Quando si svegliano Tommaso pone a Giovanni una bruciante domanda: “Che ne pensi del tradimento e del traditore?” Sapeva che, per le sue connessioni presso il sinedrio, il giovane apostolo conosceva più di quanto dava ad intendere.
Questi risponde riferendo dell’iniziativa presa da Giuda di consegnare ai sommi sacerdoti il Maestro. Si era dato subito da fare per cercare l’occasione favorevole. Dal tesoro del Tempio era stata prelevata la somma concordata, secondo Giovanni motivo del tradimento. L’Iscariota aveva sempre tenuto la cassa comune dalla quale i Dodici ed il Maestro attingevano il necessario.
Didimo non appare convinto, nelle orecchie gli risuonano ancora le misteriose parole di Gesù durante l’ultimo pasto consumato insieme: “Quel che intendi fare, fallo presto”. Gli risulta difficile attribuire al suo collega lo stereotipo del traditore avido, menzognero, perfido; perciò gli appare ancora enigmatico il motivo, anche se nelle circostanze dell’arresto Giuda aveva svolto una funzione di rilievo. Questo dato induce Tommaso a ritenerlo colpevole, ma il suo bisogno di capire lo spinge a ricercare attenuanti e mandanti, se non per discolparlo, almeno per ridimensionare la portata del tradimento. In passato egli aveva sovente osservato Giuda, ascoltato i suoi discorsi e capito che al primo posto poneva il potere e il successo nel collaborare alla redenzione d’Israele. Più volte aveva tentato di convincere Gesù della necessità di allearsi con gli zeloti per rendere efficace il disegno di riscatto. Ma il Nazareno aveva sempre rifiutato. Probabilmente indispettito e deluso da un Messia sempre attento a sottrarsi al ruolo politico di liberatore, aveva deciso di staccarsi da lui e schierarsi col partito filo-ebraico pronto a trarre qualsiasi vantaggio dalle difficoltà del procuratore romano.
Giovanni descrive gli eventi di quella notte e comunica a Tommaso che ad arrestare Gesù hanno provveduto i rappresentanti dell’istituzione sacerdotale a Gerusalemme, soprattutto Anna e Caifa, preoccupati per la protesta di Gesù nel Tempio. I due apostoli convengono che, solo grazie all’intervento di Gesù, non si era arrivati ad uno scontro sanguinoso tra sbirri e discepoli; molti tra questi ultimi, messi sull’avviso nella sala della cena, erano pronti a tutto. Ma il loro presunto coraggio non era durato a lungo; sorpresi dall’arrivo del commando militare, erano precipitati nella più assoluta confusione. La luce spettrale delle lanterne, il cui chiarore esaltava la brutalità dei soldati impegnati a roteare, minacciosi, spade e bastoni, alla fine li fece precipitare in un grande panico.
“Fuggimmo senza meta, dirigendoci il più lontano possibile, con l’eccezione di Pietro. Per sua disgrazia, egli si recò nel cortile del sommo sacerdote. Io lo seguii con l’intento di conoscere cosa sarebbe capitato al Maestro. All’ingresso della residenza del sommo sacerdote chiesi ad un mio amico, conosciuto quando seguivo il gruppo del Battista, di poter entrare. Tutti gli altri, se ricordo anche tu, non si fecero vedere per molte ore, non comparirono durante la salita al Golgota e sotto la croce dopo la sua morte”.
Tommaso, trangugiato il boccone amaro dell’accusa di codardia e intenzionato a conoscere tutta la verità, chiede all’unico discepolo rimasto nei pressi dei luoghi che avevano visto il processo ed il martirio del Maestro di raccontargli le fasi della tragica vicenda. Giovanni dispone di notizie di seconda mano perché i colloqui più importanti ebbero luogo a porte chiuse. Il giovane apostolo, prima di rispondere all’invito, propone di entrare nella casa di Nicodemo, ubicata alla fine della strada che stanno percorrendo. Tommaso, che comincia ad avvertire la stanchezza del lungo girovagare, accetta di buon grado, anche perché dalla conversazione col padrone di casa si ripromette di apprendere altri particolari sul processo a Gesù.
Entrati nella dimora, vengono fatti accomodare da Nicodemo, il quale fa loro gustare le portate della sua tavola e dell’ottimo vino. Egli non si è ancora riavuto dalle emozioni del fine settimana. Il suo affetto per Gesù è noto ai due apostoli, i quali sono colpiti dalla particolare luce dei suoi occhi, non quella velata dal pianto per un amico morto, ma i lampi di chi pone degli interrogativi alla propria intelligenza, mentre nel cuore ha già trovato la risposta.
Giovanni chiede a Nicodemo: “Con quale autorità e competenza hanno operato e, soprattutto, quali credibili accuse hanno rivolto a Gesù?”
