In questa settimana si è tenuto l’annuale convegno della diocesi di Vallo. Sacerdoti e delegati delle singole parrocchie hanno riflettuto per tre giorni sul tema “Trasfigurati per trasfigurare”, riflessione a tutto tondo che deve interessare anche la comunità cilentana nel suo complesso. Infatti, più i cristiani analizzano nella concretezza della loro vita il messaggio evangelico meglio è difeso il bene comune perché una Chiesa in uscita deve porre particolare attenzione a tutte le povertà esistenziali. L’associazione al verbo trasfigurare di sinonimi o termini, in qualche modo, ad esso vicini per significato fa percepire il trasfigurare come trasformazione, cogliere nel nascondimento l’essenzialità e, in virtù del cambiamento, divenire consapevoli.
L’analisi si è soffermata soprattutto sul momento liturgico per andare oltre la fase meramente devozionale e realizzare una liturgia più coinvolgente per coloro che fanno fatica a comprenderla e vivere con convinta determinazione il rapporto tra liturgia, sacramenti ed esperienza quotidiana. Il trasfigurare, legato all’ambito del celebrare, invita a riflessioni sui modi e sui tempi con cui la comunità vive la liturgia domenicale, quella legata alla pietà popolare ed altri momenti della vita ecclesiale e sacramentale. Si nota una grande fatica nell’educare le nuove generazioni a celebrare la liturgia scoprendo che in ogni gesto è Dio a parlare. Occorre impegnarsi a superare questa difficoltà per consentire al singolo e alla comunità nel suo complesso di entrare in relazione col Signore, incontrarlo nella liturgia e lasciarsi trasfigurare. La liturgia domenicale è il momento più significativo di questa esperienza; ma l’attuale congiuntura e il problematico contesto delle parrocchie spesso non aiutano ad acquisire piena consapevolezza di quanto sia importante celebrare il giorno del Signore. In effetti, la domenica diventa sempre più un giorno pari agli altri; un numero sempre minore di cristiani avverte la bellezza e la gioia dell’esperienza eucaristica. Scoprire il significato vero della liturgia, azione di un popolo che incontra Dio, presuppone il superamento di asfissianti ritualità.
A questo proposito preti fantasiosi dovrebbero ridurre la propensione a reiterare orpelli esteriori che moltiplicano gesti scenografici, segni incomprensibili, linguaggi che impediscono di gustare nella sobrietà del rituale l’intrinseca bellezza dello stare insieme ponendo al centro Dio. Rimanere estranei a questa sollecitazione, per nulla coinvolti, non aiuta a superare torpore e insensibilità e vincere una presunta autosufficienza. L’invito, quindi, è a trasfigurarsi, pronti ad ascoltare la parola di Gesù anche se scuote la nostra tranquillità, disposti a fare le giuste scelte per superare ogni esperienza di separazione, vincere le divisioni, prevenire contrasti che fanno precipitare in una insopportabile solitudine.
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