Partendo da ciò che c’è scritto nella Costituzione all’Art 54 comma 2 “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” si evince come i padri costituenti avevano definito il profilo ideale di chi ha l’onere e l’onore di gestire e rappresentare la cosa pubblica. Seguendo questo filone costituzionale riscontiamo una totale incongruenza e inadeguatezza dei rappresentanti delle istituzioni che, in questi anni in Italia, hanno gestito la cosa pubblica. La spasmodica volontà di non dimettersi alla presenza di un rinvio a giudizio o, ancora peggio, di una condanna, talvolta anche di terzo grado, ha caratterizzato gran parte del dibattito politico. Da una parte ci sono “garantisti” che sostengono la “presunzione di non colpevolezza” in base alla quale un imputato non è colpevole di quel reato contestatogli fino a condanna definitiva, ovvero fino al terzo grado di giudizio.
Dall’altra ci sono i “giustizialisti” che inneggiano alla “pena immediata” già a fronte di un giudizio di colpevolezza in 1° se non addirittura alla comunicazione di un “avviso di Garanzia”. La prima tesi è giusta e sacrosanta. Ma troppo spesso si è ricorsi a questo espediente retorico per andare avanti all’infinito e, considerando i tempi biblici della giustizia, il terzo grado di giudizio arrivava dopo anni e anni di attesa se nel frattempo non era scattata la prescrizione. Praticamente il garantismo, per molti politici, era ed è diventato negli anni un “refugium peccato rum”.
Nella seconda tesi, invece, i “giustizialisti” additati come puritani e accusati di voler costituire una giustizia in piazza stile “Rivoluzione Francese”, ritengono che la carta costituente vada semplicemente applicata: chi rappresenta le istituzioni debba essere immacolato e lontano da qualsiasi tipo di sospetto che possa influire o danneggiare in qualche modo la collettività.
La presunzione di non colpevolezza è certamente una garanzia giuridica ma non è un principio di vita generale. Citando il giudice Davigo “Se il mio vicino di casa ha una condanna in primo grado per pedofilia io non so se è colpevole o meno ma nel dubbio i bambini, quando vado a fare la spesa non li lascio a lui!”. Proviamo a rapportare questo principio di vita, che adottiamo tutti i giorni quotidianamente, alla politica. Ci accorgiamo di quanto siano incompatibili alcune persone all’interno delle istituzioni. Certamente spesso la giustizia prende degli abbagli e magari una condanna di primo grado viene vanificata da una assoluzione in appello. Ma la prudenza è senza ombra di dubbio una virtù soprattutto se si parla di politica e dunque del futuro dei nostri figli. Sarebbe auspicabile che se un politico o un funzionario pubblico venisse raggiunto da un avviso di garanzia o da una condanna, si dimettesse e seguisse il suo processo in totale serenità mettendo al riparo l’onorabilità della propria funzione.
In Germania, nel 2012, il presidente della repubblica Christian Wulff si è dimesso perché indagato per una agevolazione di un finanziamento da lui ottenuto e per una vacanza di due giorni che, secondo la procura, sarebbe stata pagata da altri. Nel suo discorso di dimissioni, il Presidente della Repubblica tedesca dice: “Ho commesso errori, ma sarò scagionato. Lascio perché la fiducia nei miei confronti è incrinata”.