Un senso di stanchezza s’impossessava delle sue membra. Egli percepiva il rischio di cancellare dalla memoria tutte le parole sentite da Gesù e che ancora gli rimbombavano nelle orecchie; aveva la sensazione di essere stato gabbato, anche se alcune donne, che ancora attingevano forza e speranza dalla sequela del Maestro, avevano riferito un fatto al quale era difficile credere. Egli riteneva che, in realtà, fossero alla ricerca di un rifugio, di una protezione per bisogno di un’auto-consolazione.
“Un uomo era passato fra noi. Dopo aver taciuto per anni, si era manifestato per alcuni mesi ed io ne sono stato testimone”. Si andava ripetendo a mezza voce, mentre girava circospetto per la strada parallela alla fortezza Antonia. “Il suo insegnamento esaltava le aspirazioni più nobili e le speranze anche più folli degli uomini. In verità, egli si è spinto oltre; il suo ministero di profeta e di rabbi ha aperto la porta alla poesia, al mistero, forse anche alla follia. A giudicare dalla sua genealogia, egli ha assunto caratteri ereditari tipici di una variegata umanità, nella quale avi santi si sono accompagnati a mascalzoni, adultere e donne virtuose”. Erano questi i pensieri di Tommaso, mentre camminava per la città e rifletteva su quanto alcune donne asserivano fosse capitato quella mattina. Ricordava anche i contrasti col Maestro, del quale non aveva mai condiviso l’atteggiamento di sfida nei confronti delle autorità del Tempio. In alcune occasioni non aveva esitato di rispondere a lume di logica alle provocazioni del Rabbi, il quale conferiva sempre segni e significati reconditi alle sue parole.
Dopo l’esperienza traumatica della settimana precedente, Tommaso si era più volte posto l’interrogativo se questo Gesù fosse figlio della storia ed elaboratore di un mito. La domanda ritornava sovente nel suo animo. Abituato alla lettura della Torah e alle sottigliezze dell’esegesi, egli era consapevole che la verità si cinge sempre di molteplici trame e disegni, nei quali non si riscontra solamente la storia, la ricerca, la capacità di misurare e di contare propria delle scienze esatte o la pretesa notarile di registrare il mero fatto.
Didimo era angustiato al pensiero del rischio di precipitare in due trappole contrapposte: ridurre la verità al suo aspetto di mero avvenimento, rassicurante certezza per chi l’idolatra perché ritenuto fortezza inespugnabile grazie alla presunta evidenza dei fatti; oppure dubitare di tutto, un’alternativa a quest’angusta prospettiva, ma anche palese condanna a confrontarsi con una verità impalpabile, frutto dell’angoscia di un pensiero che, nonostante le pretese, non è mai solare ma soggetto agli umbratili condizionamenti del dubbio, senza ancoraggio nella storia disincarnata dall’io pensante, di cui alla fine sarebbe il solo prodotto.
Tommaso amava Gesù di vera amicizia. Stimava la sua bontà e apprezzava la santità dei suoi sogni, la sua intelligenza sovrumana, anche se a volte con i suoi gesti poteva dare la sensazione di essere uscito di testa. Al di là di questo, si scontrava col buon senso che non abbandonava mai lui, pio israelita ancorato alla lettera della Legge. Da vero amico, era rimasto con lui, anche se non aveva condiviso alcune delle sue idee; alla fine, un’invincibile delusione lo perseguitava perché molte delle attese di riscatto del popolo dai prepotenti Romani nel Maestro non avevano trovato risposta.
La crocifissione aveva inferto il colpo definitivo alle sue speranze e, dopo quell’orrendo spettacolo, aveva sentito il bisogno d’isolarsi. Così, la mattina del primo giorno della settimana, quando aveva fatto ritorno nel luogo dove si erano rintanati discepoli e apostoli e li aveva visti felici perché alcuni di loro asserivano di essere stati testimoni di segni prodigiosi, aveva reagito in nome della ragione contro le pretese di una fede evidentemente credulona, che pretendeva considerare reale un fatto così distante da ogni prospettiva di umana razionalità. Ferito nel suo amore, angustiato nella sua fiducia, irritato col suo Maestro, che ancora accusava d’imprudenza, egli aveva rifiutato di pranzare con loro ed era uscito di nuovo; mentre girovaga senza meta per Gerusalemme, si sforzava di ripercorrere mentalmente la biografia del Nazareno.
