Accade che la tradizione, la spiritualità e le reminiscenze più sottili si mescolino fino a liquefarsi nel fondo più antico del ricordo, dove non vi è differenza alcuna tra la memoria individuale e quella collettiva. La memoria individuale perde i propri labili contorni per inserirsi nella dimensione dei sensi, del folklore e della condivisione, dove ogni cosa appare sublimata e trasfigurata: è certamente il caso del pellegrinaggio al Sacro Monte, che dal borgo di Bellosguardo si snoda fino al Santuario di Novi Velia. Abbiamo parlato con Giuseppe Troncone, che ci ha fornito un racconto cronachistico di ciò che accade in questo comune dell’entroterra durante la stagione estiva. Il pellegrinaggio quest’anno si è tenuto alla fine del mese di luglio, e ha visto, come di consueto, la partecipazione di una nutrita “Compagnia” (questo il nome di cui si fregiano i fedeli e i partecipanti, in generale, al cammino) e l’organizzazione di Don Nicola Coiro; le tradizioni di rito sono state rispettate, a cominciare dalla benedizione del bastone del pellegrino fino all’ormai consolidata celebrazione nella chiesa conventuale (seguita dalla processione preceduta da una “centa”, ossia una barca composta da candele benedette e portata sul capo in segno di devozione alla Madonna). Da qui, come narra Troncone, sono stati circa una cinquantina gli astanti che si sono incamminati alla volta della prima tappa, ossia il comune di Villa Littorio, dove si è avuta occasione di vivere un momento conviviale e di preghiera, ma soprattutto di accoglienza: le signore del luogo hanno offerto un piatto di pasta ai pellegrini e ci si è raccolti in preghiera per recuperare il vigore necessario per riprendere il cammino di fede. La seconda tappa del viaggio è stata Campora: un campo sportivo, corredato di spogliatoi, è stato messo a disposizione dei pellegrini, in modo da fornire ristoro per la prima parte del cammino. La seconda parte del viaggio si è snodata tra i boschi che conducono nei pressi di Moio della Civitella e la Retara: le ombre e la frescura degli alberi, dei boschi e della rugiada di primo mattino hanno accompagnato i fedeli, che hanno trovato refrigerio presso la caratteristica fontana giacché la calura estiva può mettere a dura prova anche gli animi più temprati e motivati. L’ultima tappa del viaggio, ossia l’approdo, è stata ovviamente Novi Velia, sede del Santuario: un centro polifunzionale è stato messo a disposizione dei viandanti, e, come ci narra Troncone, sono giunti anche ulteriori pellegrini con le proprie auto e con i pullman: non soltanto persone di Bellosguardo, ma anche di altri comuni del comprensorio, fino a portare il gruppo dai circa cinquanta iniziale ad altre cento persone. Il resto del racconto si snoda tra le sorgenti della memoria e quelle dei rituali, fissati e cristallizzati nel tempo, che non smettono mai di esercitare il loro fascino antico: dalla tradizione della Via Crucis, (ciascuno ha letto una delle stazioni), fino ai tre tradizionali giri attorno alla chiesa, passando per la celebrazione di Don Nicola Coiro. Il momento più toccante (e catartico) è stato quello del saluto alla Madonna: un saluto corale, sentito e viscerale. Il serpente umano della folla dei pellegrini ha intonato canti alla Madonna, fissando la sua statua: durante il canto, il serpente umano ha cominciato a retrocedere, come mosso da una sorta di estasi collettiva, una estasi corale, collettiva e primordiale. Un rito tanto primitivo quanto spirituale, tanto sentito quanto spiazzante, che ha provocato il pianto in quasi tutti i fedeli. Anche chi non ha convinzioni religiosi così forti e ferree, o chi ancora non ha trovato la propria strada spirituale, è rimasto folgorato dal fervore intenso dell’atmosfera del pellegrinaggio, dove il clima è carico di devozione, amore, condivisione e incenso. Giuseppe Troncone ha tenuto a ricordare Enrico Capo, che ha lasciato la comunità bellosguardese due anni fa: era l’anima, il perno del gruppo di pellegrini, e anche nel suo ricordo si continua a viaggiare, camminare e solcare la terra, per portare un seme di amicizia e condivisione anche in suo nome. Perché la terra calpestata dai pellegrini sia frutto dell’amore del sorriso di Enrico.
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