“Per stare al mondo dobbiamo conoscere il paesaggio. Dobbiamo avere molti luoghi dentro di noi per avere qualche speranza di essere noi stessi.” Nelle parole dello psichiatra Vittorio Lingiardi è possibile cogliere l’importanza d’imparare a riconoscere i luoghi interiori, quale fonte di un possibile ed entusiasmante viaggio verso la consapevolezza, in direzione della trasformazione. Il luogo primario da cui attingere i passi sacri, per educarci a immaginare il futuro, guardandolo con occhi intrisi di bellezza e rivolgerci ad esso in modo più sostenibile favorendo un nuovo modo di abitare la natura.
Ecco allora che nuove realtà di sviluppo ambientale, sociale e artistico interessano il territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Jazzi è il nome della giovane associazione nata nel 2016, preso in prestito dalle antiche dimore temporanee destinate al ricovero degli animali, un tempo utilizzate durante la transumanza; i cosiddetti trulli cilentani, importanti punti di connessione tra paesi, tratturi e pascoli montani.
L’associazione sta realizzando un progetto di ricerca triennale per valorizzare il patrimonio ambientale materiale e immateriale nell’area di Licusati (Camerota), a ovest del monte Bulgheria, per favorire attraverso nuove strategie di sviluppo le attitudini del territorio, del paesaggio e del capitale sociale locale delle aree interne rurali, stimolando la riflessione sulle sue potenzialità inespresse e rigenerare così anche l’ambito di vita relazionale.
Due anni addietro, Jazzi ha indetto un concorso di idee per immaginare collettivamente una nuova destinazione da dare a queste strutture, chiamando artisti, architetti, paesaggisti, camminatori, naturalisti, creativi, innovatori sociali, designer, studenti, associazioni, comunità di ogni provenienza per attivare idee di accoglienza e nuovi modi di guardare i luoghi che già esistono; e recuperarne la memoria, attraverso una visione più contemporanea. Un progetto che vede coinvolti diversi attori della cultura: basti pensare ai suoi fondatori, i quali raccolgono un corpo di esperienze abbastanza diversificate tra loro. Restaurare uno jazzo a quota 652 metri può essere una sensibile ed entusiasmante esperienza di apertura sul territorio, per far nascere, crescere nuove idee e per combattere l’isolamento, presente in gran parte delle aree interne del Cilento, percepite come “aree deboli” e che molti suoi abitanti avvertono come profondo disagio, lamentando la persistente incomunicabilità tra i comuni, diventati ormai delle isole. Ciò che incide più significativamente e negativamente su questi luoghi, impedendone lo sviluppo. Un paesaggio dall’incommensurata bellezza, così sfuggente, frammentata, diversificata, concentrata in un’area tanto ridotta deve dar da pensare: cosa fare di tutta questa ricchezza obliata? Le nostre erbe, il miele, l’aria, il silenzio, le ceramiche, l’uncinetto: ogni cosa va accudita di queste nostre terre. (Franco Arminio)
Jazzi pensa che prima di ogni altra cosa bisogna imparare a riconoscere ciò che di prezioso abbiamo, per poterlo successivamente apprezzare, abbracciando anche i suoi risvolti più sconcertanti.
E’ ciò che è avvenuto lo scorso week-end con il laboratorio Camminato, iniziativa promossa dall’associazione, che ha avuto come ospite l’artista piacentina Claudia Losi, classe 1971. Il primo incontro di tre appuntamenti collettivi per indagare insieme la relazione tra spazio e immaginario, tra viaggio e memoria, per riflettere sul paesaggio cilentano e sui suoi potenziali stati di rigenerazione.
All’appuntamento hanno preso parte anche il naturalista Arnaldo Iudici, originario di Casaletto Spartano, il noto scrittore e critico letterario Marco Belpoliti, l’antropologo Matteo Meschiari studioso di ecologia culturale e arte preistorica, insieme ai membri fondatori dell’associazione: Liviano Mariella (attivista sociale Recollocal), Agostino Riitano (project manager supervisor Area Cultura Matera 2019), Katia Anguelova (curatrice d’arte a Kunstverein e Artline Milano). Bisogna esperire i luoghi reali fisicamente prima di poterli nuovamente immaginare e ripensare, penetrare il paesaggio con la mente camminando. (Landscape – Mindscape- Walkscape).
Inoltrarsi nell’orizzonte perduto di ciò che ancora non si conosce e rinnovare così l’esperienza di attraversamento. Un atto partecipativo che coinvolge in maniera attiva lo sguardo. Diventiamo camminatori attivi per cercare di definire l’essenziale densità del paesaggio, e cogliere i nodi inestricabili della sua marginalità; Cercare di ritagliare un’esperienza autentica. L’intero corpo del camminatore sente le tensioni direzionali e gli orientamenti espressivi del mondo circostante: intuibili attraverso il coinvolgimento sensoriale tattile dei piedi e di tutto il corpo che attraversando il paesaggio disegna linee e forme immaginarie, assoggettando il tempo a uno spazio soggettivo.
