Nel risalire le curve dei Casalotti verso Roccadaspide per raggiungere il punto di partenza della seconda tappa del viaggio verso il Cervati nella settimana più torrida del 2018, un pensiero mi frulla nella testa: negli anni ’50 era abituale che le greggi di pecore dei pastori “Chiainari” e “Casalettari” passassero l’inverno nella “piana” per poi riconquistare i pascoli montani nella tarda primavera.
Era la transumanza imponeva a pastori e garzoni due lunghi viaggi della durata di 2 o tre giorni a seconda della destinazione: Capaccio Paestum, Persano ma anche Casalvelino e Ascea. Alcuni si allungavano fino ala piana di Metaponto in Basilicata!
Al volo prendo la decisione di ripercorrere una delle vie costellate di fontane che consentivano a greggi e persone di sostare ristorarsi lungo il tragitto.
I protagonisti umani della transumanza non percorrevano i sentieri e le strade che risalivano e discendevano la valle solo nelle due occasioni in cui si trasferivano le pecore. Lo facevano almeno una volta a settimana, percorrevano la via per andare a rifornirsi di pane, salumi, pasta (rigorosamente fatta in casa) e quant’altro necessario per garantire la sussistenza in condizioni estreme di vivibilità negli stazzi provvisori allestiti in pianura.
Se fossi nato una decina di anni prima del ’55, sarei stato, come tanti altri ragazzi, “garzone” al seguito del gregge di mio nonno, Francesco Antonio e mio zio, Angelo. Anch’io avrei risalito la valle del Calore per tornare a respirare l’aria di paese e ritornare nella “piana” con i “viveri”.
Ecco perché, partito dal ponte della Falconara tra i castagneti di Roccadaspide, mi vedo “garzone” a rincorrere il traguardo “paese” il più in fretta possibile al fine di poter “vivere” una mezza giornata tra le piazze di Piaggine per salutare amici e parenti in attesa della sera vicino al fuoco e delle primi luci dell’alba che era l’ora della ripartenza per Persano o Capaccio Scalo.
La voglia di arrivare in una sola tappa mi fa decidere per un approccio diverso dal solito all’andare: correre in discesa e pianura e al passo in salita.
Si tratta di recuperare circa 600 m di dislivello tra Roccadaspide e la fontana dei “cavalli” posta appena sopra Piaggine in cima alla salita di S. Simeone che parte dal ponte a sella d’asino sul Calore in contrada Ponte.
Copro il tratto fino alla fontana “Laurenti” nel comune di Castel San Lorenzo in poco tempo. Ma vi arrivo inzuppato di sudore. Mi idrato abbondantemente e mi cambio la camicia. Riparto con passo veloce e, appena vedo discesa riprendo la mia corsa immedesimandomi nella parte della staffetta. Prossima tappa è il fresco della strada sottostante la chiesa della Madonna di Costantinopoli prima di Felitto. Sento che la decisione presa di affrontare la “risalita” fino a Piaggine, forse, è stata troppo azzardata vista la temperatura che sale a 30°.
Mi fermo alla fontana posta all’imbocco del sentiero delle Gole del Calore. Da questo punto, risalendo a mezza costa la riva destra del Calore camminando sul muretto dell’ex canale che costruito per portare l’acqua all’antica centrale idroelettrica, si arriva fino all’oasi WWF di Remolino, a monte di Felitto. È il tracciato che seguo di solito ogni anno andando verso il Cervati.
Dopo una grande e ulteriore rinfrescata, decido che seguirò la via più breve, come avrebbe fatto un “garzone” che ha fretta di arrivare a casa.
