Esodo 34, 4b-6.8-9 II Corinzi 13,11-13; Gv 3, 16-18
Nella prima lettura Dio pronto a manifestare misericordia e pietà si rivela a Mosè ed è disposto a perdonare chi manifesta ancora durezza di cuore.
Ma è il Vangelo a presentarci veramente il suo volto riflesso in quello di Gesù, impegnato a discorrere con Nicodemo, un maestro d’Israele e membro del Sinedrio, che decide d’incontrarlo per interrogarlo, ma di notte per non guastarsi la reputazione. La conversazione con Gesù, anche se difficile da comprendere, gli cambia l’esistenza perché ascolta parole di fiducia, speranza, pace. Così egli rinasce alla vita. Il messaggio di Gesù è brevissimo, ma pregnante: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio, quindi Gesù è il vero volto di Dio, capace di accoglienza e di perdono, pronto a guarire e a mostrare col pianto il suo sentirsi solidale con tutti. Dio ama il mondo, lo affida all’uomo perché lo custodisca e lo coltivi in modo da farne un giardino, come quello dell’Eden. Perciò non bisogna avere paura di Dio. Egli non vive nella solitudine della sua perfezione, ma è un continuo flusso di amore che si trasforma in casa aperta per noi. Ecco la Trinità! Ci fa raggiungere la piena umanità nella comunione di cui noi dobbiamo essere riflesso; ci chiama per creare legami con gli altri, dono di amore per noi tutti, che dobbiamo sentirci abbracciati dentro questo vortice di amore che è il Padre creatore, il Figlio salvatore, lo Spirito di sapienza che rende sapida la vita. L’immagine di Dio, non nella solitudine dell’individuo, e l’umanità riconciliata, una pur nelle sue diversità, diventano lo spunto di riflessione per la festa della Trinità, alla quale ci rivolgiamo in ogni liturgia, anzi ogni azione iniziata col segno della croce implica la sua evocazione.
In Occidente si è sentito il bisogno di una festa per consentire una riflessione teologico-dogmatica, occasione di lode, di ringraziamento, adorazione del mistero che esalta la comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Si tratta del mistero della fede che, come il sole, fa perdere la prospettiva se si pretende di fissarlo direttamente; invece, una riflessione attenta, aiutata dalla fede, consente d’illuminare tutta la vita approfondendo l’idea di Dio. Si supera così il concetto di monade immersa nella solitudine della sua potenza infinita, come hanno scritto i filosofi alla ricerca di un Signore dominatore, ragione di tutte le cose. Grazie alla rivelazione fatta da Gesù noi cristiani crediamo, invece, che Egli è in sé relazione per cui dire Dio è dire Trinità e così si afferma che Egli é amore. La Trinità indica una vita di amore plurale, comunitario. Noi tentiamo di descriverlo, ma le nostre parole risultano poco efficaci rispetto ad un mistero che rimane ineffabile. Ancora oggi l’intuizione di Agostino, che fa riferimento al Padre Amante, al Figlio Amato e allo Spirito Amore tra i due, si rivela il tentativo di spiegazione più adeguato, riassunto da san Bernardo con la poetica espressione del bacio circolare ed eterno. Essa ha trovato riscontro plastico e pittorico nella famosa Icona russa di Andrej Rublev, il monaco figlio spirituale di San Sergio. La relazione che si esprime in questo modo diventa la legge costitutiva della vita che riflette lo scambio di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: Amore dell’Io che si proietta nell’essere del Tu per costruire insieme il Noi Trinitario grazie allo Spirito Santo, che unisce l’Io del Padre ed il Tu del Figlio.