“Come ben sapete, cari amici, sussurra Nicodemo, Caifa è un consumato politico, più che un uomo di fede; dotato di realismo, ha un’ottima predisposizione a operare in modo pragmatico per non mettere a rischio lo status raggiunto. Dopo la purificazione del Tempio operata dal Maestro con la frusta, il Sinedrio aveva maturato la decisione di arrestarlo. Dietro le quinte, per amalgamare questa cricca che controlla potere e ricchezza nella città santa, opera con efficacia Anna, capo di una dinastia da decenni eminenza grigia a Gerusalemme. Egli ha avuto le mani in pasta e l’ultima parola anche sul destino di Gesù. Infatti, è stato il primo a interrogarlo, anche se informalmente, profittando della sua posizione di suocero di Caifa. In realtà, i due giocano a rimpallarsi ruoli e responsabilità: appartengono allo stesso circolo, politicamente potente ed economicamente emergente; e difendono con rigore il profilo gerarchico su cui si fonda la nazione. I due appartengono al partito liberal-conservatore dei sadducei, il gruppo che ha collezionato quella pessima figura quando, con protervia e la sicumera di poterlo mettere in difficoltà, ingaggiarono col Maestro una disputa sulla resurrezione. Ero presente, vi posso assicurare non la presero bene. Il dover riconoscere la loro ignoranza della Torah brucia ancora. A loro si affiancano gli scribi, terzo gruppo nel sinedrio, con un orientamento prevalentemente farisaico. Appartengono alla piccola borghesia, ceto medio affermatosi grazie al proprio sapere ed ai servizi burocratici che sanno prestare; così hanno acquisito un’autorevolezza alla quale non rinunceranno mai. A 40 anni d’età, dopo una lunga formazione teologica, sono ammessi al consiglio superiore, rivelandosi esperti giuristi dei quali il Sinedrio non può fare a meno. Perciò, senza il loro assenso, l’assemblea dei 71 non può prendere decisioni, né è capace di eseguirle. Tra costoro va annoverato il nostro amico Giuseppe d’Arimatea. Da quello che vi ho detto, capite perché ho preferito incontrarmi con Gesù di notte per discutere di problemi teologici ed ho preso posizione a suo favore appena mi è stato possibile. Condotto davanti al Sinedrio, il Maestro non ha avuto scampo per la competenza in pratica illimitata dell’istituzione su questioni cultuali e religiose”.
“Tommaso, la situazione si mise subito male per Gesù. Continua Nicodemo. “La maggioranza era pronta a disfarsi di lui. La sua morte era una già decisa; tuttavia, il processo andava preparato accuratamente fin dalla fase istruttoria, ma non fu trovato un solido fondamento all’accusa. Ad un breve interrogatorio ha fatto seguito la decisione a maggioranza dei presenti di trasferire Gesù da Pilato. L’unica cosa che l’assemblea non poteva permettersi era l’esecuzione della sentenza di morte perché lo ius gladii rimane prerogativa esclusiva del procuratore.”
“La scelta dal punto di vista procedurale e giuridico non era ancora una formale condanna. Afferma Giovanni. Davanti al consiglio supremo di Gerusalemme si é svolto un interrogatorio a Gesù, da non confondere però col formale processo, al quale avrebbe fatto seguito la condanna a morte”.
“Proprio così, Giovanni” – riprende Nicodemo – “Il momento centrale dell’interrogatorio è stato l’elencazione delle voci circa affermazioni irrispettose e blasfeme nei riguardi del Tempio; ma i testimoni si erano palesemente contraddetti”.
“Capisco, Nicodemo. Ma il Maestro a volte è stato veramente imprudente nel criticare i custodi ed i gestori del Tempio: istituzione religioso-cultuale, è anche il centro del potere economico-politico della nostra nazione. La gestione degli enormi depositi di denaro frutto d’imposte, offerte, interessi, affitti, vendite, coinvolge tutta la città. Chi tocca il Tempio si tira addosso l’attenzione sospetta di Gerusalemme; perciò, il Maestro forse è potuto apparire un sovvertitore teologico, ma dai poteri forti in Israele certamente è stato bollato come un rivoluzionario pronto a minacciare il reticolo economico-politico del comando”.
“Hai ragione, Tommaso”. Interrompe il padrone di casa. “Le affermazioni di Gesù sul Tempio sono state considerate una pericolosa provocazione politica ed un tentativo di boicottaggio economico. Ma la situazione non era ancora irreparabile prima della domanda del sommo sacerdote:
“Quindi, ancora una volta, prima della domanda del Sommo Sacerdote:
“Dici bene, Tommaso. Non aveva terminato l’ultima sillaba che il sommo sacerdote s’è stracciato le vesti. Si era all’irreparabile. Lo compresi e cominciai a piangere, mentre dagli scranni della sala quadrangolare si elevava l’accusa di blasfemia. Per la maggioranza dei sinedriti questo strano Nazareno, carismatico profeta della Galilea, era un ribelle non solo politico, ma anche un pericoloso bestemmiatore, un innovatore religioso da eliminare al più presto. Incapace di resistere a tanto scempio, uscii in fretta dalla sala, mentre le guardie, dando libero sfogo al loro livore, cominciarono a schernirlo e maltrattarlo”. Conclude Nicodemo.