Nella giornata di ieri, lunedì 20 agosto, alcune testate giornalistiche locali hanno diffuso la notizia della presenza di Biagio Antonacci nel Cilento (ad Ascea, per la precisione). Stando alla notizia, il famoso cantante milanese avrebbe concesso selfie ed autografi a quanti gliene abbiano fatto richiesta. L’articolo era accompagnato da uno di questi selfie che ritraeva quattro uomini, dei quali uno dal volto oscurato (Antonacci, appunto).
Peccato, però, che la foto riportata fosse completamente falsa e, molto probabilmente, anche la notizia!
Il disguido potrebbe essere stato generato da un post pubblicato su Facebook da Pietro Miraldi. L’esponente pentastellato vallese ha pubblicato una foto che lo ritrae al mare con tre amici apponendo come didascalia “Biagio Antonacci ad Ascea”, chiaramente a mo’ di scherzo.
Qualcuno, però, ci è cascato in pieno, generando stupore e un po’ di invidia in tutti quei fan di Antonacci che non erano riusciti ad incontrare il loro idolo (pur trovandosi sulla stessa spiaggia, negli stessi giorni).
Senza voler puntare il dito contro qualcuno, senza la pretesa di insegnare il mestiere ai miei colleghi e con l’umiltà che mi contraddistingue, la vicenda mi spinge ad una breve e generale riflessione sull’importanza della veridicità delle informazioni che noi giornalisti forniamo quotidianamente.
Non si fa che parlare ogni giorno di “fake news” o “bufale”, ovvero di notizie false.
La loro esistenza non è una novità! Spesso si tende ad attribuirne la colpa ad Internet, ma le notizie false esistono da sempre. Chiunque frequenti bar e piazze di paese può verificare ogni giorno come queste bufale si mischino a notizie vere.
Quel che è certo, però, è che oggigiorno la quasi totalità delle fake news circola su internet, un mondo in cui, di fatto, non esistono più filtri tra chi scrive e pubblica un articolo e chi lo legge.
Parliamo di notizie spesso destituite di ogni argomento, ma che al grande pubblico degli internauti appaiono credibili, tanto da essere condivise e commentate spesso anche migliaia di volte (i mezzi di comunicazione più efficaci in questo senso sono senz’altro i social network, ca va sans dire).
Come giornalista, non ho alcuna vergogna ad ammettere di aver “timore” di incappare in una notizia falsa e di farne un articolo. Oggi più che mai, noi giornalisti siamo custodi delle informazioni affidabili. Dovremmo prestare maggiore attenzione e verificare le fonti da cui prendiamo le notizie, i siti, chi c’è dietro e, quando non possiamo avere la certezza dell’affidabilità della notizia, dobbiamo renderlo noto al pubblico. È l’etica giornalistica che ce lo impone.
Le fake news sono sempre esistite ed hanno sempre avuto una ragione per esistere.
Dalla politica alla religione, dalle agenzie pubblicitarie alla letteratura, tutti se ne sono serviti e continuano a farlo.
Di esempi ce ne sono moltissimi.
Pensiamo a Tito Livio che, per glorificare Roma, raccontò il gesto eroico e leggendario del giovane aristocratico romano, Muzio Scevola che, per punirsi per non aver saputo uccidere il re etrusco Porsenna, pose la mano destra su un braciere ardente.
O alla falsa notizia che portò al famoso discorso di Colin Powell all’ONU con cui gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di essere in possesso di armi di distruzione di massa e costruirono le ragioni della guerra contro Saddam Hussein.
O, ancora, al caso Calas portato alla ribalta da Voltaire nel suo “Trattato sulla tolleranza”: nella Francia del XVIII secolo, a Tolosa, il giovane Marcantonio Calas, figlio di un commerciante protestante ugonotto, venne trovato morto, impiccato ad una trave di un locale di proprietà della famiglia. Pare che il ragazzo fosse sul punto di convertirsi al cattolicesimo. Stando al racconto preciso e puntuale di Voltaire, qualche fanatico in mezzo alla folla gridò che Jean Calas (padre di Marcantonio) e i suoi complici avessero ucciso il giovane per impedirne la conversione. In un clima malsano di fanatismi religiosi, Marcantonio fu proclamato martire mentre suo padre venne imprigionato, giudicato colpevole e mandato a morte per “ruota”, ovvero tortura.
Le fake news, quindi, sono vere e proprie notizie false che vengono create appositamente ed utilizzate come strumenti strategici per il proprio prestigio o per attirare un’attenzione negativa verso altri.
Come è evidente, gli esempi riportati non hanno nulla a che vedere con il “caso Antonacci” che non ha scatenato alcuna reazione tragica o negativa. Anzi!
Le conseguenze, piuttosto, possono essere, sostanzialmente, due:
Innanzitutto bisogna tener conto che chi scrive su internet punta a raggiungere un grande numero di “clic” da parte dei lettori, a meno che un sito non richieda l’iscrizione a pagamento o che non venga finanziato da terzi. Più persone aprono un determinato link, leggendo e condividendo l’articolo, tanto più i pubblicitari pagheranno. E laddove mancano contratti con agenzie pubblicitarie, ci pensa Google AdSense a remunerare gli articoli tramite l’inserimento di banner nel corpo del testo dell’articolo. Chi clicca su un link, sta finanziando, di fatto, il sito che si approprierà di parte dei guadagni generati dalla pubblicità. Le fake news, accompagnate da titoli di grande impatto, si prestano benissimo allo scopo.
In secondo luogo, bisogna considerare che l’idea che i VIP frequentino la costa cilentana non può far altro che aumentare il turismo (anche se spesso scelerato) nel nostro territorio.