“Libertà, l’ho vista dormire nei campi coltivali, a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato“, cantava Fabrizio De André parlando del suonatore Jones. La libertà non è una meta o la fuga da un posto, piuttosto la condizione che porta a far respirare l’anima e alleggerire i pesi della vita, osservandoli e sfiorandoli da una prospettiva nuova. Quasi sopraelevata. Dalla sua prospettiva sopraelevata e fatta di campi coltivati, terra e antichi fasti, Giuseppe Spagnuolo osserva lo scorrere della modernità, l’affastellarsi di questo ricambio generazionale e di questa nuova società liquida, proiettata verso il culto del virtuale e l’adorazione della tecnologia e della socialità surrogata; osserva, sfiora e scruta, ma non si lascia mai toccare dall’alito del virtuale e del contingente. Impegnato a vivere nella Pompei del ‘900, come qualcuno ha chiamato Roscigno Vecchia, Giuseppe Spagnuolo si gode quella libertà che a molti sembrerebbe un salto nell’abisso o un assaggio di baratro, perché è l’ultimo abitante di un paese che, fino a poco tempo fa, non figurava neppure sulle carte geografiche. Rimanere completamente da soli con se stessi, col rumore del vento che fa capolino tra i sassi e i ruderi di un borgo spopolato e con tramonti che coprono un’atavica solitudine, fa paura. Ma Giuseppe non ne ha, si fa chiamare Libero. Potrebbe benissimo figurare tra i personaggi dell’Antologia di Spoon River di cui De Andrè scrisse e cantò, perché la sua vita ha il sapore del romanzo o forse i toni sfumati dell’elegia. Si fa chiamare Libero perché vivere tra le pietre e i calli del suo paese è una scelta libera e inequivocabile, dettata dagli impulsi involontari del cuore, e preferisce essere definito non l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia, bensì il primo del terzo millennio. Quante storie avrà Giuseppe da raccontare, affacciato alla sua finestra che abbraccia il passato e il presente? I suoi occhi avranno osservato tanta vita, tante albe e tramonti, con la stessa intensità con cui ora osservano un nulla che ha il sapore speciale della conquista. All’inizio del Novecento il borgo venne dichiarato inagibile, franoso, e si partì dalla costruzione di un nuovo paese, ma Giuseppe, a dispetto dell’ordinanza che risaliva agli albori del secolo, decise di rimanere nel suo lembo di terra e anima. Dopo un’esperienza come carpentiere al Nord Italia, decise, in un atto rivoluzionario, che non c’era nulla di più appropriato alla sua anima se non i suoi paesaggi e i suoi luoghi, e ora tesse le trame dell’elegia della sua vita, scrutando gli anni da quella finestra che è sempre spalancata sul mondo, nonostante l’isolamento a cui tutti la ricollegano.
Soltanto un neo, un cruccio, increspa il suo animo: il desiderio di una maggiore valorizzazione della cultura dei beni e una consapevolezza del patrimonio di cui si dispone. Affinché Roscigno Vecchia diventi parte attiva della storia del Cilento interno e non soltanto la guest star di qualche sporadica apparizione cinematografica.