Alfonso Mangone ha le sue radici in un particolare impressionismo onirico, il sogno futuro delle città. La natura, per lui, non è fatta di alberi, fiumi, nuvole, ma treni, strade sopraelevate, metropolitane inghiottite dalla disperazione delle notti europee, i pochi uomini calcificati. Affronta questa natura industriale con spregiudicatezza: non c’è niente oltre la nebbia solida che investe le nostre città, una domestica irriconoscibilità che non conserva nemmeno il riscatto della voce. Mangone si rifà alla cultura pittorica di fine Ottocento, sulla sponda del secolo nuovo, il suo maestro è Van Gogh suicida che sprofonda nell’Ade con l’orecchio tagliato nascosto in una mano. Ne è il contrario continuatore: Van Gogh disegnava i suoi paesaggi come fossero nature morte, Mangone le sue città nella calce del tempo futuro come fossero paesaggi naturali: sembra di trovarsi di fronte a sceneggiature di film in cui le strutture urbane, come dinosauri di pietra, si sono scrollate di dosso l’uomo, tra sirene d’ospedale, il rombo scuro degli aeroporti, nei muri impediti delle stazioni. In una nuova mappa dell’Europa, disegna le splendide capitali nel loro trasformarsi, quel mutarsi in nuova pietra, il drammatico infuturarsi. Città abitate da automobili (la presenza degli uomini è ridotta a vortici di graffiti che scompaiono): una drammatica archeologia del futuro che mostra il veloce decadere, trasformarsi, l’estremo grido della storia, il suo sordo muggire. Roma, Amsterdam, Vienna, Mangone esalta nel suo sguardo le città che incontra, le interpreta e ne rimuove la morte mostrandola. Il tema che lui ostinatamente insegue è la città come soggetto e rinascita, la pietra che rivive, l’inorganico che si ricostruisce in perenne fuga dalla fine, la fatica di una resurrezione ripetuta. Quasi rappresentasse Lazzaro che ritorna, di lui mette in scena soltanto la tomba che si smuove e nel dirupo del tempo precipita, al di là dell’attesa.
Alfonso Mangone nasce ad Altavilla Silentina il 1 marzo 1958. Nel 1976 si trasferisce a Catanzaro per seguire gli studi presso l’Accademia di Belle Arti, dove segue il corso di pittura del Prof Gianni Pisani. Prosegue gli studi dal 1977, per poi completarli nel 1980, presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze , seguendo il corso di pittura del professore Gustavo Giulietti.La ricerca pittorica di Mangone inizia proprio in questi anni e grazie ad essa l’autore, appena ventenne, si mantiene agli studi ed instaura rapporti di collaborazione ed amicizia con numerosi artisti, intellettuali e critici d’arte, fra i quali Aldo Braibanti, Antonio di Palma, Gianni Pozzi, Carlo Sain, Gino Tarantino, Alvaro Bracaloni ed altri. Queglianni, ricchi di frequentazioni, lo portano a contatto con diversi artisti stranieri come Kcrista Von Baum e Felicitas Pallat.Negli stessi anni Mangone avvia una intensa attività espositiva in gallerie e spazi pubblici italiani. I numerosi viaggi che Mangone compie in questi anni lo portano a frequentare gli ambienti artistici ed intellettuali di Berlino.
Nel 1990 si trasferisce in Olanda, partecipando a diverse mostre nelle maggiori città olandesi: Amsterdam, l’ Aia, Groningen, etc. attirando l’ interesse del mondo culturale olandese. Realizza una serie di mostre presso l’ Istituto Italiano di Cultura di Amsterdam, presentate da Aldo Braibanti, Alfonso Pecoraro Scanio e Barbara Tosi. Oltre ad opere pittoriche, in Olanda, realizza murales in spazi pubblici come: Metropolitane, teatri, discoteche, parchi; murales commissionati da “Stad-Kunst”, “Greenpeace”, “Amnesty International”, nonchè performance con gruppi rock ed installazioni di materiali. Mangone interrompe questa frenetica attività nel 1995, trasferendosi inizialmente a Berlino e ritornando successivamente in Italia. È qui che instaura un rapporto di lavoro con il gruppo multinazionale Heineken Italia, realizzando una serie limitata di bicchieri per Stella Artois ed una collezione di olii ed acrilici su tela, inseriti nei locali “Heineken gree stage”, sparsi su tutto il territorio italiano.