L’amore costituisce perciò la dinamica presente in ogni famiglia o comunità umana nel momento che è e si percepisce come un noi. Così diventa icona di Dio Trinità e l’umanità raggiunge la sua perfezione quando riesce a costituire il Noi globale, l’universale famiglia umana. Il Vangelo asserisce che amare non è un sentimento, un emozionarsi ed intenerirsi, ma la disponibilità a dare e darsi con generosità, senza sé e senza ma. Gesù lo ha fatto e così ha salvato il mondo dall’unico grande peccato: il disamore. La scelta spiega i motivi della storia personale di Gesù e giustifica la croce e l’esperienza della Pasqua. Egli ha amato non solo gli uomini, ma il mondo intero perché la vita fiorisca in tutte le sue forme. Davanti alla Trinità, anche se ci sentiamo piccoli, percepiamo il grande abbraccio nel vortice del vento carezzevole dell’amore di Dio. Per conoscere l’amore di Dio il mondo deve coglierne l’epifania nella storia di Gesù, che duemila anni fa muore sulla croce “avendo amato fino alla fine”. “Dio ha tanto amato il mondo …” e “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” sono affermazioni che vanno lette in modo parallelo per comprenderne a pieno il significato e così credere e avere fiducia nel Cristo. L’ora di Gesù è quella della croce, manifestazione della sua gloria perché è l’ora dell’innalzamento del Figlio, dono gratuito di sé, che noi siamo chiamati ad accogliere con fede. Dio ha voluto diventare uomo per condividere la nostra esistenza, la lotta, la sete di vita eterna e Gesù, per raccontare la Trinità, ricorre ai termini famiglia, affetto, Padre e Figlio che abbracciano e si abbracciano, Spirito come vita che riprende a respirare quando è accolta: sempre una relazione, un legame. E se Dio si riflette in Cristo, la Chiesa consente ai fedeli di divenire immagine di Dio perché membri del medesimo Corpo mistico. La Chiesa celebra questa festa non per invitare a fare speculazioni sul mistero, ma per fare esperienza della Trinità nella consapevolezza che – immagine perché nata nel cuore del Padre, fondata sul Figlio e radunata dallo Spirito Santo – è il luogo in cui è dato di fare esperienza del cuore di Dio e della sua plurale comunione.
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Inoltre, se noi esistiamo a sua immagine e somiglianza, allora il racconto di Dio è anche narrazione dell’uomo, non un dogma che impone di credere ad una fredda dottrina, ma generosa esperienza della sapienza del vivere in quanto, come il Cuore di Dio, anche quello dell’uomo è relazione. Ecco perché la solitudine pesa e fa paura: è contro natura, mentre quando si ama e si condivide l’amicizia ci si sente beati. Il nostro cuore è specchio e senso ultimo dell’universo nel legame di comunione; quindi essere salvati significa passare dalla morte alla vita definitiva, possibilità per chi accetta il dono col quale non si propone il giudizio sul mondo, ma salvarlo. All’uomo rimane la libertà di scelta, ma chi non lo accoglie si giudica da se stesso perché l’unica opzione possibile è entrare nella vita oppure allontanarsi dalla sua sorgente. In chi rifulge l’amore per i fratelli si proietta la vita di Gesù; così in Lui e con Lui conosce quella eterna.
Festa della SS. Trinità Deuteronomio 4,32-34. 39- 40;Romani 8, 14-17; Matteo 28,16-20
Nella domenica dopo la Pentecoste, la Chiesa ci invita a celebrarla Trinità, festa non antichissima; fino a metà del 1300 non se ne era avvertita l’esigenza. L’esistenza di Dio uno e trino riconosciuta e ricordata continuamente nella vita della chiesa e codificata nel Simbolo Apostolico. Del resto, il risorto, come riporta il vangelo di Matteo, aveva concluso l’esortazione alla missione di evangelizzazione nel segno della Trinità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. La Chiesa invita a rinnovare il nostro atto di fede e a glorificare non la solitudine, ma la comunione infinita di Dio. Il brano della lettera ai Romani fa emergere la meraviglia incantata di fronte alla scoperta che Dio è Abbà, cioè Padre, o meglio papà, inserendo un riferimento d’intimità familiare che ridimensiona la dignità sacrale, ma la esalta perché la rende più vicina al comune sentire. La festa c’insegna che non l’uomo ha inventato Dio, ma Dio ha creato l’uomo, assegnandogli un destino unico ed irripetibile: la possibilità di essere suo figlio. Lo attesta lo Spirito di Cristo che guida ogni cristiano a fare l’esperienza della paternità di Dio, condizione alla cui base c’è la stessa comunione d’amore tra le Persone divine. Il concetto di Dio “uno e trino” è il mistero per eccellenza che, tuttavia, non è calato nella storia della fede cristiana come un corollario, ma è il cuore della Rivelazione, una specie di mistica intuizione soprannaturale che coglie la profondità dell’essere senza assoggettarsi a speculazioni intellettuali. Cristo ha annunziato questa verità al mondo vivendola. Senza trattare di unità della natura e di trinità delle persone, i vangeli descrivono l’intima unione di Gesù con il Padre nell’azione e nella parola, cementate da una costante relazione, come attesta il bisogno quotidiano di Gesù di raccogliersi in preghiera prima di procedere alla sua missione e la totale e incondizionata fiducia con la quale egli invoca Abbà. Una Trinità annunciata, soprattutto vissuta è quanto emerge dall’insegnamento che Gesù affida alla Chiesa impegnandola a interpretare nel modo migliore la novità della rivelazione per avere una più profonda conoscenza di Dio.
