Il fiume Sele nasce a grandi zampilli alle pendici del Monte Paflagone (contrafforte del Monte Cervialto) nel comune di Caposele, le sue sorgenti principali alimentano l’Acquedotto Pugliese, un po’ più a valle incontra il suo primo tributario, il Rio Zagarone, s’immette trascinante in una corsa verso sud, accarezzando la rocca di Quaglietta e proseguendo per Contursi, ad ingrossarsi ancora di più con il fiume Tanagro, altro corso importante del salernitano e suo principale immissario. Da qui scorre copioso e placido, cullandosi in sponde sinuose e rallentando la sua corsa, distendendosi poi adagio nella pianura, sua figlia. Alle porte della città dei Templi, nella frazione di Ponte Barizzo riceve l’altro suo tributario, il Calore Salernitano. Alcuni meandri lo conducono all’ultimo tratto, verso il suo estuario nel Golfo di Salerno. Prima di gettarsi nel mar Tirreno guarda i resti dell’antico santuario dedicato ad Hera, l’Heraion alla foce del Sele, scoperto negli anni ’30 da Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro. Pare che le origini siano mitologicamente collegabili a Giasone e alla “Spedizione degli Argonauti”. Il corso del Sele è interessato dalla presenza di una area naturale protetta la riserva “Foce Sele-Tanagro. Istituita nel 1993 raccoglie i territori lungo le sponde dei fiumi Sele e Tanagro. Nel perimetro della riserva le sponde largheggiano di canneti di giunchi e di boschi igrofili di salice, ontano e pioppo. Lungo il litorale marittimo primeggia la folta pineta, impiantata negli anni ‘50 dal Corpo Forestale con lo scopo di proteggere dalla salsedine le aree coltivate. Il fiume Sele è anche dimora di numerose specie animali legate agli ambienti umidi, oltre ad anfibi e rettili, come il tritone crestato e l’ululone dal ventre giallo, il Sele ospita la lontra, la cui presenza è indice di un’ottima qualità ambientale. Tra gli uccelli sono anche presenti l’airone cenerino, la gallinella d’acqua ed il germano reale, lo svasso maggiore e il tarabusino. Parte integrante della riserva Foce Sele-Tanagro è l’Oasi WWF di Persano, istituita nel 1980 per tutelare l’omonimo lago artificiale nato negli anni trenta del ‘900, di seguito allo sbarramento del Sele. L’Oasi di Persano rappresenta forse l’unico e solo approdo utile al turismo fluviale del nostro territorio. È aperta tutto l’anno e dispone di un percorso naturalistico che si distende su due sentieri. Lungo i sentieri sono presenti otto capanni di osservazione, altri due lungo la sponda destra del Sele e un altro lungo la foce del fiume Tenza, piccolo affluente del Sele. Oltre ai boschi igrofili, è possibile ammirare il prato allagato (narcisi, pratoline, ranuncoli, gladioli selvatici, orchidee selvatiche), la foresta ripariale (felci, equiseti e giglio d’acqua), il canneto e le aree palustri (cannuccia, tifa, sparganio e giunco). Nel tratto collinare si estendono ampie zone di macchia mediterranea, bosco ceduo e prati naturali. Anche questa zona pullula di animali come la puzzola, la donnola, il tasso, la volpe, il cinghiale e ovviamente la lontra. Ma l’oasi costituisce soprattutto un riparo ed un punto di ristoro per gli uccelli, infatti si trova sulla rotta principale degli uccelli migratori che si spostano periodicamente tra l’Africa ed il Nord-Europa. Al fiume Sele, anticamente detto Seila e Silaris dai Greci e Silarus dai Romani, veniva attribuita la particolare proprietà di tramutare il legno in pietra, agli inizi del 700 un ecclesiastico capaccese scrisse: “Il fiume Selo è quello, che dagli antichi, si Greci che Latini fu chiamato Silaro, di cui ha esperienza che cangi in pietra ciocché in esso si gitta, avverandosi quello che da Plinio, da Silio Italico, e da Aristotele sotto il nome di Ceto si riferisce; che ne dica in contrario il Cliverio.” Le sue sorgenti pare abbiano accolto, secondo lo storico tardo romano Paolo Orosio, anche le ultime fatiche del gladiatore- schiavo Spartaco, che capeggiò migliaia di schiavi durante la triste guerra servile. Del fiume Sele sono manifesti i suoi frutti, la Piana di Paestum (detta anche piana del Sele) è una delle pianure più fertili del Meridione d’Italia. Dalla collina di Capaccio Paestum si vede la pianura opulenta e frenetica, larga ed intrecciata coi suoi centri abitati, laboriosa con le sue colture di mais, pomodori e fragole. Piange, col suo tappeto di serre, geme coi suoi frutti obbligati alla plastica eppure si manifesta sicura e saggia, non più malata di palude, ma irriducibile a sfamare i suoi figli per metà uomini e per metà bufale.
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