Il Vangelo pone due questioni a chi desidera una vita autentica; con la prima invita a riflettere sulla scelta tra essere ed apparire, la seconda mette in guardia contro la bramosia del potere. La contesa descritta da Matteo fa riferimento agli atteggiamenti di grave simulazione dei farisei per ottenere vantaggi personali in termini di stima e prestigio religioso e sociale procedendo alla sistematica scissione fra dire e fare, vivendo di apparenza lontano da Dio, anche se all’esterno si ostentano devozioni finalizzate all’affermazione vanitosa del proprio io ammirato dal pubblico. Gesù, invece, rovescia l’idea di grandezza utilizzando come metro di misura l’amore verso i fratelli. Infatti, nel Regno i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi senza divisioni tra maestri e servi perché il servo migliore sarà vero maestro e, a questo proposito, Gesù offre un esempio sublime. Anche in questa occasione Egli non si comporta come l’ipocrita moralista che invoca leggi dure per gli altri e per questo si sente giusto, quindi pretende di essere vicino a Dio.
Nel passo riportato Gesù stigmatizza anche la bramosia di potere e l’attaccamento ad esso. Perciò invita a non farsi chiamare maestro procedendo ad un significativo capovolgimento: il più grande è colui che serve; infatti per fiorire nello spirito l’uomo ha bisogno di amore e non di ricchezze materiali, assoluta novità di Gesù. Egli annunzia: Dio è il grande servitore dell’umanità perché è Amore che crea e salva. Così smaschera la falsa religiosità di chi è pronto a sollecitare privilegi per ostentarli, affermazione che trova severa eco nel passo di Malachia contro i sacerdoti del tempio, divenuti inciampo per le fede e la salvezza del popolo. Se gli altri cercano la fama, il successo, applausi e consenso, i seguaci di Gesù devono comportarsi differentemente. Per seguire il maestro occorre superare l’insidia della ricerca del posto d’onore e praticare l’umiltà contemplando Gesù, mite e umile di cuore.
Oggi s’incontrano tanti fedeli senza Cristo, segnati dalla malattia dei farisei perché spalmano la loro fede, le pratiche religiose, il loro essere cristiani in tanti comandamenti, ma rimangono senza Cristo perché intenti solo a moltiplicare pratiche devozionali. Il cristiano è con Cristo se pratica ciò che porta a Lui e ricorda che la Parola di Dio coinvolge tutti, anche i credenti non credibili, perché libera dall’incoerenza tra il dire e il fare.
Il Vangelo descrive Gesù, che conosce quanto sono deboli i suoi fratelli sempre premuroso verso i deboli, come il pastore che si carica sulle spalle la pecora perduta per facilitarne il ritorno all’ovile. Egli é attento alle fragilità, come quelle della samaritana affetta da grande sete di misericordia. Gesù non é mai severo contro le incertezze dei piccoli, ma condanna i potenti ipocriti. Non é intransigente con chi non riesce a vivere in pienezza il vangelo, ma è molto duro con l’ipocrisia di chi non ne coglie l’ideale, rifiuta d’incamminarsi verso il Regno e pretende di appartenervi reputandosi modello di giustizia. Egli richiede non di essere già perfetti ma disponibili ad iniziare il pellegrinaggio verso questa meta dello spirito alieni da vanità che condannano ad una continua recitazione per essere ammirati.
Servo è la più scioccante qualifica che Gesù si è attribuita perché ha scelto di vivere non per sé, ma porre riparo alle nefaste conseguenza di una umanità che coniuga egoisticamente i verbi avere, emergere, comandare. A questi Egli oppone invece la benedizione delle azioni significate dai verbi dare, umiliarsi, servire, ricetta per la felicità assicurata dalla pace del proprio animo e della famiglia umana nel suo complesso.