Quante volte all’imbrunire di questo novembre schivo consegnandomi volentieri ai miei ricordi, ti ho visto, maestro, negli ultimi anni della tua vita seduto su quella enorme sedia mobile, oltre la feroce malattia che ti divorava, sempre vivo, pronto come sempre a trafiggere con i tuoi improvvisi lampi di genio il buio “assordante” di quella affollata stanza dove, sotto il governo “vigile ed attento” di tua sorella Elisabetta, in teoria di uomini e di tante domande veniva la filosofia a interrogarsi cercando “accrediti” alla tua grandezza. E tu, maestro, in silenzio sempre annuivi concedendo a tua sorella il privilegio del tuo pensiero danzante. Il rovesciamento, come accadde, anche di quel non-luogo del tuo pensiero che non fu mai stato scritto e che solo gli incubi matrimoniali di tua sorella, sposata Forster abilitarono alla deriva. E tu annuivi in silenzio chè senza più voce non potevi anche se tu sapevi e nelle more di quella maledetta nebbia che talvolta diradava, tu vedevi e intravedevi ma poi inesorabile cadevi e assente al tanto al troppo “rumore” che ti assediava ricadevi nel tuo silenzio, perché … maestro, tu eri e sei Federico Nietzsche, il grande filosofo, colui che per “un libro per tutti e per nessuno” come tu stesso sottotitolasti, dopo secoli di catene consegnasti l’uomo ad una nuova aurora esistenziale dove in “un mondo così sovranamente ricco di cose belle, ignote,problematiche, terribili e divine” gli regalasti l’ ebbra potenza della danza che sola svelerà il segreto nascosto di colui che danzando sull’abisso si salvò sconfiggendo la paura, chè, come cantava il gran poeta, è “nell’incombere del pericolo che si annida la salvezza”!
Solo infatti oltrepassando l’ammiccante “piacerucolo” diurno e notturno del piccolo ultimo uomo che come la ripugnante “schiatta dei pidocchi” vuole sopravvivere gridando“noi abbiamo inventato la felicità” si può, rovesciando con la cattedra l’antica tavola dei valori, come il saggio e vecchio Zarathustra ,volere di essere quello che siamo e pure impedito dagli anni provare, per la “nuova felicità ” a danzare, chè solo la danza per natura mutando continuamente i suoi passi inganna il centro di gravita e volteggiando leggera nell’aria può sfociare in una “esondante,lussuosa plenitudine” e godere finalmente in sé, per sé e con sé dell’antica, nuova alba danzante. Il suo passo sciolto, aperto e fuggitivo è l’unico infatti “senza freno e fluente a ritroso in se stesso” e sempre nelle sue movenze vago eppure solenne, nemico dichiarato dello “spirito di gravità” la danza con i suoi ondeggiamenti ubiquitarii ne rovescia gli statuti ed apre all’abbondanza esistenziale del nuovo annuncio che: “l’uomo va superato” e oltre bisogna travalicare per ritornare ad essere quello che una volta eravamo: il seme della terra! E “scansate fratelli”, ricordo continuavi,maestro, tutti coloro che hanno“i piedi pesanti e cuori afosi e non sanno danzare. Come potrebbe per costoro la terra essere leggera? Levate piuttosto i vostri cuori, fratelli, in alto!Più in alto! … Levate anche le gambe, o bravi danzatori, o meglio ancora: mettetevi a capo all’ingiù” e oltre le vecchie tavole torni sulla terra a imperare l’arcano delirio del dio danzatore che scacciato il“vecchio nemico” “si danzi e si passi oltre danzando” chè niente dopo l’annuncio al mondo del profeta Zarathustra rimarrà uguale!
E se Zarathustra, che un tempo fu uomo pure lui, dopo aver “goduto” senza stancarsi per dieci anni del proprio spirito e della propria solitudine, guardando una sera il sole ad occidente della sua sacra montagna che tramontava basso ebbe nostalgia e volle come il grande astro nel suo cuore tramontare. Anche tu, maestro, venisti e scendendo di nascosto tra noi, allora giovani studenti, “ come l’ape che ha raccolto troppo miele” ci tendesti le tue mani e cingendoci con le tue opere i fianchi ci incamminasti “al di là del bene e del male” a godere della buona novella!
E quando gli ideali erano ancora alti e fatale occupava la protesta la nostra giovane età, noi ci incamminammo ed imparando per la tua critica a scrutare “le reni ed il cuore” della nostra attuale civiltà occidentale pervenimmo al senso profondo della nostra vita e scoprendone poi il suo doppio inutilmente tentammo di metterci al riparo chè allora imperava di quel primo principio in cui l’uno diventa il molto e incontrastato regnando di Eraclito il “panta rei” noi fummo travolti e non mai bagnandoci due volte nella stessa acqua ci disponemmo al tuo cammino e a ritroso tentammo quelle tre metamorfosi dello spirito che ancora dopo tanti anni che la mia vita si è fatta molto più avanti e a larghi passi avanza la “nerovestita ancora rimangono inevase e senza approdo vago consumandomi tra “gli studi leggiadri …e le sudate carte” prigioniero come sono, legato alle mie catene! Eppure mi sembra, ancora ieri per quelle rumorose vie affollate della vecchia città di “Vacca Pezzata” in festa, di sentirti gridare,fratelli, “io vi comando di come l’uomo diventa cammello e il cammello leone e per ultimo il leone fanciullo” e come gli uomini passavano veloci senza ascoltare con le loro molte mercanzie chè diversa e ignota era con la tua lingua il tuo novello annuncio.. ma io ci provai e tu lo sai, maestro, perché tu c’eri,maestro, in quel primo anno napoletano che mi vedi nel silenzio prima insieme al tuo cammello essere“tu devi” e poi nel frastuono di quelle caotiche assemblee con il tuo leone essere “io voglio” ma mi mancò il terzo chè tutti fummo una sol cosa e con la coerenza senza l’innocenza non venne la benefica “dimenticanza” e non fui mai “io sono” il fanciullo antico che “inebriato si contraddice, si riascolta e si riappartiene” e valica i confini della apparenza e volentieri si getta in quella “gaia baldanza degli dei” che fu la prima danza del dio Dioniso, il dio fremente che danzando sull’abisso consegnò, cedendo all’uomo il privilegio del suo destino, la … salvezza!
E se anch’io tentai naufragando nel vasto mare dell’”io voglio” e continuando senza approdo avanzai ostinato alla deriva, pure ti fui discepolo ed oggi che dopo tanti anni chiudendo questa mia lettera per te, io ti vedo, maestro, ed io ti amo e se fanciullo non tornato non ho tuttora ancora imparato a danzare … pure questa sera per te, maestro, colpirò la terra con il mio piede ed al ritmo battente dei cembali mi getterò nell’aria volteggiando e come le foglie in autunno io danzerò,danzerò finchè ricadendo con il mio antico“fanciullo” dentro potrò finalmente gridare: “Zarathustra è maturato, la mia ora è venuta. Questa sera sarà il mio mattino, il mio giorno incomincia: alzati,alzati, grande meriggio!”
Questo, nella melanconia del novembre schivo,maestro, il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore di lunedì 27 novembre dell’anno 2017)