E continua il novembre schivo a consegnarmi ai miei ricordi lontani e sei tu, caro maestro don Giambattista Vico, questa volta ad avanzare alla mia parte tentandomi, come per incanto, a tornare per te in quelle lontane plaghe cilentane di Vatolla, quando il tuo pensiero ardeva e tu eri il “fuoco” di quelle plaghe assolate che il genio del grande avvocato Gerardo Marotta, presidente dell’”Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, resero memorabili. Giornate, che per la partecipazione dei più illuminati filosofi del tempo furono la luce culturale non solo di tutto il Cilento ma del mondo stesso ed in particolare per noi “piccoli” direttori delle tante“Scuole Estive di Alta Formazione in Filosofia” che l’Istituto seminava in tutta Italia e della cui emerita ed alta missione culturale il grande filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, che a Vatolla veniva e veniva solo per te, maestro Vico, ebbe scrivere queste parole: “mi chiedevo se un giorno sarebbe nata un’istituzione che fosse in grado di risvegliare a nuova vita la nostra tradizione culturale ormai irrigidita dalle regole di una società burocraticamente organizzata e finalizzata all’ideale del profitto economico. Era mai possibile una tale istituzione? Oggi, come membro dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici posso affermare che ciò è possibile. […] Spero, pertanto, che questa “nuova” istituzione non resti l’unica, ma sia modello per tutta l’Europa e per tutti quei paesi del mondo che si prefiggano lo scopo di realizzare una cultura libera da rigidi schemi precostituiti, all’insegna di una solidarietà che sia garanzia di pace”. Giornate memorabili che tutte dedicate al valore ed alla lungimiranza del tuo pensiero e fecero del piccolo borgo di Vatolla il centro della cultura filosofica del mondo. Elea era vicina e Parmenide il venerando, con la sua scuola approvava chè un tempo anche lui fu filosofo votato ai destini della città e tu, maestro, per quelle solenni, alte“lectio magistralis” che i tanti filosofi convenuti da tutto il mondo tenevano, eri felice di aprirti e di svelare al mondo i tanti “segreti” illuminanti del tuo pensiero. Intuizioni e lampi di riflessione filosofica che tanto invece ti costarono quando dimorando nel tuo tempo illuminista ti levasti contro il razionalismo gallicano imperante di Cartesio e fosti ombra a quel secolo impettito che volendo fare a meno di Dio si privò del suo “primo motore” e abbandonando quell’antico “parlar con gli dei” si stese “eguale” alla devozione ed alla corruzione della “dea Ragione” considerando dell’uomo solo una parte e fu tragedia quella rivoluzione che pure portando con sé il diritto ridusse il cammino dell’uomo e quindi della storia ad un puro “meccanismo”. Che pur avanzando in modo sempre più perfezionato (!) manca però al suo obiettivo primario risolvendosi in una ottimistica forse troppo autoreferenziale forma di tirannica autarchia, che perdendo ogni legame con il divino riduce il mondo a semplice “là fuori”. Ad una cosa, un oggetto senza vita di cui liberamente godere e senza limiti e che grazie alla forza della “ragione” che ci fornisce mezzi sempre più potenti e terribili fornisce, noi possiamo e dobbiamo liberamente approfittare apparecchiandoci così e questo, maestro, fu il tuo grido, a diventare sempre più abili nel perseguire il nostro ”utile particulare” e sempre meno avvezzi a fare il“bene” !
Il senso del divino che all’origine della nostra storia mosse il nostro primo cammino di civiltà e che non necessariamente doveva coincidere con la gerarchia e la chiesa di Roma che i tuoi contemporanei “philosophes” tanto osteggiarono, non era che quel naturale sentimento che sgorga spontaneo negli uomini quando considerando che “ogni cosa è parte del mondo e il mondo vive in ogni sua parte” si alzano gli occhi al cielo e per il fulmine ne nasce lo stupore che fanno gli dei nostri protettori e non certamente l’universale “re progresso” degli illuministi che rompendo ogni legame con la tradizione, come la proverbiale macchina politica di un tempo, “gioiosamente” avanzerà verso baratro: chè un popolo senza identità è destinato nella “moltitudine dei tanti uguali” a finire! E se il tuo tempo, maestro, ti pesò perché altre furono le priorità e oltre passò l’illuminismo non curandosi del tuo grido pure venne con Benedetto Croce l’ idealismo storico a rivendicarti e fu gloria la tua “Scienza Nuova” e quel tuo primitivo “parlare con gli dei” che originò con il linguaggio la prima “dipintura” e quindi con poesia la scrittura e l’importanza fondamentale della parola e del suo segno che avanzando per i grandi contributi del novecento ha travalicato i confini d’ Italia approdando oltre che in Europa nel mondo, dove, con rinnovato interesse sollevi ed alimenti ancora un dibattito assai fecondo molto vicino a quelle giornate vatolliane in cui ci piaceva ed eravamo felici di farci interrogare dal tuo accertamento del vero che altrimenti si inverava nel certo e cresceva in noi, in me la sete per il sapere ed eri tu, maestro, il nostro lievito e … Vatolla che ostinatamente stretta al palazzotto del suo antico barone, ricordo, che aprendosi all’orizzonte della marina lontana ci portava a sconfinare nella abbondanza del tuo pensiero (e mi perdoni il gran romantico se mi fregerò del suo genio!) dove “ il naufragar m’è dolce” e più non “mi cale” della “nerovestita” chè la tua filosofia, maestro, in quei giorni fu sangue e cuore alla vecchiaia che avanzando reclama la sua parte! Giorni memorabili in cui non il freddo, gallicano, autoreferenziale io penso dunque sono (cogito ergo sum) faceva la storia ma il vero che si converte nello stesso fatto (verum ipsum factum) era la regola ed in quei giorni memorabili che videro il ricordo del grande presidente dell’Istituto l’avvocato Gerardo Marotta, invocare il sangue versato dai patrioti della rivoluzione napoletana del 1799, tutto diventava vanto e gloria e la nostra amata terra meridionale splendeva chè nessuno dopo Vatolla sarebbe più morto! Nemmeno l’uomo che diventato fabbro della sua storia dovrà poi per la ciclica teoria dei “corsi e dei ricorsi storici” fatalmente allontanarsi da quel suo primitivo sentimento del divino che lo aveva spinto verso la civilizzazione e dovrà imbarbarirsi decadendo fino a ripartire per un nuovo cominciamento che pure più elevato stadio, godendo l’uomo della sua libertà, tutto si dispiegherà di nuovo per lo stesso processo triadico. E sarà l’alba di un nuovo “corso” e degli dei quando ”gli uomini dapprima sentono senza avvertire” e poi nel meriggio con gli eroi “avvertono con animo perturbato e commosso” per arrivare alla sera quando gli uomini ancora una volta “riflettendo con mente pura” si consegneranno per le “sottigliezze degli ingegni ambiziosi” che non rinunciando alla loro superbia si priveranno di Dio e degli dei e per le loro“sfrenate passioni” decretando con ”l’oblio di Dio” la morte dell’uomo, tu solo,maestro, vivrai che tu solo in quel secolo infausto del “parlar con gli dei” ne avesti grande modo e misura!
Questo, nella pienezza di quelle lontane giornate vatolliane, maestro, il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore antimeridiane di lunedì 4 dicembre 2017)