Giovanni e Tommaso salutano con calore il padrone di casa. Ad amalgamare l’amicizia dei tre è l’esperienza irrepetibile di un Maestro risorto, per il giovane apostolo, per il ricco israelita un un profeta nel quale è pronto a credere dopo averne visto la fine ingloriosa ma accettata come Figlio dell’Uomo, incarnazione del Messia del Benedetto, per il pio galileo, che lo ha conosciuto fin da bambino e verso il quale nutre grande affetto, un mistero sempre più accattivante, anche se ancora enigmatico. Tuttavia egli non riesce a nutrire la medesima fede; i recenti avvenimenti che riguardano il Nazareno presentano molti buchi neri nel loro contrapporsi alla logica della quale è dotato un uomo concreto come Tommaso.
I due apostoli escono e respirano a pieni polmoni l’aria più salubre della città alta, dove si concentrano le residenze delle famiglie più ricche; si accorgono che s’è fatto tardi, decidono, quindi, di ritornare nel Getsemani e trovare riposo nella grotta, non prima di aver consumato una leggera cena nell’ultima bettola nei pressi delle mura della città. Percorrono lo stesso itinerario seguito da Gesù quella notte. Ricordano bene dove il Maestro s’era fermato per attendere i ritardatari del gruppo. Alle sue spalle aveva la città, il cielo era di un nero lavanda e la luna faceva capolino tra le nuvole. Le colline, di fronte alle mura, erano piene di alberi di fichi, testimoni silenti di un paesaggio contrassegnato dal giallo dei fuochi che ardevano negli accampamenti. Sembrava una notte serena, ma di profilo, al chiarore tenue della luna, si poteva notare che il suo viso era stanco. Gli ultimi giorni erano stati molto intensi: nel Tempio a predicare, a guarire gli ammalati e a consolare i cuori, di notte a insegnare ai discepoli quando non camminava avanti ed indietro per il giardino degli ulivi alla ricerca della necessaria concentrazione per sprofondarsi nella preghiera.
Nel dormiveglia, prima che il sonno s’impossessi di due corpi stanchi e di due menti agitate, i due amici non possono non andare indietro nel tempo ed evocare il loro Maestro. Vero uomo, non un superuomo, anch’egli ha dovuto confrontarsi con le illusioni proprie della condizione umana. A volte ha avuto la sensazione che aumentassero, s’ingrossassero, gonfiate al punto da sembrare invadere tutto l’orizzonte della sua coscienza; soprattutto, la marea rossa ed affascinante del potere, dell’impegno concreto sfidando fazioni e reggitori di uomini, giunta fino ad un punto ossessivo quando gli stessi disperati della Galilea lo hanno inseguito per proclamarlo re. Anche allora il suo vade retro è risultato vincente. Ha riconquistato la pace interiore. Di questa vittoria sulla tentazione, sul male, su satana che insidia, sul diavolo che divide, i discepoli sono testimoni; tuttavia tante cose del suo comportamento continuano a stupirli.
Proprio questo pensiero angoscia Tommaso il quale, nel dormiveglia, ricorda che il Maestro non seguiva il tradizionale metodo d’insegnamento e la prassi nel far proseliti; ben presto a lui vennero attribuite azioni stupefacenti ed inaudite: era capace di guarire! Didimo ha ancora nelle narici il ricordo del lezzo del lebbroso. Lo avevano visto avanzare mentre, secondo le prescrizioni della legge, ripeteva “impuro, impuro”; grave umiliazione, alla quale faceva seguito una ancora maggiore: tutti gli gridavano di scansarsi, di non infettare l’aria e nella solitudine del deserto, dove doveva recarsi, pensare ai propri peccati, causa della schifosa malattia. Solo Gesù, avanzando nel cerchio aperto dalla paura, gli si avvicinò. Il malato, nel vedere questo gesto di compassione, si prostrò e cominciò a piangere. Finalmente una persona non fuggiva. Il Maestro era diventato il suo unico prossimo. Il Nazareno, disubbidendo alla legge mosaica, lo toccò; non aveva paura di divenire impuro. Sembrava un atto di ribellione, invece era solo un gesto di amore, segno di partecipata condivisione capace di guarire. Gesù e l’ex-lebbroso rimasero in silenzio, non avevano bisogno di parole per scambiarsi l’intensità dei sentimenti: l’amore del Maestro per la pecorella smarrita, la gioia riconoscente di un paria della società.