La decisione è presa, parto di buona lena verso il cimitero di Felitto e scalo la “variante” che lo costeggia fino all’incrocio che porta alla Gole del Calore a Nord del paese. Il sole delle 10:00 si fa sentire forte, luminoso e caldo nel tratto allo scoperto lungo il tratto che porta alla piscina comunale. So che risalire lo strappo che impone la strada in cima alla salita dovec’è la vecchia scuola elementare è una brutta gatta da pelare. Raccolgo una pera da un albero, faccio partire la seconda puntata dell’audio libro “Tre stanze a Manhattan” di Georges Simenon e mi avvio con un passo ponderato verso Villa Littorio con una buona scorta d’acqua e determinato ad andare fino in fondo … anzi fono in alto. Quando squilla il telefono con Gina che vuole coordinare i tempi per venirmi a recuperare, la mia decisione è presa. Lei non è molto contenta, ma sa bene che è inutile cercare di farmi cambiare idea.
A metà della prima salita trovo la struttura dove, nel 1999, con un gruppo di amici (Antonio Marino, Nicola Cavallo, Luigi Scorziello, Michele Albanese, Antonio Ciniello e Mario Miano) decidemmo di dare vita a “Il Valcalore”. Il proprietario di quel bel ristorante oggi ne possiede uno proprio a New York.
Salendo il panorama si apre nella Valle sottostante con il suo verde a diverse gradazioni: lussureggiante quello dei castagneti assiepato sui costoni del monte Chianello, l’altro degli ulivi che si alternano alle vigne già tendente al chiaro, infine quello delle faggeti sui monti Alburni che il sole confonde con la cresta “pelata” della Nuda.
Il rudere in cui è ridotta la scuola elementare mi ricorda i moderni problemi delle nostre realtà montane desertificate dal calo demografico. Il caldo e la salita mi riporta alla realtà. La strada, che un tempo da questo punto in avanti era bianca con profondi solcchi che la rendeva impraticabile alle auto, oggi è completamente asfaltata e ben tenuta. Infatti, non sono pochi gli automobilisti che la usano per accorciare di alcuni Km la distanza e i relativi tempi di percorrenza dall’Alta Valle a Felitto e poi fino a Roccadaspide. Sento il rumore di un mezzo meccanico che lavora qualche curva più in alto. Quando arrivo sul posto, trovo Franco Vertullo con un operatore della Comunità Montana Calore Salernitano che liberano le cunette abbattendo la sterpaglia che invade parte della carreggiata.
Una breve sosta per un saluto e poi di nuovo avanti alla ricerca della fontana dove fare sosta e prendere fiato ed acqua. Benedette “fontane”! Chi risaliva o scendeva dalle falde del Cervati con gli armenti immagino che le benedivano ogni volta prima di abbeverarsi e abbeverare. L’acqua è l’unico elemento che può consentire ad uomini e animali di avanzare senza disperare.
Bagnarsi, lavarsi, inondarsi di freschezza che solo l’acqua corrente di può garantire. Questo è l’unico modo che mi consente di procedere verso la meta. Sento che mancano poco più di 2 Km al cimitero di Villa Littorio. La strada si fa più piatta e riaccenno a qualche passo di corsa andando a cercare, a destra e sinistra, un po’ di frescura che il sole concede imbattendosi negli alberi posti sul ciglio destro della strada.
Ancora una fonte dove immergere la parte superiore del corpo per rigenerare le forze. Ormai sono già sul lungo pianoro da cui si ammira Sacco e il ponte posto sulle gole del Sammaro sotto il monte Motola.
Supero correndo il cimitero e mi concedo il “lusso” del breve tratto sterrato che costeggia l’agriturismo “i Sette venti” fino al ristorante “Le delizie del Parco”.
Ormai mi sento forte nel mio ambiente naturale. In questi luoghi ho camminato per davvero da ragazzo visto che nella costa verso valle, di fronte a Sacco, la Lanternina” avevamo una terreno con uliveto ed alberi da frutto. In sella d’asino, venivo e tornavo al paese anche due volte al giorno per andare a scaricare i frutti del lavoro della terra che i miei estraevano a costo di intere giornate di lavoro.
