia, per avvisarla del suicidio dei miei genitori, la chiamerò però domani; perché ho già aspettato tanto per godermi un po’ di pace benedetta e di solitudine in casa. Chissà se Sansa, nella puntata di oggi, riesce a contrastare insieme alla sua armata la marcia degli Estranei verso la Barriera. Ma non me n’importa molto. Sbadiglio.
Mi gratto un attimo la cima della testa per scacciare via il prurito. Accendo il televisore col telecomando. Adesso, su Rai 1 sta andando in onda la pubblicità di quella bambola, così odiosa, così finta, ma tanto di moda fra le bambine d’oggi; che, mentre scorrono le immagini, in versi declama:
Compra pure tu bambola pazza assassina.
È solo un po’ stupidina,
ma è una bella bambina.