Il viaggio fa parte della nostra ricerca. Come collezionisti di spazi percorriamo la nostra terra alla scoperta di modi di vita, di pratiche artigianali, di utensili, di nuovi modi di dipingere e di scrivere, che sono fonte d’ispirazione e di arricchimento. Ritroviamo nel camminare una sorta di evasione che è raddoppiata dalla scoperta dell’altrove, capace di regalarci un nuovo sguardo su noi stessi e sugli altri.
Ci si accorpa silenti, passo dopo passo, per raggiungere insieme la cima del monte Bulgheria. Percorriamo il sentiero che porta fin sopra il monte, partendo dalla piazza della chiesa dell’Annunziata, lasciandoci dietro il chiaro orizzonte del mare coperto dal bianco cielo che porta dentro di sé il grigio luminoso e schiarito del paesaggio roccioso. A guidarci è soprattutto l’ascolto del silenzio. Salendo, a mano a mano, si aprono meravigliosi scorci panoramici su Marina di Camerota e verso Palinuro.
Si tratta di un sentiero ripido che inizia a farsi spazio tra i terrazzamenti di ulivi, il cui suolo, di origine calcarea, è per lo più arido e sassoso, vivificato da una bassa vegetazione cespugliosa. Resa tale grazie alla costante potatura degli animali che vi risiedono, i quali brucando portano tutto a una impeccabile altezza. Noto, inoltre, con stupore che tutte le piante possiedono una meravigliosa forma circolare, a pianta aurea, come avvolte da una forza centrifuga, racchiuse in una sorta di spirale, causa il vento che le acconcia secondo la propria direzione.
Ci inoltriamo lentamente in questo splendido paesaggio pietroso per riflettere sull’interazione tra i luoghi, le persone e le diverse culture che hanno abitato il posto, andando nella nostra memoria a scavarne le tracce. Giunti alla radura della Cropana, con l’aiuto di Matteo Meschiari, elaboriamo un esercizio del cammino lento, adottando un passo contrario dal normale tacco e punta, ricalibrando così il nostro corpo su punta e tacco, in maniera da acquisire una nuova e diversa percezione dello spazio.
L’indicazione è quella di percepire il proprio corpo in uno sguardo rivolto al presente, e di rendere lo spazio come un fenomeno da percorrere, uno spazio ricettivo entro cui accogliere le proprie percezioni e risuonare intimamente con le vibrazioni dei fili d’erba; integrando il silenzio degli altri. Tutto ciò per acquisire insieme nuove velocità, nuove dimensioni spaziali, capaci di trasformare la nostra alterità e la nostra soggettività.
E’ nella gaia possibilità di riuscire a potenziare e a moltiplicare la forza del nostro immaginario collettivo, che intravediamo il cambiamento antropologico nel quale progrediamo alle prese con la nuova era digitale. Avanziamo a passo silenzioso nel paesaggio, come se fossimo dei cacciatori; ciò che l’antropologo Matteo Meschiari definisce “un grande animale da non farsi sfuggire” per una ricognizione della propria presenza nell’ambiente.Tutti uniti in un cammino con la gelida tramontana che spira contro i visi ad avvolgersi nell’ambiente, condividendolo con chi è vicino, allo scopo di cambiare.
Sullo sfondo silenzioso appare improvvisamente la chiara immagine di una convincente promessa: è il racconto di Arnaldo, che portando lo sguardo verso gli squarci di luce più bassi, giù sull’azzurro mare, e levandolo poi fin sopra il cielo alla ricerca di qualche merlo, ci suggerisce di pensare all’Italia come alla più grande piazza del Mediterraneo, al cui centro, proprio come in ogni piazza che si rispetti, si erge il suo più bel monumento: lo Stromboli, che funge da base di appoggio agli uccelli migratori. La temporanea sosta sull’isola permette loro di rifocillarsi per proseguire più lontano; fin qui, sul monte Bulgheria, per accedere a una delle zone d’Europa più ricche di biodiversità e forme di popolamento endemiche.
Partendo da una riflessione sullo spazio della visione, questo laboratorio risponde a uno spettro ampio di questioni relative al paesaggio mediterraneo: una riflessione sul ruolo simbolico, nella percezione contemporanea, delle reti invisibili che mettono in connessione i diversi paesi del Cilento, con la speranza che la sua identità possa rivivere rigenerata.