È l’anno 1889, il mite mese di marzo era sul finire e mentre nella terra dell’antica Gallia la città di Parigi si preparava ad inaugurare la Torre Eiffel, innalzata per ricordare il centenario della rivoluzione francese, in Italia il Giulio Crivellari scriveva il Codice Penale per il Regno d’Italia.
E chissà quanti articoli del suddetto codice prevalsero sull’arresto di Carmine Crocco, il brigante di Rionero in Vulture, in quella Basilicata che aveva già vissuto i suoi episodi risorgimentali sin dal 1860. Il brigantaggio: rivolta sociale oppure elemento di azioni criminali? Un dubbio che in tutta probabilità non si crearono due illustri personaggi seppur a distanza di secoli, in contrapposta opinione, nel formulare i loro giudizi. Il primo fu il Cardinale Fabrizio Spada, segretario di Innocenzo XIII, che nel 1696 con il suo editto contro i banditi, fascinorosi, malviventi e briganti, andava promettendo premi di 100 scudi d’oro a chi avesse fatto catturare uno di questi; si certo si trattava di un brigantaggio diverso da quello del sud Italia di tre secoli dopo, ma comunque avente la stessa origine nella povertà e nella miseria. Il secondo invece, Francesco Saverio Sipari (1868-1953) trecento anni dopo, volle significare l’origine sociale, sviluppatosi a causa della miseria, quella estrema, e per la disperazione, assumendo a volte caratteristiche di vere rivolte popolari.
Dal basso Lazio alla Campania, dall’Abruzzo alla Basilicata, dalla Puglia alla Calabria, il sud è pieno di storie di briganti e delle loro gesta, delle loro battaglie, dei loro racconti. Il brigantaggio, già noto nell’antica Roma dell’anno 185 a.C., è storia italiana; è quella storia che ha caratterizzato il sud ed è stata per questa terra una guerra, di sacrifici, di ingiustizie subite e di morte.
Ma il brigantaggio è anche racconto, narrativa di vita, spettacolarizzazione di momenti vissuti oppure perduti in una condanna, che spesso lasciava traccia di orrore e sgomento, come ne descrive Carmine Donatello Crocco, nella sua autobiografia, brigante molto rappresentativo del periodo risorgimentale, capo di molte bande, il “brigante generale” veniva chiamato.
Nella prigione di Santo Stefano, sull’omonima isoletta tra il Lazio e la Campania, il brigante Crocco in quel del 27 marzo 1889 iniziò a crivere le sue memorie.
Raccontando della propria madre e di quanto amore e cura ella metteva nell’allevare i suoi figlioli, sposta il suo pensiero su ciò che aveva udito da altri uomini: «Eh, sono femmine e basta» qual’altra frase avrebbe mai potuto scatenare l’ira del Brigante Generale, «Taci fellone: la femmina è la madre dell’uomo, la femmina è la moglie dell’uomo, senza di essa non vi è vita; la femmina è la figlia dell’uomo, senza di essa non vi è padre contento, né famiglia contenta». Un apologia al sesso femminile, dunque, attraverso la figura della madre. E Crocco è un brigante che ha letto anche testi interessanti, e ad uno di questi si rifersce rispondendo al suo “ipotetitico” interlocutore: «Pensa a quanto scrisse Guerrazzi (Francesco Domenico, 1804-1873) “rispettare la donna poiché sua madre fu tale” «e se questo rispetto non senti profondamente in te» aggiunge Crocco «impugna l’aratro e zappa la terra, tu non meriti sorte migliore».
Morì il 18 giugno 1905, di primo mattino, all’epoca lo stato pensava di essersi liberato di Crocco, ma il capo brigante Carmine Donatello non fu lasciato nell’oblio neanche dalla letteratura, dalla televisione e dal cinema. Da Mario Camerini a Pasquale Squittieri, da Carlo Alianello a Raffele Nigro, ne hanno chi sulla pellicola chi nei romanzi ricordato le sue storie. Il brigante della memoria è detto da alcuni e Fuvio Wetzi ne fece anche un documentario. Oltre un secolo dopo la sua morte, ancora viene ricordato in tanti convegni, e nella sua terra c’è un museo del brigantaggio dove una sala è a lui dedicata. Crocco, il brigante che amava sua madre e rispettava la figura femminile, il capo di bande che lo volle Generale. Una figura senza dubbio emblematica nella storia del brigantaggio del Sud, quella fatta di miseria e di protesta, di guerra contadina e di ribellione, ma comunque caratterizzante una terra che nelle sue antiche sofferenze ancora oggi trova le sue attuali incomprensioni.