Lo si dica subito: la libertà di stampa ne esce bene nel caso De Luca. In un paese in cui la cronaca giudiziaria si riduce al reciproco incensarsi di giornalisti e toghe, con lo scambio sottobanco di carte, ai giornalisti di Fanpage va comunque l’apprezzamento di chi intende ancora la libertà di stampa come esercizio critico della libertà di pensiero e non come costituzione di cricche carrieristiche. Ma a spanne e senza troppi cavilli si deve pur dire che esiste una profonda differenza tra un agente provocatore ed un agente sottocopertura. Chi provoca, chiunque provochi qualcuno a commettere un reato ne risponde. Ed, infatti, i giornalisti di Fanpage sono finiti indagati.
La provocazione è materia delicata. Affligge l’umanità sin dai suoi più simbolici albori: «E Dio disse:… “Hai tu mangiato del frutto dell’albero del quale io t’avevo comandato di non mangiare?” L’uomo rispose: “La donna che tu m’hai messa accanto, è lei che m’ha dato del frutto dell’albero, e io n’ho mangiato”. E l’Eterno Iddio disse alla donna: “Perché hai fatto questo?” E la donna rispose: “Il serpente mi ha sedotta, ed io ne ho mangiato”» (Genesi, 3, 11- 13). Il provocatore è il demonio per eccellenza. Papa Francesco ha in mente da qualche tempo di riscrivere il Padre nostro abolendo quel «non ci indurre in tentazione» che così poco si addice alla tenerezza divina.
Molto, ma molto tempo dopo e molto, ma molto più in fondo si staglia il caso De Luca con il figlio del potente ras politico campano finito nel reticolo di un famigerato affabulatore giudiziario (un ex pentito di un certo spessore) e di una redazione giornalistica agguerrita e coraggiosa.
Lo si dica subito: la libertà di stampa ne esce bene in questo scorcio di vicenda. In un paese in cui la cronaca giudiziaria si riduce, spesso e con poche eccezioni, al reciproco incensarsi di giornalisti e toghe, con lo scambio sottobanco di carte, ai giornalisti di Fanpage deve andare, comunque, l’apprezzamento di chi intende ancora la libertà di stampa come esercizio critico della libertà di pensiero e non come costituzione di cricche carrieristiche.
Punto e capo. A spanne e senza troppi cavilli si deve pur dire che esiste una profonda differenza tra un agente provocatore ed un agente sottocopertura. Il primo caso non ha alcuno spazio nell’ordinamento italiano. Chi provoca, chiunque provochi qualcuno a commettere un reato ne risponde. Ed, infatti, i giornalisti di Fanpage sono finiti indagati per induzione alla corruzione. Un’iscrizione tecnicamente impeccabile, anche se è difficile ipotizzare che si possano condannare per un reato così infamante i redattori che hanno portato tutto in Procura a Napoli e tempo or sono. Manca chiaramente l’elemento soggettivo del reato. Almeno pare. L’agente sottocopertura è, invece, previsto per una moltitudine di delitti. Una vera lenzuolata, contenuta in un articolo di una legge del 2006, che corre dal riciclaggio alla tratta di persona, dalla pedopornografia al traffico di armi e così via. L’agente sottocopertura, a patto che sia un ufficiale di polizia o un soggetto espressamente autorizzato, non risponde di alcun reato ovviamente.
Non bisogna aver visto Serpico o The Departed per comprendere che le attività sottocopertura sono indispensabili per accertare gravi reati. L’agente sottocopertura, però, non provoca e non istiga. Coopera con i colpevoli, li aiuta se del caso, svolge mansioni illecite anche importanti, ma non spinge nessuno a commettere un reato. Si limita a prendere atto delle intenzioni delittuose altrui. E’ il testimone di reati, non il sobillatore.
Ora hanno ragione coloro che guardano con preoccupazione agli agenti provocatori e ne temono le iniziative. Pensano che sia demoniaco darsi da fare per cacciare Adamo ed Eva dal paradiso terrestre con la promessa di succose e saporite mele e credono che le debolezze degli uomini e delle donne meritino rispetto. I cattivi pensieri vanno scacciati, non alimentati. Il processo non serve a dare la caccia ai malintenzionati, ma a punire coloro che attuano e realizzano cattive intenzioni. Altrimenti, ultima citazione giuro, Minority Report è alle porte. Gli investigatori potrebbero divenire un giorno tanto bravi da poter scoprire persino i cattivi pensieri e le pessime intenzioni di tutti. Però.
Però è anche vero che la legge italiana non consente gli agenti sottocopertura per due sole categorie di gravi reati: l’associazione mafiosa e la corruzione. Negli anni ogni tentativo di porre rimedio a questa, come chiamarla, singolare lacuna è andato a vuoto, ma nel gran clamore dell’affaire De Luca nessuno ne parla. Invece di crocifiggere i “provocati” di turno si farebbe meglio a riporre il serpente nella sua cesta e a togliere di mano il flauto ad avventurieri di vario genere. D’altronde si leggeva poche settimane or sono «India: la crisi dei Saperas, gli incantatori di serpenti» (Repubblica.it del 21 gennaio), in Italia invece.
* MAGISTRATO