Un Mistero rivelato dall’Amore
Alla ricerca di un Signore dominatore, ragione di tutte le cose, molti filosofi per sciogliere il mistero hanno fatto riferimento al concetto di monade immersa nella solitudine della sua potenza infinita. Gesù, invece, nel parlare di Dio ricorre a termini familiari come affetto, Padre e Figlio che abbracciano e si abbracciano, Spirito come vita che riprende a respirare quando è accolta. Egli fa sempre riferimento ad una relazione, ad un legame di amore. Grazie alla sua rivelazione i cristiani credono che Dio è in sé relazione per cui dire Dio è dire Trinità e così affermare che Egli é Amore. L’immagine di Dio, non nella solitudine dell’individuo, e l’umanità riconciliata e così una pur nelle sua diversità, sono state lo spunto di riflessione della scorsa domenica, festa della Trinità, alla quale ci si rivolge in ogni azione liturgica, anzi in ogni azione che inizia col segno della croce, esplicita sua evocazione. In Occidente si è sentito il bisogno di una festa per consentire alla comunità di fare una riflessione teologico-dogmatica, occasione di lode, di ringraziamento, di adorazione del mistero che esalta la comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Si tratta del mistero della fede che, come il sole, fa perdere la prospettiva se si pretende di fissarlo direttamente; invece, se si procede ad una umile riflessione, aiutata dalla fede, consente di illuminare tutta la vita approfondendo l’idea di Dio. Il passo del Vangelo letto domenica presenta Gesù impegnato in un faticoso dialogo con Nicodemo, uomo di fede che però ha difficoltà a cogliere la portata dell’annuncio del Maestro di Nazaret, il quale asserisce che amare non è un sentimento, un emozionarsi ed intenerirsi, ma la disponibilità a dare e darsi con generosità, senza se e senza ma. Infatti, “Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio”, affermazione di fondo per spiegare il motivo dell’Incarnazione ed il fondamento della Salvezza. Per conoscere l’amore di Dio per il mondo è necessario coglierne l’epifania databile nella storia personale di Gesù, che duemila anni fa muore sulla croce “avendo amato fino alla fine”. L’ora della croce è l’ora di Gesù, la manifestazione della sua gloria perché è l’ora dell’innalzamento del Figlio, dono gratuito di sé, che l’umanità è chiamata ad accogliere con fede. Dio ha voluto diventare uomo per condividere la nostra esistenza, la lotta quotidiana, la sete di vita eterna. Gesù lo ha fatto e così ha salvato il mondo dall’unico grande peccato: il disamore, scelta che spiega la croce e l’esperienza della Pasqua. La relazione espressa in questo modo è la legge costitutiva della vita che riflette lo scambio d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: Amore dell’Io che si proietta nell’essere del Tu per costruire insieme il Noi Trinitario grazie allo Spirito Santo, che unisce l’Io del Padre ed il Tu del Figlio. Dio ama non solo gli uomini, ma il mondo intero perché la vita fiorisca in tutte le sue forme. Allora, davanti alla Trinità, anche se ci sentiamo piccoli, siamo invitati a percepire il grande abbraccio nel vortice del vento carezzevole dell’Amore. E se Dio si riflette in Cristo, la Chiesa consente ai fedeli di divenire immagine di Dio perché membri del medesimo Corpo mistico.
Perciò, l’amore costituisce la dinamica presente in ogni famiglia o comunità nel momento che realizza e si percepisce come un Noi. Allora diventa icona di Dio Trinità e così raggiunge la sua perfezione nella globalità dell’universale famiglia umana. Il nostro cuore è specchio e senso ultimo dell’universo nel legame di comunione; quindi essere salvati significa passare dalla morte alla vita definitiva, possibilità per chi accetta questo dono, rispetto al quale all’uomo rimane la libertà di scelta. Chi non lo accoglie si giudica da se stesso perché l’unica opzione possibile è entrare nella Vita oppure allontanarsi dalla sua sorgente. Quindi, la festa della scorsa domenica non è stato un invito a speculare sul mistero, ma una opportunità corale per fare esperienza di Dio della sua plurale comunione. Se ogni singolo uomo esiste a immagine e somiglianza della Trinità, allora il racconto di Dio è anche narrazione dell’uomo, non un dogma che impone di credere ad una fredda dottrina, ma generosa esperienza della sapienza del vivere in quanto, come il Cuore di Dio, anche quello dell’uomo è relazione. Ecco perché la solitudine pesa e fa paura: è contro natura; mentre quando si ama e si condivide l’amicizia ci si sente beati.