Montevideo ci accoglie con una bella giornata di sole. Il traghetto, della società BuqueBus, con il quale facciamo la traversata del fiume più largo del mondo è moderno e accogliente e viaggia stracarico con oltre 2000 persone.
Il porto di Montevideo è a due passi dalla città vecchia oggi trasformata in un centro commerciale naturale con fulcro lo storico mercato del porto coperto.
Chiediamo indicazioni per raggiungere l’hotel Columbia che abbiamo prenotato, e lo raggiungiamo attraversando stradine delimitate da casette basse, a volte colorate, ma oggettivamente precarie.
Quando arriviamo in faccia al fiume, i troviamo di fronte un’immensa distesa d’acqua arginata da un’alta muraglia sulla quale poggia un largo marciapiedi che fa da sfondo alla strada costiera che porta alla Punta de l’Este.
Sulla sinistra intravediamo il Columbia della catena NH.
Il tempo per un rapido check in, depositare la valigia in camere e via per le strade di Montevideo ad immergerci nella storia messa in evidenza da piazze, palazzi, targhe, statue …
In. Questa città sono approdati migliaia di nostri connazionali provenienti da terre aride e difficili da coltivare. Qui hanno trovato acqua a volontà e terre pianeggianti fatte apposta per rendere all’uomo conto della fatica fatta con braccia condita con il sudore.
Come è successo a noi, la sorpresa più grande è quella di trovarsi di fronte ad un fiume, il Rio de Plata, che si fa mare in una foce immensa eh si allarga in una baia tranquilla che è il sogno di ogni navigatore attraversa l’Atlantico.
Pranziamo nella piazzetta dove è posta la facciata della cattedrale, poi torniamo in al Columbia per incontrare Mharta Troccoli, origini di Camerota e pronipote di Pietro Troccoli une dei tre patrioti che affrontarono un viaggio incredibile per arrivare proprio a Montevideo.
Partono nel 1869 su una barca a vela di poco meno di 9 metri per portare la spada della vittoria a Giuseppe Garibaldi che qui combatti per il risorgimento dei popoli dell’America meridionale contro il dominio spagnolo (di questo parleremo in un altro capitolo).
La sera la passiamo a girovagare per la città … incrociamo un gruppo di Uruguagy che si preparano alla sfilata di Carnevale, giovani che giocano a calcio negli spazi verdi che non mancano, anziani che trasformano una piazza in balera per ballare il tango … un ristorante dal nome Bartolomeo, adiacente al teatro della città, attira la nostra attenzione e varchiamo la soglia.
La serata dolce di questa ormai quasi deserta ci invita a camminarla ancora per un po’…
La domenica ci coglie di sorpresa! Le strade sono deserte, tutto è “cerrado”, fatichiamo a trovare un posto per fare colazione.
Decidiamo di approfittare del bar dell’hotel dove attendiamo la visita di Vincenza Di Pasquale di Agropoli.
Lei nasce in Italia ed è portata in Uruguay dai genitori all’età di 14 mesi. Con lei c’è la figlia, Marina, architetto che è in partenza per un master a Barcellona. La sua famiglia, dopo un inizio difficile come quello che caratterizza ogni arrivo in terra straniera dei migranti, tornano alla terra e da un campo fuori città traggono i prodotti coltivati e venduti. Tutt’oggi ciò che comincia suo padre nel 1948 ancora produce reddito e benessere per la famiglia ingrandita.
Alla fine dell’intervista, Vincenza e Marina si offrono di accompagnarci a fare un giro per la città. Accettiamo volentieri e partiamo alla volta del Cerro il quartiere dove gli emigranti italiani trovano alloggio appena sbarcati. È uno dei posti più belli Montevideo perché è posto su una collina e domina la laguna e la città. Purtroppo oggi lascia un po’ a desiderare, ma i suoi colori, le casette abbracciate l’una all’altra senza soluzione di continuità e la vivacità del mercato che attraversiamo rendono bene l’idea di cosa può essere stato questo luogo quando ad ogni arrivo dei nave dall’Italia scemavano centinaia di persone abbagliate dal sole, traballanti per aver toccato la terra ferma dopo un mese di navigazione e speranzose di incontrate chi aveva promesso loro ospitalità.
Saliamo anche in cima alla collina dove si trova il forte trasformato in museo della guerra. La struttura, che nelle sue viscere ha anche una prigione, raccoglie armi e cartine del’800 e sulle pareti si possono leggere informazioni sul risorgimento Uruguaiano e dell’America latina in generale.
Con Vincenza e Marina scendiamo verso il mare passando verso io quartiere del Barro, una immensa distesa verde con alberi secolari sono incastonate ville in stile inglese un tempo abitate dalla classe dirigente di colonizzatori inglesi. Ai margini anche la residenza ufficiale del presidente in carica dell’Uruguay.
Ci facciamo lasciare dalle nostre gentili accompagnatrici nei pressi del porto dove troviamo una vivacità incredibile di persone. I locali situati nella zona pedonale, negozi, bar e ristoranti, sono strapieni. Le vie sono occupate da turisti scesi da una nave della Costa crociera appena attraccata. Sullo sfondo un rullare di tamburi e un vociare presente ma che non disturba. Intanto che Gina gira per negozi a curiosare, io leggo il giornale seduto su una panchina. Sento una voce italiana che si intrattiene al telefono con l’altra parte del mondo. È un giovane che parla di lavoro e sembra in attesa di passare il tempo prima di imbarcarsi su qualche nave in partenza nel vicino porto. Lo abbordo chiedendogli da che parte dell’Italia proviene.
È un Siciliano che di professione fa l’accertatore di qualità sulle navi di crociera di Costa. Vive a Buenos Aires da tre anni e torna a casa con una certa regolarità per le ferie.
Il pensiero va ai tanti giovani come lui che nello stesso porto di Montevideo, per oltre 100 anni, sono sbarcati con una valigia di cartone per cercare la fortuna di una vita che valeva la pena di essere vissuta e darne altre ai figli insieme ad una donna fatta arrivare o trovata in questa terra perché portata o nata da gente di un’Italia minore.