All’Epitaffio prima di Piaggine incontro Nicola Cinnadaio con il quale scambio qualche parola chiedendogli dei suoi trascorsi da pastore dei tempi che furono. Mi conferma quello che ho già detto in partenza relativamente ai pastori, ai garzoni e alla transumanza. Salgo verso l’area giochi di Vallodellangiolandia, recintata e ben tenuta: un’altra cosa rispetto all’anno passato! So che lì c’è l’ennesima fontana dove immergere le mie membra stancate dall’asfalto infuocato.
Riparto veloce verso l’ex Piaggine sottano, mi addentro nei vicoli e noto una certa animazione. Arrivo in piazza dove non mi aspetto di trovare gente. Invece, ecco un paese pieno di animazione. La piazza è vociante come non mai. Pensavo di passare inosservato addossandomi ai muri alla ricerca di un po’ d’ombra impossibile alle 13 del pomeriggio e mi ritrovo a salutare molte gente: Alì indaffarato davanti al bar, Pietro Macellaro che mi offre il caffè e tanti altri che faccio fatica a ricordare a causa della “fatica” fatta per coprire la distanza di 23 Km fino a qual momento. O fretta di arrivare ai piedi di S. Simeone dove c’è il ponte sul fiume Calore. Percorro il Km che separa Valle dell’Angelo da Piaggine correndo. Al passo mi godo il lungo fiume dove un tempo c’era un sentiero che connetteva gli orti dalla Tempa e al Ponte.
La cascata è in secca, mi fermo un attimo prima di superare il fiume di ghiaia passando sul ponte. Di fronte c’è la casa dove sono nato in un freddo dicembre del 1955. Il fiume era ghiacciato e mia madre faceva fatica a lavare i pannolini che allora erano di stoffa. Il palazzo dei Tommasini campeggia da oltre 2 secoli sul vecchio borgo di via Pescatori.
Fotografo la chiesa si S. Pietro e Paolo. Arranco verso il luogo dove mio nonno aveva fatto costruire un deposito per il fieno e per gli attrezzi che andò bruciato in un incendio. Mi concedo un’altra bella rinfrescata prima di affrontare l’ultimo strappo che mi porterà alla fontana detta “l’Acqua dei cavalli”.
Infinite volte ho risalito questo tratto ed altrettante incalcolabili volte l’ho ridisceso verso il ponte. Il canalone in cui mi trovo non consente al vento di rilasciare qualche rivolo. So bene che il tratto non è lungo ma preferirei di essere già seduto sul bordo della fontana a godermi il meritato “rinfresco”. Mi concedo un’altra puntata di “Tre stanze a Manhattan” di Georges Simenon. Il ruscello che scorre inarrestabile lungo il lato destro della strada fa da sottofondo al mio passo stanco. Gli ultimi 100 metri me li faccio bastare per rilassarmi prima di arrivare all’incrocio con la strada che porta al Cervati.
All’arrivo mi inebrio di acqua fresca e della brezza che rimonta dalla valle verso i monti. Telefono a Gina che è già entrata nel comune di Piaggine per dirle che sono giunto alla meta.
Per non raffreddarmi mi avvio verso il paese per andarle incontro. Mi sento ancora qualche forza residua e decido di spenderla corricchiando i discesa. Percorro ancora due Km dei 4 che mi separano dal paese.
Salgo in auto. Ora è veramente finita: sono oltre 27 i Km percorsi. Attraverso la piazza deserta di vita. Imbocchiamo via G. Ricci che porta a casa dove ci aspetta mia madre Giuseppina con mia nipote Marta. Le trovo intende a stendere fusilli che torneranno buoni in occasione di visite ed ospiti a tavola nel mese di agosto.
Un bella insalata di pomodori, accompagnata da qualche fetta di caciocavallo podolico e tanta acqua mi danno ristoro di energie. Il resto lo fa la pergola d’uva che oscura di verde il cielo sopra di noi.
Per un giorno sono stato “garzone” di me stesso per rivivere, anche se solo in parte, un’esperienza indimenticabile.