Maestro Costantinos Kavafis, era da tanto che desideravo di scriverti ma sempre mi cadeva la stanca mano e ristavo silenzioso ed inerte sul foglio bianco in attesa quando questa sera all’improvviso è venuta “Itaca” a visitarmi ( la poesia tua forse più bella!) e come il tuo Ulisse, il tuo grande eroe, anch’io mi sono messo in cammino e con la meta fissa “sempre devi avere in mente, Itaca,raggiungerla sia il tuo pensiero costante” sono venuto verso di te, alla tua grande poesia dove un dì, per i tuoi “versi liberi, modernissimi e vetusti”, scoprii l’inganno del tempo senza vecchiaia che inesorabilmente avanzando “nell’attesa di perderci nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta” tu attraversasti nella antica solitudine dell’illusoria condizione della umana. E non fu solo fortuna chè un dio comandava dentro di te e tu fosti poeta della storia nella storia e in quella vita che cadendo pure ci appartiene e che continuando si rialza ogni volta, inesorabilmente avanzando verso quell’amore silenzioso e ritirato che ancora una volta busserà alla tua porta ed al quale tu, maestro, oltre ogni sospetto aprirai, perché egli possa finalmente trovare riparo nel “calduccio” della tua anima più rimota dove bandita ogni ipocrisia regnerà sovrano l’amore continuando ad esalare intenso e nascosto quel profumo di fiore appena colto che altri non è il sospiro profondo di un giovane ancora timido all’amore: quel verso mancante nel “mese di Athir” quando “ Leucio si spense” e improvviso il mondo scoprì ” che fu molto amato”. Misteri, svelamenti e accenni sottintesi del tuo mondo che “l’aurea bolla edita da Alessio Comneno per onorare con maestà sua madre” (e tu amavi tua madre ah, quanto la amavi!) nulla avrebbe detto per quanto alta e solenne o dichiarato al mondo della profondità dell’amore di una madre verso il figlio se quel tuo verso sublime “il mio il tuo, queste fredde parole da noi mai pronunciate” non l’avesse, per sempre con la disarmante bellezza che spetta solo ai grandi poeti, svelato chè tutto, ogni cosa è in te, maestro, è perfetta e nulla in te fa difetto. Ed anche quando l’amore sceglie di concedersi per vie diverse e tu, tutte tu le hai conosciute è “bello e interessante… passando davanti ad un negozietto… si informava della qualità della stoffa o del prezzo…ma al solo scopo di toccarsi le dita ….di accostare il viso al viso e le labbra, come per caso” e continuare nella penombra di quel che ancora resta del giorno a cedere volentieri senza catene davanti a quella illuminata “vetrina dei tabacchi” dove prigionieri due timidi amanti sostano tremanti chè troppo grande, maestro,è stato il tuo verso e troppo “la tua intensa tenerezza” di essere te stesso nella maniacale opulenta solitudine che solo un altro grande poeta (il nostro Alfonso Gatto!) seppe veramente cogliere quando, convenendo, di te cantava: “con l’amara lentezza dello sguardo, il notare il notare e mai concludere, come dicevi, e la saggezza pigra dell’amore” che veneranda una volta la saggezza di te segnò invece tristemente la vita, da solo raccogliendo su di te tutto il “male di vivere” del tuo, del nostro secolo e quell’amore proibito che tu avevi sempre sognato!
I tuoi versi “versi liberi, modernissimi e vetusti” come ebbe a scrivere Filippo Tommaso Marinetti furono per me, giovane studente, così nuovi, inattesi ed inattuali che ancora oggi che alla soglia del tempo che inesorabile avanza alla silenziosa stagione dell’essere ancora mi risuonano nella mente,tanto che eponima quella tua bellissima poesia “Itaca” mi rimetto in cammino e novello discepolo fedele di tanto tempo fa, riparto per quel fecondo“viaggio” (mai fatto!) che ancora mi convince, perchè se nell’”etterno monito” di : “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” si esalta il cammino che indugiando “negli empori fenici acquista madreperle,coralli,ebano
e ambre tutta mercé fina anche profumi penetranti di ogni sorta, più profumi inebrianti che puoi e andando ancora in molte città egizie impara una gran quantità di cose dai dotti”pure :“sempre devi avere in mente, Itaca,raggiungerla sia il tuo pensiero costante” perché “Itaca ti ha dato il bel viaggio ,senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso fatto oramai savio, con tutta la tua esperienza addosso, già tu avrai capito ciò che Itaca vuol significare”, chè un viaggio senza meta non sarebbe bastato al cammino della saggezza ed io sono felice di essere cresciuto accanto ai tuoi versi e di averne fin da giovane gustato il senso chè tu più di ogni altro poeta hai saputo venire così vicino alla mia anima e di toccarne le corde più intime rendendomi discepolo prediletto del tuo mondo. La dolcezza, l’estasi del tuo canto mai colmo ma sempre all’orlo sfiorato e il mistero di quella tua lussuosa decadenza alessandrina che fin da giovane mi ha attraversato consegnandomi alla tua rimota anima nostalgica che non ammette misure se non totali “mi prese di te piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona” anche adesso che la “lampada che rischiarava il mio buio si va spegnendo” ed io sono obbligato al congedo chè molto ancora avrei voluto con te restare ma “è giunto il richiamo” ed io sono pronto a lasciarti ma non prima di aver onorato quel dio, che presago un giorno, in quel lontano inizio dell’anno del Signore 1949, volle per un suo misterioso anagramma raccogliere nel mio nome il tuo canto. Il canto triste di una antica città che, molto più grande, tu chiamavi“Poseidonia” ed a cui dalla falsa politica venne un dì rubato il nome. Ed ora che nella ”città sanza nome” famelico si aggira il ricco epulone e fugge dalla sua antica casa il dio, io altro non so reclamare alla mia antica patria sfortunata che il tuo famoso verso:“chè un tempo anche loro furono Greci, favorevoli alla sorte dell’Italia” e quel mio lontano ricordo di quando quel giorno seduto in quell’angolo riparato di quel caffè davanti al tempio di Cerere improvviso venne la tua poesia e fu mistero il tuo nome e quel voto che più non dissi e sciolsi in vita e volli, lì dove per il marmo insiste e si eterna la gloria dei poeti, “aedificare” all’ombra della grande quercia un “Cenotafio” che additasse di lontano ora e per sempre quando grande fu la tua grazia: chè solo tu fra tutti i poeti fosti“ancora quell’eccellentissimo:un greco”!
“Questo,Poeta, nel freddo dell’ottobre schivo,il fiore che ti porto “ ( Alfonso Gatto)
(Stesa nelle prime e nelle ultime ore di domenica 29 ottobre dell’anno 2017)