Fattasi sera, Tommaso affrettò il passo per raggiungere gli altri e con la memoria andava ai mesi di viaggi trascorsi insieme; immaginava di riascoltare le parole di Gesù, rivedere in sequenza le sue opere, l’abilità di trovare in ogni realtà del mondo che lo circondava un segno, un invito, un messaggio. Vento, sole, campi di grano, alberi, animali diventavano così i protagonisti di tante parabole che il Maestro raccontava ai piccoli perché potessero comprendere l’essenza del suo vangelo. Nelle orecchie di Tommaso ancora echeggiavano gli inviti a considerare dono dell’Onnipotente tutto ciò che si riceve, a offrire ogni cosa come ringraziamento e manifestazione di gioiosa riconoscenza. Per Didimo il momento più toccante, tra i tanti gesti compiuti, era stato il suo immergersi nel Giordano, simbolicamente inquinato dal peccato altrui, da uomini orgogliosi, menzogneri, egoisti, vigliacchi, violenti, vizi dei quali non aveva riscontrato traccia nel Maestro. Perciò, egli si era convinto che con quel gesto il Nazareno avesse lavato tutti i pellegrini e con la sola presenza avesse conferito la possibilità di purificare ogni uomo disposto a seguire il suo insegnamento; immaginava di vedere il Maestro con la tunica gocciolante mentre usciva dal Giordano, simbolo della sua capacità di assumere su di sé il peso di un’umanità stanca e malata e liberare così dal peccato i cuori degli uomini di buona volontà.
Tommaso aveva conosciuto l’insegnamento del Battista grazie alla frequentazione di Andrea e Giovanni. Egli credeva nella potenza redentrice del battesimo di penitenza e si era ancor più convinto dell’unicità dell’azione del Maestro quando i due gli fecero il sunto della prima giornata trascorsa con Gesù: un’appassionante veglia che, l’indomani, aveva generato in loro l’urgenza di cercare i rispettivi fratelli e gli amici più cari per annunciare di aver trovato il Messia. Fu un contagio immediato e spontaneo, dal quale anche lui fu coinvolto; così, quando furono chiamati, lo seguirono e, con immediatezza, lasciarono tutto. Didimo ricorda di aver dato ascolto al suo istinto, anche se in precedenza aveva frequentato la famiglia di Gesù e, quindi, conosceva ciò che si diceva di lui, i tanti aspetti misteriosi, soprattutto quelli relativi alla sua nascita. Aveva risposto sì all’invito della sequela per sete di conoscenza e per l’ardente desiderio di non lasciare nulla d’intentato nella ricerca più profonda di Dio. Era così iniziata per lui una nuova esperienza, sovente trasformatasi in dolorosa agonia per la necessità di combattere con una condizione dello spirito che si manifestava sotto forma di lancinante dubbio.
Da venerdì Tommaso riviveva questa situazione. Gli sembrava di essere sottoposto alle sollecitazioni del tentatore, soggetto alle paure e ai fantasmi dei propri desideri col rischio di darla per vinta al diavolo, a chi separa, contrapponendo il Maestro crocefisso all’ambascia dei propri dubbi, tentazione alla quale era sottoposto da giorni. Un giustiziato, morto sulla croce, voleva servirsi del vero Dio per sfuggire alla sua condizione di vero uomo. L’intelligenza critica del pio ebreo induceva a ritenere che costui avesse barato. Tommaso rimuginava tale convincimento per porsi al riparo dalle conseguenze della pericolosa illusione nella quale erano caduti gli altri discepoli e di cui egli aveva avuto le prime avvisaglie poco prima, quando li aveva incontrati.
All’imbrunire Didimo ritorna sui suoi passi; concentrato nei suoi pensieri, è distratto dal chiarore della torcia sistemata nei pressi della casa di Giuseppe d’Arimatea, dove sono ospitati i seguaci di Gesù rimasti ancora a Gerusalemme. Bussa. Gli apre Filippo, le cui fattezze, più greche che ebraiche, gli consentono di muoversi con maggiore sicurezza nella città, dove le guardie del tempio, si dice, sono impegnate in rastrellamenti alla ricerca degli amici del Nazareno.
“Tommaso, abbiamo visto Gesù”[1]. Grida Pietro e con lui gli altri, tutti con gli occhi scintillanti di gioia, appena lo vedono entrare.
[1] Giovanni 20,24. Le note fanno riferimento a passi dei vangeli dai quali sono stati tratti gli spunti elaborati nella narrazione.