Tommaso ricorda che a commuovere il Maestro è stata soprattutto la fede dei semplici; quella degli uomini che calarono il lettuccio dal tetto della casa di Pietro, causando un trambusto che a stento copriva le grida della suocera del padrone di casa. Al primo abbozzo di un sorriso per la scena tintasi di connotazioni comiche per le imprecazioni della donna, scansati i detriti Gesù fece seguire un intenso sguardo scrutatore dei presenti; lo aveva colpito la fiducia in lui dei portantini più che quella del paralitico. Perdonare e guarire; era il suo compito, anche a costo di entrare in conflitto con benpensanti.
Il Maestro non ha dato mai spettacolo, mai fatto incantesimi o gesti teatrali. Tommaso si ricorda della figlia di Giairo, una dodicenne esile come una gazzella stroncata dalla morte. Quasi avvolto dal torpore, egli rammenta quanto gli aveva riferito Giacomo, presente alla scena. Il Maestro, presa la mano della ragazzina, le aveva sussurrato poche parole nell’orecchio. Il suono deciso di un imperioso “talita kum” aveva ridato il sorriso ai genitori, distrutti, e vita alla “gazzella”. I servi del capo della sinagoga erano usciti di casa esultanti. Subito si era radunata una folla nel piccolo spiazzo antistante, crocicchi sempre presenti in queste contrade, dove per lo più si vive fuori casa.
Il Maestro molte volte voleva ritirarsi per pregare nelle sinagoghe, ma gli risultava difficile. Bastava mettere piede nella piazza e la fama che lo precedeva induceva donne e bambini a fargli corona. Riprendeva a parlare e, mentre tentava finalmente di andarsene, un’altra ondata di persone lo circondava: le madri portavano i marmocchi per la benedizione, i più bisognosi desideravano toccarlo perché un incontro, anche solo fugace col profeta, com’era capitato a quella donna malata da dodici lunghi anni, poteva trasformarsi in una nuova opportunità di bene.
Avvicinato come guaritore, il Nazareno diveniva l’uomo della speranza; perciò, tutti desideravano un contatto con lui perché li beneficava, li proteggeva, li rassicurava nelle incertezze della vita. I discepoli, pensando di manifestare in tal modo la dovuta premura per il loro famoso maestro, cercavano di scacciare questa folla, egli reagiva risentito e quei pescatori, contadini, ex-collaborazionisti dei Romani, aspiranti zeloti, discepoli formatisi alla scuola del Battista precipitavano in una confusione interiore ancora più angosciante: non avevano ancora compreso. Che importanza può avere un bambino? Che diritto di parlare ha una donna? Perché toccare un disgraziato che rende legalmente impuri? Che vantaggio si ricava dal conversare con una donna di strada? A che scopo provocare farisei, scribi e sommi sacerdoti schierandosi dalla parte degli ultimi? I discepoli continuavano a non capire, eppure egli aveva più volte ripetuto che il Regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro, a quelli che sanno accogliere, fidarsi, che non hanno pregiudizi, che cercano la verità, anche se non sempre la trovano al primo tentativo. Perciò, il Nazareno abbracciava e accarezzava tutti, ritenendoli egualmente fratelli.
Tommaso finalmente si addormenta ed anche Giovanni steso di fronte a lui prende sonno. I pensieri, che facevano compagnia al giovane apostolo nel dormiveglia, si trasformano in un sogno dai contorni non sempre piacevoli. Egli vede il gruppo dei Dodici accompagnare il Maestro nell’ultimo viaggio dalla Galilea a Gerusalemme. Alla ricerca del grande evento e della grande occasione, i discepoli avevano tentato di proteggere il Nazareno dal contatto con gli uomini, con gli ultimi, con i bambini; cercavano d’interporsi fra loro e lui, ritenendo che il suo atteggiamento nei confronti della gente fosse una perdita di tempo rispetto al grande disegno. La mania di grandezza aveva spinto Giacomo e Giovanni a chiedere, com’era accaduto per Sodoma, che il fuoco cadesse dal cielo su un villaggio samaritano, colpevole di essere stato poco accogliente. Ancora più grave appariva la confusione di Pietro, capace perfino di rimproverare il Maestro perché non voleva accettare che dovesse abbracciare la croce.
Questi pensieri rischiano di trasformare il sogno in un incubo; Giovanni si sveglia e si rende conto che la posizione assunta durante il riposo non è stata delle migliori. Tutto indolenzito si alza per sgranchirsi le gambe e nota che anche Tommaso è sveglio.